Javier Salazar Calle

Ndura. Figlio Della Giungla


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di crampi al polpaccio. A volte la densità del fogliame aumentava, immergendo alcuni luoghi nell'ombra. C'erano zanzare dappertutto, non smettevano di tormentarmi come se si trattasse di una battaglia senza fine. A volte mi ricordavano i kamikaze giapponesi della seconda guerra mondiale, che piombavano sul bersaglio senza preoccuparsi della propria vita. Le zanzare erano uguali, si lanciavano continuamente sul mio corpo senza preoccuparsi delle vittime che causavano i miei colpi, usando le mie mani come artiglieria antiaerea. Alcune erano così grandi che, piuttosto che aerei da combattimento, sembravano giganteschi bombardieri la cui semplice presenza produceva apprensione nel nemico. Quando le vedevo avvicinarsi, mi mettevo immediatamente in tensione, pronto a evitarle. Ce n’era sempre qualcuna con appetito e avevo infiniti morsi su braccia e gambe, lì dove i vestiti non mi coprivano il corpo. Alcune stavano persino sulle stesse punture che mi avevano causato le formiche quando mi ero svegliato. Era una battaglia persa in partenza, una lotta banale, futile, inutile, poiché loro non avevano fine e io ero sempre più stanco. Mi infastidivano così tanto che decisi di coprire le parti su cui non avevo vestiti con della terra umida, formando una barriera impenetrabile per loro. Quell'idea fugace mi salvò. Era scomodo per muoversi, specialmente quando si seccava, ma erano peggiori i loro continui attacchi. Grazie a questo trucco potei dimenticarmi a lungo degli implacabili insetti e, anche se non ottenni la vittoria, almeno ottenni una tregua temporanea. Inoltre, ebbe l'effetto sorprendente di spegnere il prurito lì dove erano passate le formiche. Un po' di fortuna finalmente.

      Continuavo ad osservare tutto ciò che mi circondava, avevo la costante sensazione di essere seguito, di essere sempre più circondato, messo alle strette in una giungla illimitata. Mi sembrava persino di sentire passi e voci dietro di me o di vedere volti fugaci di guerriglieri che mi fissavano ferocemente tra gli alberi, sorvegliandomi senza sosta. La verità è che non riuscii a vedere nessuno chiaramente, non potei nemmeno notare alcuna traccia della loro presenza nell'area. Mi sembrava che gli alberi si piegassero sulla mia testa, imprigionandomi sempre più in una cella di legno vivente. Non sapevo se stavo diventando paranoico o cosa, ma dovevo calmarmi per sopravvivere in quella giungla sconosciuta e mortale.

      In quel folle vagare trovai uno spettacolo dantesco. Ciò che sembrava essere stata una famiglia di primati, delle dimensioni di uno scimpanzé o simili, giaceva in una radura senza mani, piedi o teste, in mezzo a grandi pozze di sangue secco e circondati da miriadi di mosche e ogni sorta di insetti e animali spazzini. La puzza che emanavano era insopportabile e non riuscii a evitare il vomito, che mi salì all'istante su per la gola. Raccolsi il mio coraggio e guardai di nuovo. Ce n'erano due che dovevano essere adulti e uno più piccolo. Sembrava che non ci fossero piccoli, ciò che non sapevo era se non c’erano perché non li avevano catturati, perché non ne avevano, o se perché li avevano portati via per venderli sul mercato nero. Sapevo che c'erano alcune parti di animali che si vendevano molto bene come afrodisiaci nei paesi asiatici: corni di rinoceronte, ossa di tigre e simili. Forse era qualcosa del genere. Decisi di allontanarmi da quel luogo maledetto il prima possibile. Quella scoperta non solo mi dimostrò ancora una volta la crudeltà umana, ma mi mostrò anche che stavo camminando in zone frequentate da bracconieri, sicuramente non molto amichevoli con gli estranei.

      Era troppo scioccato da tutto ciò che stava succedendo. Alla fine, a un certo punto, mi venne un forte crampo al polpaccio della gamba destra che mi costrinse a fermarmi per allungare il polpaccio, mentre serravo forte la bocca per il dolore e mi dimenavo per terra. Dovetti restare seduto a lungo prima di potermi muovere di nuovo e mi tormentò senza sosta per tutto il resto della giornata. Diverse volte pensai che il crampo stesse tornando e mi dovetti fermare per allungare la gamba. Al crepuscolo ero completamente esausto e non ero avanzato troppo a causa del ritmo lento che avevo dovuto tenere. Soprattutto, avevo le gambe esauste per il tanto camminare, il ginocchio e il polpaccio erano doloranti e i piedi intorpiditi. Guardando la cosa da un punto di vista positivo, se ne fossi uscito, avrei eliminato l’incipiente pancetta da birra che mi stava uscendo. Ere già qualcosa. Non dovevo perdere il senso dell'umorismo, quello avrebbe potuto salvarmi. Era l'unica cosa che mi rimaneva, quello e il mio desiderio di vivere. Elena, cosa non darei adesso per un tuo abbraccio, per il tuo sorriso! O per uno di quei deliziosi piatti che preparavi!

      Mi sedetti sopra un tronco caduto e mangiai tutte le mele cotogne che mi erano rimaste e un lungo sorso d'acqua. Mi restava solo un quinto della bottiglia circa e niente cibo. Quella terza notte l'avrei passata di nuovo su un albero, dopo l'esperienza delle formiche non pensavo che mi sarei addormentato, poiché le formiche erano le stesse, sul terreno come sugli alberi, ma mi andava ancora meno di venire catturato, mentre dormivo, dalle canaglie degli spari. Come la prima notte, cercai un albero adatto e quando lo trovai, cercai di salire sul ramo prescelto con l'aiuto di un rampicante. Non appena gli misi la mano sopra dovetti ritirarla perché sentii una puntura acuta. Il rampicante era spinoso. Mi massaggiai il palmo della mano e cercai un altro albero dove arrampicarmi. Quando lo trovai mi arrampicai con molta attenzione e mi preparai a passare un'altra notte in quell'inferno. Mi tolsi le scarpe e le calze e pregai per che fossero asciutte al mattino, anche se ne dubitavo, dato che l'aria era quasi permanentemente umida. Avevo i piedi rugosi e di un verde brunastro chiaro. Li asciugai come meglio potei, ma la sensazione di disagio persistette comunque. Provai a scaldarmi, ma non c'era modo di riuscirci né con la coperta né sfregandomi il corpo. Le punture delle zanzare e delle formiche mi tormentavano incessantemente, ma non c'era nulla che potessi fare. L'unica cosa che alleviava quel tormento era mettere il fango bagnato sul mio corpo per evitare le punture, in quei momenti il costante prurito si era trasformato in una sensazione confortante che non sapevo descrivere. Provavo un dolore costante e non localizzato alle gambe come alla schiena. Il braccio destro era addormentato per la stanchezza dovuta al simulare colpi di macete con il bastone per tutto il giorno.

      Ero così esausto che mi addormentai subito. Il mio ultimo pensiero fu la speranza che, al mio risveglio, ci sarebbe stata ad aspettarmi una colazione con una grande ciotola di latte e miele e un paio di toast con abbondante burro e marmellata di fragole o more.

      

      Un rumore molto ravvicinato mi svegliò e quasi caddi a terra scioccato. Mi avevano scoperto, era finita. Tanto sforzo per niente, avevo lasciato che mi cogliessero alla sprovvista, imprudente, e l’avrei pagata cara. Mi aggrappai saldamente al ramo e guardai terrorizzato in tutte le direzioni alla ricerca dei ribelli, gridando "non sparatemi, non sparatemi!” Ma non vidi nulla. Se fossero stati loro mi avrebbero sparato o almeno mi avrebbero costretto a scendere dall'albero, quindi era un falso allarme. Ero un po’ ossessionato dal sapere che tipo di animale fosse passato.

      "Non posso svegliarmi un giorno in pace?" Brontolai ad alta voce. "Non potete lasciarmi in pace per un po’?"

      La verità era che non importava. Mi lasciai cadere a terra e mi allungai, sbadigliando. Avevo dormito una manciata di ore di fila, ma la schiena mi faceva molto male. Inoltre, non appena rinsavii un po', notai di nuovo il costante prurito alle gambe e alle braccia, dove formiche e zanzare mi avevano punto. Dormire su un ramo non doveva fare molto bene al corpo, ma a volte mi sembrava preferibile al suolo, dove ero a disposizione di qualsiasi persona o animale che poteva passare. Osservai da vicino le gambe e le braccia e vidi che alcune ferite, in particolare quelle causate dai graffi alle piante, erano infette. Giusto quello che mi mancava. Sentii un ruggito crescente che si rivelò essere il mio stomaco. Avevo una fame terribile e non mi restava nulla da mettere sotto i denti. La mia priorità per quel giorno era trovare del cibo, poiché l'acqua non era un problema dal momento che avevo localizzato di nuovo il fiume. Mi sarebbe piaciuto che il sensibile Alex fosse stato al mio fianco in modo da poter ascoltare i suoi consigli sempre ponderati e saggi. Ma ero solo, Alex era morto, Juan era morto ed io ero solo. Per colpa mia, tutto per colpa mia.

      Mi avvicinai al fiume per lavarmi un po' la faccia e bere un po’ d’acqua. Riempii anche la bottiglia. Bevvi così tanta acqua che mi saziai momentaneamente, ma non sarebbe durata a lungo. Mi sedetti su una pietra e riflettei sul modo migliore per procurarmi del cibo. Mentre tentavo di trovare una soluzione notai un albero vicino a me che mi ricordò qualcosa. Lo osservai da vicino. Sapevo che qualcosa mi stava sfuggendo, era quella sensazione di avere qualcosa sulla punta