di rosso sulla sua faccia erano sparite e ora il suo viso aveva ripreso un’espressione normale.
"Volevate vedermi?" Non era proprio una domanda, ma purtroppo la sua voce lasciò trapelare un minimo di indecisione…
"Vi prego, sedetevi.” esclamò suo padre, indicandole una sedia in prossimità del divano su cui si erano piacevolmente accomodati. Sua madre si versò con calma una tazza di the e vi mise dentro due zollette di zucchero. Poi si mise a sorseggiarla, come se non stesse per dare una punizione a sua figlia. Che strega …
"Non discuteremo delle vostre azioni.” Cominciò a dire suo padre. I suoi capelli biondo dorato erano un po’ spettinati. Doveva essersi passato la mano tra i capelli per il nervoso migliaia di volte, quel giorno. “È inutile rinfacciarvi i dettagli del vostro operato. Ciò che è fatto è fatto." Sollevò un bicchiere pieno di liquido ambrato e ne bevve un sorso. Niente the per suo padre … Era brandy, quello che aveva nel bicchiere. Diamine, aveva spinto il suo caro padre ad affogare la delusione nell’alcool! Si vergognò moltissimo di quello che aveva fatto. Purtroppo non poteva tornare indietro, ma ormai aveva ottenuto ciò che voleva e questo era il momento di capire se era anche riuscita a raggiungere il suo obiettivo. "Ciò di cui vogliamo parlarvi è come intendiamo punirvi per ciò che avete fatto.”
Sua madre prese una focaccina, la cosparse di marmellata e le diede un morso. Aveva intenzione di ignorare Charlotte per tutta la durata della conversazione? Era molto peggio che se l’avesse aggredita con parole di biasimo…
"Capisco", rispose. Non si sa come, ma Charlotte riuscì a mantenersi tranquilla. Per ora, nessun problema. Ma ci sarebbe riuscita fino in fondo?
"Avete qualcosa da dire in vostra discolpa?” continuò il padre.
Charlotte scosse lentamente la testa. Non sarebbe servito a niente giustificarsi davanti a loro. Si era vestita da uomo e aveva gironzolato per Hyde Park … apposta. Non c’era altro da aggiungere.
"Non ho nulla da dire. Mi assumo la completa responsabilità delle mie azioni.” rispose, tranquillamente. C'era solo un posto in cui avrebbero potuto spedirla. Pregò di non essersi messa nei guai per niente. Potevano solo rimandarla a casa, e basta. Non c’era molta scelta. A Charlotte dispiaceva di aver ferito i suoi genitori, ma quello scandalo era l'unico modo per ottenere ciò che voleva. Se avesse potuto, avrebbe rifatto tutto daccapo. A patto che, avesse davvero ottenuto ciò che desiderava…tornare a Seabrooke. Per questo non poteva permettersi di sentirsi in colpa o di scusarsi con i suoi genitori. Loro non sapevano cosa aveva in mente e quindi non potevano negarle quel desiderio. Erano molto delusi, e l’avrebbero rispedita a casa. Sicuro.
"Molto saggio da parte vostra. – la schernì il padre – Anche perché non avete scelta."
Ahi! La cosa si metteva male. Di colpo Charlotte ebbe un brutto presentimento. Si lasciò prendere dall’ansia.
"Va bene …" Deglutì a fatica. "Quale sarà la mia punizione?”
“C’erano due possibili castighi…” continuò suo padre.
Due? Ce n'era solo uno possibile: Seabrook … Che intendeva dire?
"Seabrook è stato il nostro primo pensiero ma, se vi rimandassimo a casa, non imparereste di certo la lezione. Quindi lo abbiamo escluso."
Il cuore saltò un battito e il suo stomaco si contrasse. Che stava succedendo? Dove l'avrebbero mandata? Era sbagliato, tutto sbagliato.
"Se non potrò tornare a casa, dove andrò?" Oddio, davvero si era messa nei guai per niente? Non aveva mai preso in considerazione la possibilità che non l’avrebbero rispedita a Seabrook! E ora… non riusciva a esprimere come si sentiva. Ma doveva essere rimanere forte. Forse poteva ancora realizzare il suo desiderio, anche se l’avessero reclusa altrove.
Una strana espressione apparve sul viso di sua madre. Un sorriso … minaccioso. "Ero sicura che avevate fatto tutto questo per tornare a casa." Posò la tazza di the e incontrò lo sguardo di Charlotte. "Invece, andrete a tenere compagnia alla vostra prozia Serafina. Vive da sola e sarà un vantaggio per lei avervi a portata di mano per i prossimi mesi."
La mente di Charlotte si oscurò per qualche istante, mentre cercava di fare mente locale. Era sinceramente delusa di come si stavano mettendo le cose. Impedirle di tornare a casa e spedirla in un posto che odiava! Questa volta i suoi genitori avevano voluto darle una lezione esemplare, e costringerla a pentirsi amaramente della vergogna che avevano provato a causa sua.
Zia Serafina … era vecchia. D'accordo, ma non decrepita. Charlotte immaginava come avrebbe trascorso i prossimi mesi. Come sua dama di compagnia, la zia l’avrebbe costretta a lunghe chiacchierate e a riunioni e passeggiate che lei invece aborriva! Era andato tutto a rotoli, e ora, che fare? Non poteva che rassegnarsi e bere l’amaro calice fino in fondo. Si era imprigionata con le sue stesse mani e ormai non c’era via di scampo.
Piuttosto: quanto sarebbe durata la sua prigionia?
CAPITOLO TRE
La carrozza procedeva a sbalzi nel suo tragitto e Charlotte non poteva fare a meno di pensare che il cocchiere prendesse appositamente ogni dosso che incontrava sulla strada. Aveva sobbalzato sul sedile così tante volte che ormai la sua schiena, i fianchi e il sedere dovevano essere pieni di lividi. Cosa aveva indotto i suoi genitori a pensare che mandarla nelle terre selvagge del Sussex fosse un’ottima scelta? Almeno Peacehaven era vicino al mare. Era ciò che più si avvicinava al suo concetto di casa, trovandosi a metà tra Seabrook e Weston. Si augurò che quella permanenza non sarebbe stata…terribile come temeva.
La carrozza sussultò di nuovo e lei si trovò protesa in avanti. Colpì un fianco della carrozza con il capo e il dolore la trafisse come un coltello rovente in un panetto di burro. Si portò una mano alla testa e mugolò. L’intero viaggio non era stato altro che una tortura. Per fortuna la carrozza aveva smesso di muoversi. Imprecò sottovoce e tentò di mettersi a sedere, ma scivolò di lato. La carrozza era inclinata e questo non era certo un buon segno. Doveva scendere da quella maledetta vettura e farsi dire dal cocchiere che cos’era successo. Se avesse sbattuto la testa con più violenza, si sarebbe fatta male per davvero. Mentre si sporgeva verso la maniglia della porta, questa si aprì.
"Tutto bene?" chiese un uomo.
Charlotte alzò lo sguardo e aggrottò la fronte. Non aveva mai visto quell’uomo, ma per qualche strana ragione le sembrava di conoscerlo. Aveva i capelli ramati di rosso … diciamo, una capigliatura biondo rossiccia, e straordinari occhi blu. Una combinazione vincente. In realtà era piuttosto belloccio, e lei lo avrebbe sicuramente apprezzato meglio…se non si fosse trovata in quella scomoda posizione. Gli porse la mano. "Grazie. Ho proprio bisogno di aiuto, per uscire da qui.”
Lui allungò un braccio, le afferrò la mano e l’aiutò a scendere dalla carrozza. Aspettò che i piedi di Charlotte fossero ben saldi sul terreno e poi si mise ad osservare attentamente la carrozza.
“Sembra che si sia rotta una ruota.”
Guardò meglio e aggrottò la fronte. Gli assi sembravano interi, ma una delle ruote era dichiaratamente spezzata in due parti.
"Dov'è il vostro cocchiere?" domandò.
"Sono qui, milady! – gridò una voce – Perdonate. Ho cercato di evitare l’ultimo fosso ma… ” s’interruppe. Il pover'uomo sembrava in ansia, tanto quanto la sua padrona.
"Va tutto bene, Samuel – lo rassicurò Charlotte – Comunque, siamo tutti interi. Ringraziamo il Cielo!” Si passò le mani sulla gonna, incerta sul da farsi e sospirò. Secondo i suoi calcoli sarebbe dovuta arrivare da zia Serafina prima di sera. Ora, con la carrozza in quello stato, dubitava che sarebbero riusciti ad arrivare prima di notte. Quella giornata era iniziata sotto una cattiva stella.
Lo sconosciuto si mise a fissarla.
"Che c’è?" chiese all’uomo. Aveva dello sporco o qualcosa del genere sul viso? Si guardò nel vetro della carrozza.
"Perdonate, ma avete un’aria familiare. – disse lui – Non vorrei apparire sfacciato, ma non riesco a ricordare dove vi ho veduta.”
Charlotte sospirò. Si trovava nel Sussex ed era diretta a