T. K. Falco

ANTIAMERICA


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l’obiettivo finale. Senza dubbio quel cretino si sarebbe divertito se lei avesse dato qualsiasi segno di sofferenza o impotenza. S’infilò il telefono in tasca. Una risposta contrariata gli avrebbe fatto credere di esserle entrato in testa. Spostò lo sguardo verso la porta, dove v’immaginò far irruzione Bogdan, i Federali ed il tizio che le scriveva i messaggi. S’allungò verso la sacca da cui estrasse il computer di riserva.

      In attesa che si avviasse disattivò il GPS sul suo iPhone prima di eliminare la cache della localizzazione. Non poteva permettere a quel pazzoide di osservare ogni sua mossa. La foto portava con sé un virus. Ne era certa. Ma i messaggi ed il GPS disattivato avrebbero attirato l’attenzione dei Federali. Prima doveva occuparsi di Brayden, e solo dopo se ne sarebbe potuta andare.

      Era ancora coricato sul divano con la testa nei pressi del bordo. Dopo aver avviato l’exploit kit sul computer, si avvicinò furtivamente al ragazzo. Aveva lasciato il telefonino sul cuscino accanto alla sua mano sinistra. Nell’allungarsi verso il dispositivo si accertò che Brayden avesse ancora gli occhi chiusi. Quando afferrò il telefono si diresse in punta di piedi al computer e digitò un messaggio al fine di far avere il numero di telefono di Brayden.

      Quando cliccò il link contenuto nel messaggio trasmesso al telefono di Brayden, il malware venne trasferito sullo stesso. La configurazione del piano B era stata completata. Eliminò il messaggio dal dispositivo. Quello più recente proveniva da un numero sconosciuto. La sua curiosità prese il sopravvento. Brayden schiuse sonoramente le labbra. Alanna si affrettò nel riporre il computer ed il telefono usa e getta prima di ritornare dal lato del divano del ragazzo.

      Quando lo scosse all’altezza della spalla Brayden si mise a sedere con gli occhi mezzi chiusi. “Che stai facendo?”

      Le forzò il telefonino in mano. “Dobbiamo andarcene”.

      “Perché? Cos’è successo?”

      “Non abbiamo tempo. Ti spiego quando siamo fuori”.

      Brayden imprecò quando Alanna insistette affinché si alzasse in piedi. Lo afferrò per il braccio e lo sollevò fino a quando il ragazzo fu su due piedi. Gli sostenne la scapola con la mano nel trascinarlo lungo il corridoio. Passarono accanto al bancone, ed Alanna notò Natalya che stava realizzando un cocktail, con il labiale le disse “scusami”.

      Alanna si guardò attorno nella sezione principale del locale. La musica trance irrompeva dagli altoparlanti. La folla era un mix internazionale di nuove generazioni alla moda; indossavano abiti che lasciavano intendere che potessero permettersi dei cocktail costosi. Tutti i posti a sedere erano occupati, e la metà delle persone erano costrette a restare in piedi. La caligine nel locale era molto più importante rispetto a quando erano arrivati. Allontanò l’aroma del suo narghilè preferito che le raggiunse le narici.

      Sul volto di Brayden si allargò un ghigno, ed il ragazzo prese ad agitare i fianchi al ritmo della musica. Alanna gli rivolse un’occhiataccia prima di ordinargli all’orecchio di uscire dall’ingresso principale, lei se la sarebbe svignata dalla porta di servizio. Il ragazzo annuì, e poi avanzò con fare circospetto verso la folla riunita al centro del locale. Perse l’equilibrio quando una cliente lo sfiorò.

      Brayden cadde sul divano di pelle accanto ad un elegante europeo dell’est e la sua accompagnatrice. Prese poi a ridacchiare. Alanna diede un’occhiata a Natalya, la quale si accigliò e le indicò con un cenno del capo di sistemare la situazione. L’europeo barbuto di un metro e ottanta si alzò in piedi stringendo i pugni. Brayden sorrise raggiante, ma Alanna si affrettò al fianco di lui. Lo tirò a sé dal braccio e si scusò con l’europeo, il quale rivolse un’occhiataccia ai due.

      Alanna cinse il fianco di Brayden con il braccio e lo condusse verso l’ingresso principale. Il ragazzo ridacchiò mentre avanzarono nel locale gremito. Avevano quasi raggiunto la porta quando il buttafuori apparve sul loro cammino. Sembrava adirato. Alanna si scusò per Brayden, e spiegò che se ne stavano andando. Il buttafuori ordinò con veemenza ai due di andarsene subito.

      Alanna annuì ripetutamente prima di spingere Brayden verso la porta con il buttafuori al seguito. Tutti gli sguardi erano su di loro. Il buttafuori tenne la porta aperta per i due, ed inveì contro Brayden di non mettere mai più piede nel suo locale. Una volta usciti, Alanna adagiò Brayden contro al muro prima di mettere la testa fuori. Spostò lo sguardo dagli sbandati all’esterno del locale alle persone che avanzavano lungo il marciapiede.

      Brayden le tirò la manica destra da dietro di lei. “Dimmi che cosa sta succedendo”.

      Quando Alanna si accertò dell’assenza di minacce nascoste, indicò lo Starbucks in fondo alla strada. “Dopo. Aspettami là dentro”.

      “Hai intenzione di—”

      Grugnì e lo sollevò dal braccio. Quando il ragazzo si trovò completamente in piedi, lo spinse da dietro. “Ti seguo”.

      Brayden oscillava ma avanzò senza bisogno che Alanna lo sostenesse. La ragazza non aveva a disposizione delle ottime opzioni. O avrebbe rischiato di essere vista dai Federali. O avrebbe lasciato solo un amico fatto. Sorvegliò Brayden per cinque minuti facendo attenzione che nessuno la spiasse. Un paio di ragazzi dell’università la stavano guardando con fare interessato. Quando i due si pavoneggiarono davanti a lei, Alanna evitò il contatto visivo.

      Quasi tutti i tavoli dello Starbucks erano occupati. Individuò Brayden, si era accomodato su uno degli sgabelli di legno accanto alla finestra. Il suo gomito destro era issato sul tavolo allungato, e con la mano sosteneva interamente il peso della testa. Le persone attorno a lui erano troppo occupate con i loro caffè e computer per far caso al ragazzo.

      Alanna attirò la sua attenzione toccandogli la spalla. “Dammi il tuo telefono”.

      Quando Alanna lo sollecitò con un gesto delle dita, Brayden estrasse il dispositivo dalla tasca anteriore dei suoi pantaloni. “Che cosa ci vuoi fare?”

      Glielo sottrasse velocemente e prese a cercare fra le sue applicazioni. “Ti chiamo un Uber”.

      “Posso guidare—”

      “Non riesci nemmeno a camminare dritto senza inciampare e cadere addosso agli sconosciuti”.

      Brayden sollevò la mano destra nella direzione di Alanna. “È colpa tua. Perché diavolo mi hai spinto fuori dalla porta?”

      “Ho ricevuto un messaggio minatorio dal cellulare di Javier”.

      “Che cos’ha detto?”

      Alanna inserì l’indirizzo di dove si trovavano senza nemmeno considerare la domanda di lui.

      Le labbra di Brayden s’incurvarono in un ghigno quando si sostenne sul tavolo. “C’è una differenza fra l’essere misteriosi ed essere maleducati”.

      Non aveva nessuna intenzione di correre il rischio di condividere dei segreti con Brayden. Non aveva mai fatto luce sulla sua storia personale, né con lui né con nessun altro. Non voleva farlo nonostante il ragazzo fosse il suo amico più stretto, colui che le era stato vicino da quando aveva toccato il fondo. Se lui fosse venuto a conoscenza del passato di Alanna forse non sarebbero più stati amici.

      Gli ridiede il telefono. “Ti senti meglio?”

      Brayden strinse brevemente lo sguardo. “Sì. Mi si sta schiarendo la testa”.

      “È meglio che aspetti fuori. Il tuo autista arriverà fra pochi minuti. Posso fidarmi?”

      Si sforzò di rimettersi in piedi. “Se puoi fidarti? Vedi tu”.

      Ad Alanna tremò la mascella. La sua risposta la colse di sorpresa. Quando Brayden sgattaiolò verso l’uscita, Alanna esternò l’unico saluto che riuscì a dire. “Chiamami quando hai novità da Javier”.

      Ordinò un macchiato freddo al bancone mentre Brayden attendeva accanto ad un segnale. Dopo essersi fatta dare la sua bevanda lo vide salire su una Civic bianca. Prese un sorso dal suo bicchiere di plastica e si diresse verso la propria auto. Nell’attraversare la strada per raggiungere la propria