Javier Salazar Calle

Ndura. Figlio Della Giungla


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uscire da quel luogo il prima possibile. Infine, dato che stavo facendo molto rumore, mi tremava il cuore pensando che, se mi avessero seguito, sarebbe stato molto facile localizzarmi.

      Proprio come durante la notte, c'era un suono incessante in tutte le direzioni, non era lo stesso rumore, però si sentiva anche il ronzio degli insetti, strani canti di uccelli nelle cime degli alberi e alcune urla che supponevo provenissero da delle scimmie o qualcosa del genere. Almeno non si sentivano i ruggiti inquietanti, dovevano essere stati di un cacciatore notturno, o almeno così volevo credere. Per quanto potessi vedere, non vedevo molti animali, ma potevo sentirli tutti.

      Guardai l'ora sul mio orologio. Erano le dieci del mattino. Camminavo da un'ora e non ne potevo più. Il ginocchio aveva già iniziato a inviare segnali di avvertimento, lo sentivo un po' gonfio. Più volte i legamenti o qualunque cosa fossero mi si erano accavallati e avevo dovuto rimetterli a posto con la mano, massaggiandoli delicatamente ma con fermezza. Mi sedetti per terra a riposare un po', appoggiato a un tronco di un albero molto alto e ci strofinai le mani. Il caldo mi fornì un po’ di sollievo. Ero in una zona abbastanza libera. Dopo un po’ di tempo che stavo seduto, vidi sul ramo di un albero di fronte a me un uccello simile a un pappagallo con un piumaggio bluastro opaco, l'unica nota di colore era il rosso della sua coda, con un alone bianco intorno agli occhi, il becco nero ed emetteva strilli quasi umani7. Girava la testa praticamente in tutte le direzioni, senza muovere il resto del corpo, ricordandomi la ragazza dell'esorcista. Si avvicinò dondolandosi a un frutto dell’albero e cominciò a beccarlo. Il frutto era di colore rosso-arancio, delle dimensioni di una mano e di forma simile a una zucca.

      “Sicuro che sai dove sei”, dissi tra me e me, “sicuro.”

      Rimasi quasi mezz'ora a riposare, dopodiché ricominciai a camminare. Ogni volta che costeggiavo una radura e dovevo riprendere la direzione presumibilmente corretta, mi convincevo sempre di più che sarei potuto rimanere a girare per anni senza accorgermene. Mi sembrava tutto uguale e il sole non mi era già più di grande aiuto. Guardavo quanto era alto, lo confrontavo con l'ora dell’orologio e arrivavo alla conclusione che non avevo idea di cosa stessi facendo. Continuai con lo stesso ritmo tutta la mattina, camminavo un'ora e mi riposavo per un po'. Nei momenti di riposo leggevo il frasario in swahili o il diario di viaggio per intrattenere la mia mente con qualcosa, magari mi sarebbe servito per comunicare con qualcuno in un ipotetico incontro. Ogni volta era più faticoso alzarsi e continuare, il mio ginocchio mi faceva zoppicare e verso le due del pomeriggio caddi arreso.

      Era tutta colpa mia, avevo trascinato i miei amici in questo posto infernale, per colpa mia erano morti. Se li avessi ascoltati saremmo stati di ritorno dall'Italia con tantissime foto di Venezia e qualche cartolina della Toscana. Colpa mia, era tutta colpa mia.

      Ero assetato e il mio stomaco ruggiva ininterrottamente. Mi trovavo di fronte a un dilemma: mangiare per recuperare le forze o risparmiare, data la scarsità di cibo che avevo, rischiando che mi succedesse qualcosa? Si supponeva che avere cibo e acqua in una giungla fosse facile, o almeno così pensavo in quel momento, ed ero molto affamato, quindi optai per bere una lattina di soda e mangiare i biscotti rosicchiati, allontanando le formiche soffiando, e il panino. Alleviai un po' il mio appetito tenace. Tenni le mele cotogne pensando che ci avrebbero messo più tempo per rovinarsi. Poi mi addormentai per la stanchezza e perché non ero riuscito a dormire la sera prima.

      Quando mi svegliai sentii un suono sibilante molto vicino. Doveva esserci un serpente accanto a me. Rimasi immobile cercando di affinare l’udito per scoprire dove potesse essere. La paura mi attanagliò lo stomaco e divenne faticoso respirare. Una volta avevo visto un documentario sui serpenti chiamato "I serpenti dei tre passi", perché quando ti mordevano ti davano il tempo di fare solo tre passi prima di morire. Questo in fondo non era male considerata la situazione, ma se fossi stato morso da un serpente che mi avrebbe fatto agonizzare per ore, perdendo il controllo a poco a poco, raggiungendo il parossismo della follia… Avevo così paura di soffrire, il terrore del dolore. Se dovevo morire volevo che fosse una cosa rapida, quasi lo desideravo per liberarmi della situazione in cui mi trovavo. Me lo meritavo. Mi sembrava che il sibilo fosse man mano più vicino, potevo anche sentire il fruscio delle foglie al suo passaggio, si stava dirigendo verso di me, ne ero sicuro. Quasi potevo sentire come scivolava sul mio corpo, salendo dalla gamba verso il mio collo, era quasi arrivato, stava per mordermi. Chiusi gli occhi per un momento e respirai profondamente, cercando di calmarmi. Poi riaprii gli occhi e, senza muovermi di un centimetro, li muovevo in tutte le direzioni cercando di localizzarlo. Finalmente riuscii a vederlo. Stava raggomitolato su un ramo di un albero tre metri alla mia destra, alto circa due metri. Muoveva solo la testa da un lato all'altro, come se stesse tenendo d’occhio qualcosa. Era di colore verde con un leggero tocco bluastro, un po' giallastro ai lati, con una lunga coda, poco più di un metro di lunghezza, e un corpo magro, come se fosse compresso lateralmente, quasi invisibile tra le foglie8. Quando scivolò lungo il ramo, vidi che aveva la pancia biancastra.

      Restai per un po' senza muovermi, in ascolto, finché mi convinsi che era lui quello che avevo sentito e il resto era stato il risultato della mia immaginazione. Mi alzai lentamente e scrutai il terreno per cercare un altro serpente, ma quello che vedevo era l'unico. Almeno l'unico che avevo localizzato. All'inizio pensai di fare una deviazione e di andarmene, ma poi mi ricordai che si diceva sempre che la carne di serpente aveva il sapore del pollo, che era molto buona. O almeno questo era ciò che i nonni raccontavano come storiella della guerra civile e della fame che avevano sofferto. Mi sembrò una buona opportunità per procurarsi del cibo e, se inoltre avrebbe avuto un buon sapore, sarebbe stato ancora meglio. Cercai un bastone lungo con una punta a "V" per cercare di tenergli la testa. Tolsi anche il coltello dalla tasca, lo aprii e lo misi sulla cintura dei miei pantaloncini. Trovai un ramo caduto adatto e gli diedi la forma che stavo cercando, tagliando un'estremità a forma di “V”, senza mai perdere di vista il serpente. Il processo di preparazione mi sembrò infinito e mi esaurii estremamente, sebbene in realtà non comportasse alcuno sforzo fisico considerevole.

      Quando fui pronto, mi avvicinai di soppiatto al serpente. Questo sembrò non accorgersene o mi ignorò, in ogni caso non mi prestò nessuna attenzione. Quando fui a circa mezzo metro di distanza, sollevai il bastone e lo colpii con tutte le mie forze sulla testa. Con il primo colpo rimase mezzo sospeso, così glie ne diedi altri due finché non cadde a terra. Poi gli agganciai la testa con la forchetta del bastone e premetti molto forte contro il terreno. Il serpente tremava convulsamente, sibilando senza sosta ed io ero terrorizzato. Se lo avessi lasciato per colpirlo a distanza con il bastone, avrebbe potuto attaccarmi, l'altra opzione era avvicinarmi e infilzarlo con il coltello. Raccogliendo il mio coraggio, mi avvicinai e calpestai la coda, premendola a terra nel tentativo di tenerla ferma. Mi chinai e conficcai il coltello appena sotto la testa dell’ofide, incollato al bastone, lasciandolo conficcato a terra. Tuttavia, continuava ad agitarsi, così tolsi il coltello e segai il suo collo fino a quando non separai la testa dal resto del corpo. Poi feci un salto indietro, temendo, ignaro, che potesse ancora attaccarmi. La coda continuava a dimenarsi senza sosta, sputando sangue dove prima c’era la testa. Lo colpii un paio di volte con il bastone, ma non gli importò, quindi decisi di lasciarlo lì per un po'. In meno di mezzo minuto, smise di muoversi gradualmente fino a quando fu completamente fermo. Gli diedi qualche colpetto con il bastone ma non si muoveva. Era decisamente morto. Finalmente riuscii a respirare tranquillo.

      Il mio primo trionfo nella giungla. L'uomo aveva dominato la bestia. Mi sentivo totalmente euforico, per un momento tutti i miei problemi si dissolsero come lo zucchero in un bicchiere di latte caldo. Da quel momento sapevo che sarei sopravvissuto e sarei uscito di lì. Ero un autentico avventuriero, un sopravvissuto nato. Nulla poteva impedirmi di uscire da quel labirinto verde e di tornare a casa, a casa. Ero stato sfidato da Madre Natura e avevo dimostrato il mio valore, la mia capacità di adattarmi e sopravvivere. Adesso lo sapevo, ero il vincitore di questo ineguale combattimento tra me stesso e gli elementi avversi.

      Presi il serpente e lo tagliai a metà con il coltello, tirando fuori le viscere il meglio che potevo, non senza abbastanza disgusto. Per questo, l’afferrai per un'estremità e mi girai a tutta velocità, voltandomi più volte rapidamente e facendo uscire