compartimento nascosto ricavato nella spazzola per capelli. La confezione rettangolare di metallo conteneva tutto ciò che le serviva per cominciare una nuova vita: il documento d’identità di Jessica, le sue tessere bancarie, dei contanti extra, un telefono usa e getta, un laptop di scorta ed una pen drive.
Il bottino era stato originariamente messo da parte in caso le cose fossero andate male con la polizia o con i suoi clienti del mercato nero. Ora rappresentava un modo per sfuggire ai Federali. L’Unità Crimini Informatici la stava tenendo sotto sorveglianza. Avevano installato una cimice sul suo laptop o sul suo iPhone. Poteva comunicare solamente tramite il telefono usa e getta, il suo computer di riserva, o di persona.
Mise in tasca il telefonino usa e getta e ripose i documenti d’identità, le carte ed i contanti nella borsetta. Sistemò il computer nella sacca di pelle marrone. Successivamente installò sul computer un software kit che aveva acquistato specificatamente per l’incontro che avrebbe intrattenuto più tardi. Il resto del bottino si trovava nel vano portaoggetti. Scese dalla sua Toyota Corolla nera con le borse in mano.
Ad un semaforo rosso erano ferme due file di auto. Si spostò fra i veicoli per attraversare la strada, e poi osservò con cura ciò che la circondava. Una tipica serata del fine settimana a South Beach. Il traffico sulla Washington Avenue avanzava regolarmente. Fuori dai locali e dai negozi non si erano ancora formate le solite file. Le poche persone presenti sui marciapiedi si stavano facendo gli affari propri.
Sembrava che nessuno dell’Unità Crimini Informatici la stesse seguendo. L’Agente McBride le aveva giurato che i suoi l’avrebbero sorvegliata tutto il tempo. Alanna non era certa se stesse dicendo la verità o se l’Agente avesse solo cercato di condizionarla. La donna aveva messo in chiaro quanto poco si fidasse di lei. Il concetto le venne ribadito anche quando venne accompagnata fuori dallo stabile dove abitava.
L’unico aspetto positivo era che i Federali avevano lasciato il suo appartamento in condizioni migliori di quello di Javier. Un vantaggio dell’essere una loro talpa. Che le piacesse o no, renderli felici ora era il suo lavoro a tempo pieno. Aveva lasciato dei messaggi in cui chiedeva di Javier sul suo cellulare, ed aveva persino contattato i genitori di lui, i suoi cugini ed i suoi amici. Per dimostrare che stava rispettando i termini del patto.
Svoltò l’angolo. Rallentò il passo quando vide l’insegna adornata dalla scritta Serendipity in rosa accesso. Era presto. Nessuno era ancora in coda fuori dal locale. Il buttafuori muscoloso sulla soglia si passò una mano nei capelli a spazzola prima di lisciarsi la giacca dell’abito grigio quando la ragazza si avvicinò a lui.
Alanna estrasse la patente di Jessica dalla borsetta. Il gorilla le sottrasse il documento dalle mani e lo rivolse verso la luce al neon dell’ingresso. Gli occhi di lui si spostarono poi dalla foto alla ragazza. Poteva guardarla quanto voleva, nessuno si sarebbe mai reso conto che si trattava di un documento falso. Aveva fatto domanda alla motorizzazione fingendosi Jessica.
I conti correnti che aveva aperto intestandoli a Jessica usavano il numero di previdenza sociale di una bambina di cinque anni. Il numero era stato rubato dalla medesima azienda di cartelle cliniche—le agenzie di credito non verificano quell’aspetto. Alanna non aveva utilizzato i conti per derubare qualcuno, quindi non avevano motivo di sospettare qualcosa. Per quanto riguarda la bambina sarebbero trascorsi anni prima che si sarebbe preoccupata dei suoi movimenti bancari.
Il buttafuori le porse la patente e le aprì la porta. Alanna vide la propria espressione stoica riflessa nello specchio all’entrata. L’agitazione del giorno prima era un ricordo passato. Ciò che ne era conseguito era un’apatia emotiva che l’aveva fatta sentire isolata dal resto del mondo. Lo stato d'animo perfetto per frequentare un locale di narghilè.
All’interno la luce era viola. Dei divani foderati di velluto rosso e dei tavoli neri erano disposti su entrambi i lati della passerella decorata dal tappeto rosso. Il proprietario aveva optato per un arredamento opulento in stile europeo, piuttosto che il tipico decoro medio orientale, il che aveva fatto in modo che il locale attirasse i turisti stranieri e la mafia russa.
Il Serendipity era vuoto, ad eccezione di un paio di coppie che sedevano ad un tavolo a sinistra munito di un hookah d’argento, e Natalya si trovava al bancone. Meno persone presenti meglio era. Meno possibilità che i Federali la spiassero. Ripose la patente di Jessica nella borsetta, dalla quale estrasse due banconote da venti. Dopo aver sistemato la borsetta all’interno della sacca, rivolse una veloce occhiata al proprio palmo destro.
La vista del sangue secco le fece venire un leggero brivido. Alanna aveva affondato le unghie nella carne della mano per la maggior parte del pomeriggio. Aveva ideato un piano per manipolare uno dei suoi amici più cari. Durante giornate come quella Alanna era incapace di provare qualsiasi sentimento di rimorso, quindi aveva optato per l’infliggersi dolore. Nel raggiungere la parte sinistra del bar abbandonò le braccia lungo i fianchi.
Natalya l’osservò mentre sistemò dei bicchieri su un cabaret. Aveva poco più di trent’anni, ma sembrava abbastanza giovane da poter indossare il vestito nero scollato che portava in quel momento. I capelli ricci castani che di recente aveva accorciato la facevano sembrare più grande della sua età. Dopo aver messo del ghiaccio in un bicchiere, lo riempì con della Coca Cola da un rubinetto della soda. Era l’ultima persona al mondo che le avrebbe servito dell’alcol. Non che Alanna provasse il desiderio di consumarne.
Natalya posizionò il bicchiere sul bancone con fare corrucciato. “Che incosciente. Non hai letto il mio messaggio in cui ti dicevo di non venire?”
“È un’emergenza. Non ho altro posto in cui andare”.
Il viso di Natalya si animò. “E se Bogdan viene qui e ti vede?”
“Hai detto che non viene qui”.
“Ogni tanto sì. E anche i suoi amici”.
Alanna prese un sorso della bibita nel bicchiere e poi si asciugò le labbra. “Non sanno che sono qui. Se non mi vedono sarò al sicuro”.
“Gli ho mentito quando mi ha chiesto di te. Ti rendi conto in che situazione mi stai mettendo?”
Alanna alzò le mani in aria. “Mi dispiace. Mi farò perdonare. Se vuoi posso spiare ancora la tua ragazza”.
“Non è più la mia ragazza”.
“Meglio. Sei troppo per lei. Se vorrà ancora litigare con te dimmelo, le aizzerò contro la polizia”.
“Non ho bisogno del tuo aiuto per avere a che fare con lei. Non ti serve un’altra scusa per metterti nei guai”.
Alanna indicò il corridoio a sinistra, quello che conduceva al privé. “Posso usarlo, vero?”
Natalya alzò gli occhi al cielo. “Fino alle nove”.
“Grazie. Il mio amico arriverà fra poco”.
“Non un minuto più tardi. Il mio capo arriva verso le dieci. Se ti vede nel privé finisco nei guai. È molto severo”.
“Severo? Tu spacci sotto al suo naso”.
Natalya posò entrambe le mani sul bancone. “Non se n’è accorto perché faccio attenzione. Dovresti farlo anche tu ogni tanto. Hai portato i soldi?”
Alanna portò la mano sinistra sul bancone. Natalya fece scivolare verso di lei una bustina di plastica in cambio delle banconote piegate. Si mise in tasca i soldi senza nemmeno contarli. Gli stupefacenti erano pensati per i clienti che ci provavano con lei mentre stava lavorando. Alanna non era più una cliente regolare, ma le due si sostenevano ancora a vicenda.
Alanna l’aveva messa in contatto con fornitori da poco nella Zona Fantasma—il sito del mercato nero dove aveva acquistato l’identità di Jessica. Natalya la teneva informata su Bogdan ed i suoi compagni della mafia russa, le vendeva sporadicamente dosi di erba senza ricarico e l’insultava per le sue scelte di vita irrazionali. Questa volta Alanna non aveva la forza di discutere.
Mise la busta in tasca prima di dire qualcosa all’orecchio di Natalya. “Avvisami se