Dawn Brower

La Volpe In Rosso


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un’occhiata al parco. "Tuttavia, la vittima mi sembra di conoscerla."

      Collin si voltò a guardare in direzione del trambusto. Non riconobbe le due donne. Si accigliò. "La ragazza bionda indossa i calzoni?"

      Ma era forse matta, quella donna? Non poteva immaginare il motivo per cui una lady si fosse acconciata in quel modo…assolutamente sconveniente! Tuttavia, dovette ammettere con se stesso che la cosa lo intrigava. Era forse quella, la mira della donna? Attirare l'attenzione di un gentiluomo? Ma non era certo il modo migliore per farlo. Se sperava di farsi notare, ci era sicuramente riuscita, ma dubitava che gli effetti sarebbero stati quelli sperati. Si sarebbe solo attirata addosso pettegolezzi e possibili adescamenti da parte dei peggiori lestofanti dell’aristocrazia.

      "Sì, indossa un completo da uomo. – rispose Cameron – La conoscete?"

      Lui scosse la testa. “Cerco di mantenermi alla larga da queste teste aristocratiche. Mia sorella probabilmente saprebbe di chi si tratta. Ma disgraziatamente non è qui con noi e non posso chiederglielo.”

      Sua sorella, Kaitlin, era felicemente sposata con il conte di Shelby da più di quindici anni. Aveva tre figli che la tenevano occupata … due maschi e una ragazzina. Si rivolse a Cameron. "Quella donna vi interessa, caro amico?”

      Cameron aggrottò la fronte. "Non quella coi calzoni, l’altra dama – chiarì il Duca – Credo che sia la mia fidanzata."

      "Ah! – esclamò Collin, afferrando al volo la situazione – Allora dobbiamo eclissarci subito. Dubito che vogliate farle sapere che siete tornato in Inghilterra, o sbaglio?”

      "Certo che no! – esclamò Cameron. Poi si acciglio di nuovo. "Anche se, a guardarla, mi sembra più avvenente di quanto ricordo." Le ultime parole furono quasi un sussurro, ma arrivarono comunque alle orecchie di Collin.

      Questa piccola gita aveva dato a Cameron qualcosa su cui riflettere? La signora dai capelli scuri era davvero bellissima. Almeno per ciò che poteva vedere da quella distanza. La bionda però … quella svergognata … qualcosa in lei lo attraeva. Forse era perché, con quel vestito da uomo addosso, le sue curve erano tutte ben delineate e nulla era lasciato all’immaginazione. Non ci aveva mai pensato. Qualsiasi maschio dal sangue caldo avrebbe trovato eccitante una donna vestita da uomo e Collin era tutt'altro che santo.

      "Oh, diamine!” esclamò Collin scorgendo il Duca e la Duchessa di Weston, in compagnia del Marchese e la Marchesa di Seabrook, passeggiare nel parco proprio in prossimità delle due donne. Aveva capito solo in quel momento chi fosse la dama bionda e, cosa più importante, chi erano i suoi genitori. "Temo che stia per scoppiare uno scandalo!”

      Cameron inarcò un sopracciglio. "Non capisco."

      L’amico gli indicò l’uscita del parco. "Credo che la marchesa di Seabrook stia per strangolare la sua unica figlia." Cameron lanciò un'occhiata ai signori anziani e poi alle due ragazze, che erano così nell’occhio di tutti. "Ah!– esclamò Colin, ridacchiando – Forse varrebbe la pena di sedersi comodamente e godersi lo spettacolo!” Ma poi scosse la testa. “Ma forse è meglio non lasciarsi invischiare. Anche se mi piacerebbe guardare tutta la scena!”

      "Avete ragione – concordò Collin – La duchessa di Weston potrebbe rivelarsi la voce della ragione. Sta insegnando alcune pratiche medicinali a mia cugina, Marian, e non è quella che si potrebbe considerare una tipica signora della vecchia aristocrazia. Ha convinzioni … decisamente progressiste."

      Cameron sospirò. "È meglio che ci affrettiamo. Questi nobili sono troppo occupati a spettegolare su chi hanno a tiro e non ci noteranno nemmeno, mentre voltiamo i cavalli.”

      "Fatemi strada, vi prego.” disse Collin.

      Preferiva di gran lunga tornarsene a casa di suo zio Charles, il conte di Coventry. Doveva capire il modo migliore per gestire la situazione in cui si trovava. Se Cameron non si fosse presentato all’improvviso, sarebbe rimasto nel suo studio ad esaminare attentamente i libri contabili della proprietà. Da ciò che aveva capito, il suo amministratore si era eclissato lasciando la tenuta in rovina. Aveva sottratto fondi dalle casse della proprietà e non aveva mai fatto alcuna ristrutturazione, né onorato le spese. Collin aveva intenzione di ritirarsi a Peacehaven e vivere nel suo castello finché non avesse trovato un modo per sanare tutti i debiti. Ormai non si fidava più di nessuno e intendeva occuparsene in prima persona.

      Collin doveva ancora parlare con le autorità per rintracciare l'uomo. Si rimproverava per il fatto di essersene andato a sollazzarsi a Londra mentre lo stavano derubando. Che stupido era stato! Sarebbe dovuto andare a controllare ciò che avveniva nella sua tenuta già molto tempo prima. E se tornare non gli avesse causato così tanto dolore, di sicuro lo avrebbe fatto. Non si era più recato a Peacehaven dopo la morte dei suoi genitori. Ogni volta che ci pensava il cuore gli si spezzava nel petto, ma alla fine non aveva avuto altra scelta. Nessun altro poteva prendere il suo posto, ed era ora che crescesse e si assumesse le sue responsabilità.

      Uscirono dal parco senza che nessuno se ne accorgesse. Collin lanciò un’ultima occhiata alla signora in calzoni. Una parte di lui sperava di incontrarla di nuovo. Era curioso di sapere cosa le era passato per la testa e perché si era conciata a quel modo. Sarebbe stato un racconto interessante … Tuttavia era molto improbabile che l’avrebbe rivista. Presto si sarebbe rintanato in campagna, affogato nella ristrutturazione della tenuta e nel resoconto della produzione agricola. Niente a che fare con una lady sui generis che aveva osato travestirsi da uomo e farsi guardare da tutti in un parco pubblico…

* * *

      Charlotte camminava avanti e indietro nella sua camera da letto, dov’ era stata esiliata non appena tornata a casa. Una volta lì, si era spogliata dei vestiti maschili e si era rimessa i suoi abiti da donna. Sua madre si sarebbe fatta venire un attacco apoplettico, se l’avesse rivista con i calzoni addosso! Per un momento Charlotte aveva addirittura temuto che l’avrebbe strozzata davanti a tutti, nel parco. Non ricordava di averla mai vista così arrabbiata, in vita sua. La marchesa di Seabrooke aveva la faccia così rossa dalla rabbia che le sue guance sembravano delle mele! I suoi genitori erano davvero furiosi, molto più di quanto avesse preventivato… Quello che aveva fatto… sulle prime le era sembrata una buona idea, ma ora temeva di essersi solo messa nei guai. Odiava deludere i suoi genitori. Soprattutto suo padre: lo aveva sempre ammirato e sapeva quanto era stato valoroso in battaglia. Se mai si fosse sposata, sperava che il gentiluomo con cui avrebbe condiviso la vita sarebbe stato altrettanto coraggioso. Non che sperasse che il paese scendesse di nuovo in guerra, ma voleva comunque stimare, prima di amare, la persona che le sarebbe stata al fianco.. Non le sembrava di chiedere troppo …

      La porta della sua camera da letto si spalancò. Una cameriera entrò e fece una riverenza. "Perdonate, milady – disse – I vostri signori genitori richiedono la vostra presenza in salone."

      Il cuore prese a batterle all’impazzata. Era il momento. Era arrivata alla resa dei conti, il biglietto di ritorno per Seabrook. Lì sarebbe stata libera di dedicarsi al suo romanzo e di non preoccuparsi di eventuali impegni sociali. Charlotte deglutì a fatica e fece un grosso respiro.

      "Vi ringrazio, Mildred.” disse alla cameriera. Era orgogliosa di come, esteriormente, riuscisse a mantenere la calma. La sua voce non mostrava alcun segno del nervosismo che, invece, la stava spossando dal di dentro. Era un miracolo che non stesse tremando in maniera inconsulta. Per qualche ragione, temeva che i suoi genitori non le avrebbero concesso la grazia che sperava e, nella situazione in cui si era messa, non poteva nemmeno chiederglielo per favore. Dopo quello che aveva combinato non aveva certo voce in capitolo. Charlotte era più che sicura che questa volta i suoi genitori l’avrebbero indotta a piegare la testa.

      Sulla soglia del salone si fermò, per prendere fiato. Sapeva di dover contare su tutte le sue forze, in quel momento. Charlotte fece un passo incerto e poi entrò nel salone a testa alta. Non le sarebbe servito a niente mostrare la sua debolezza, anzi. Per quanto li amasse, in simili frangenti i suoi genitori potevano essere spietati. Se glielo avesse permesso mostrandosi fragile, l’avrebbero spezzata con le loro parole di rimprovero. Questo non significava che fossero cattivi, tutt’altro. I suoi genitori erano sempre stati amorevoli e premurosi con lei e l’avevano seguita per tutto il percorso adolescenziale, ma comunque non erano degli sciocchi. Charlotte era sicura che questa volta