infatti risultare tossico, soprattutto se assunti a dosi elevate oppure se gli stimmi non fossero stati essiccati a dovere, secondo le regole tramandate di madre in figlia. Pertanto, una volta soddisfatta di quanto raccolto, Lucia fu lesta a saltare di nuovo in sella al suo destriero per raggiungere l’abbazia. Tra le altre cose avrebbe chiesto al Priore, Padre Gerolamo, di utilizzare l’essiccatoio di cui senza dubbio era fornita la farmacia del convento. Ma, giunta sul posto, la prima cosa che le balzò all’occhio, e che fece passare in secondo piano tutto il resto, fu il carretto di Padre Ignazio Amici, abbandonato nel piazzale erboso. Certo, era ricoperto di un bello strato di polvere, a dimostrazione che era lì da un bel pezzo. Ma il fatto che Padre Ignazio potesse giungere lì da un momento all’altro le metteva non poca ansia addosso.
Il Priore, con ogni probabilità, aveva scorto dalla finestra della sua cella la damigella titubante nel piazzale dell’abbazia. E così era uscito per aiutarla a scendere da cavallo e per darle il benvenuto.
«Mia Signora, sono veramente onorato dalla vostra presenza. Ma, ditemi, come mai siete giunta fin qui, in questa stagione ancora rigida, e per di più da sola, senza alcuna scorta? Non è poco prudente per una nobildonna andare in giro come fate voi?»
«Beh, ora che vedo quel carretto, qualche timore inizia anche a venirmi addosso.»
«Non preoccupatevi», sorrise Padre Gerolamo. «Se vi riferite a Padre Ignazio Amici, credo che non avremo più a che fare con lui e con le sue manie inquisitorie. Un anno e mezzo fa, dopo aver inscenato quella farsa di processo su al Colle dell’Aggiogo, è scomparso e nessuno ha saputo più nulla di lui. Ma vi assicuro che non si aggira in questi boschi come un lupo. Qualcuno prima o poi lo avrebbe avvistato. Io stesso ho fatto dei sopralluoghi e ho trovato delle tracce inconfutabili che mi hanno reso convinto che il nostro fratello Ignazio, il giorno stesso delle ignobili esecuzioni, abbia messo i piedi in fallo, precipitando all’interno di una risorgiva sulfurea. Satana lo ha richiamato a sé, è precipitato dritto dritto all’inferno!»
«Bene, anche se non auguro la morte mai a nessuno, neanche al mio più acerrimo avversario, questa notizia mi conforta. Ma veniamo ai motivi della mia visita.»
«Sicuro, ma non qui, mia Signora. Sta iniziando a fare freddo. Venite con me, raggiungiamo la biblioteca. Converseremo avanti a un bel camino acceso.»
La biblioteca era di per sé un ambiente caldo e confortevole. Le pareti erano quasi del tutto ricoperte di scaffalature ricolme di libri. Ogni sezione era contrassegnata da una lettera dell’alfabeto, a indicare l’iniziale del titolo dei testi ivi conservati. Alcuni frati lavoravano in assoluto silenzio, seduti ad alcuni scrittoi, disposti al centro della stanza. Un grande camino spandeva luce e calore a tutto l’ampio salone. A un cenno del Priore, gli amanuensi riposero in buon ordine i loro strumenti e si congedarono, uno dopo l’altro. In breve Lucia rimase da sola con Padre Gerolamo. Per prima cosa gli consegnò il prezioso tomo affidatole da Bernardino. Il Priore lo apprezzò, dapprima annusandolo, per sentire l’odore della carta stampata, poi sfogliandone alcune pagine, infine soffermandosi su alcune delle illustrazioni.
«Un ottimo lavoro!», si pronunciò, dirigendosi verso la sezione della biblioteca contrassegnata dalla lettera D. «Ringraziate il vostro amico tipografo. Pochi al mondo sanno lavorare come lui.»
«È lui che ringrazia voi. Senza il vostro lavoro, la sua opera avrebbe avuto ben più scarso valore. Ed è per questo che ci teneva a farvi avere la prima copia che ha stampato.»
«Ne sono lusingato, e anche i miei confratelli lo saranno. Ma veniamo a noi. Fra non molto caleranno le tenebre, e immagino che abbiate bisogno di ospitalità. Non abbiamo suore qui a Sant’Urbano, quindi dovrò farvi preparare una stanza per la notte nella foresteria. Spero non abbiate timore di dover rimanere da sola.»
«Non preoccupatevi, sono molto stanca e dormirò come un ghiro. E poi si tratta solo di una notte. Domattina all’alba ripartirò. Farò una visita di cortesia al Sindaco Germano degli Ottoni e rientrerò a Jesi prima di domani sera. Ma vorrei chiedervi ancora un paio di cosette. Innanzitutto vorrei pregare, e quindi vi chiederei di poter partecipare alla preghiera dei vespri insieme ai vostri confratelli.»
«E per questo non c’è problema. Recitiamo la preghiera vespertina nella chiesa e c’è sempre qualche fedele ad assistere. Prendete posto nella navata centrale e rivolgetevi al Signore come meglio ritenete. Ci sono anche dei Padri confessori, se volete approfittare. Avete qualche altra richiesta, mia Signora?»
«Sì, se mi è concesso. L’ultimo favore che vorrei chiedervi è quello di far essiccare per me gli stimmi dei Crocus che ho raccolto stamani. Sapete bene che vanno essiccati il prima possibile, per sfruttarne le loro proprietà medicinali.»
«Purtroppo, in questo non posso accontentarvi. Il fratello che curava la farmacia era molto anziano ed è venuto a mancare giusto qualche mese fa. Non abbiamo ancora avuto modo di sostituirlo, e quindi non c’è nessuno che sia in grado di usare lo strumentario che era di sua pertinenza.»
Lucia stava per chiedere di poter fare lei il lavoro ma, conscia che la richiesta sarebbe stata motivo di serio imbarazzo per il Priore, si trattenne. Avrebbe dovuto trovare una valida alternativa per essiccare gli stimmi prima di tornare a Jesi. Non sapeva come, ma ci avrebbe pensato.
«Bene, certo, capisco. Fornitemi almeno alcuni vasetti di vetro per conservarli in modo adeguato.»
«Va bene, mia Signora, per quelli non ci sono difficoltà. Dopo i vespri, potrete consumare la cena in refettorio con noi e, alla fine del pasto, il nostro fratello custode vi consegnerà i vasetti di cui avete bisogno.»
«Vi ringrazio moltissimo, Padre, e prima di andarmene non mancherò di elargire una generosa offerta al vostro Convento.»
Piuttosto che sulle preghiere e sui vasetti di vetro, i pensieri di Lucia erano concentrati su ben altri interessi, anche nel corso del colloquio con il priore. Era ben conscia che in quel giorno, 21 di Marzo, ricorreva l’equinozio di primavera, ma la notte che stava per giungere sarebbe stata ancor più magica per la circostanza astrale che prevedeva sia il novilunio, sia l’entrata del sole nella costellazione dell’ariete. Nella sua testa risuonava una frase che spesso la nonna le aveva ripetuto: “La luna nuova in ariete porta il fuoco sacro dell’amore, che ci renderà tutte libere.”
Così, una volta rimasta sola nella stanzetta della foresteria, più volte si era affacciata alla finestra ad ammirare la volta celeste, che si presentava ai suoi occhi come un tappeto di stelle luminose, in cui la luna non si vedeva, ma la sua presenza si intuiva come un disco scuro evidente in un preciso punto del cielo. Ricordava una per una le parole della preghiera che la nonna Elena le aveva insegnato, da rivolgere alla Terra, alla Buona Dea.
Rendimi libera. Accendi il Fuoco Sacro e Rendimi libera di essere. Rendimi libera di Amare. Rendimi libera e mi insegnerai ad aver dentro di me tutti gli amori del Mondo.
Provò un brivido lungo la schiena al pensiero che qualcuno dei frati avesse potuto intuire poc’anzi i suoi pensieri. L’inquisizione era un’istituzione della Chiesa molto potente, anche in quei luoghi sperduti, e non era proprio il caso di doverci aver a che fare. Ma ora il desiderio di raggiungere il Colle dell’Aggiogo, il luogo magico in cui a suo tempo era stata iniziata all’arte di guaritrice e le era stato consegnato il volume “La chiave di Salomone” perché ne fosse la custode, era troppo forte. In fin dei conti, che c’era di male, una volta giunta lassù, nell’accendere un falò, magari al fine di essiccare al calore dello stesso gli stimmi dei crocus, recitare la preghiera alla Buona Dea e celebrare così l’equinozio di primavera in maniera degna, anche se in solitudine? Sarebbe potuta ritornare al monastero prima dell’alba, prima della preghiera mattutina dei monaci, e nessuno si sarebbe accorto di nulla
Quando fu sicura che tutto fosse tranquillo, afferrò i vasetti con i crocus e uscì nel freddo pungente della notte, raggiunse il suo cavallo, lo sciolse, per non far rumore lo condusse a piedi per un bel tratto, poi saltò in sella e prese su per l’erta che, superati i piccoli centri abitati di Poggio e di Frontale, conduceva al Colle dell’Aggiogo.
La radura antistante quelli che erano i ruderi