(Libro #11)
OSSESSIONATA (Libro #12)
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CAPITOLO PRIMO
Vars tornò in superficie per le strade di Royalsport, inspirando vorace l’aria fresca dopo quella che era sembrata un’eternità sottoterra. Aveva aspettato che facesse buio per essere sicuro di passare inosservato e l’attesa era stata un fardello schiacciante sul suo petto, mentre la paura aveva minacciato di sopraffarlo.
Si guardò intorno d’istinto, sicuro che qualcuno lo avrebbe visto e riconosciuto. Dopotutto, chi altro aveva i suoi nobili lineamenti, pur se incupiti dalla polvere del tunnel? Sì, era di corporatura media, aveva i capelli di un castano spento tipico di un contadino qualsiasi e sfoggiava il rosso e il viola delle divise degli uomini di Ravin, ma era certo che anche così sarebbe trapelato il suo essere gentile, grande in qualche modo.
Si incamminò verso Royalsport, riluttante ad aspettare ancora. Intorno a lui, la città era meno silenziosa di quanto si aspettasse per un luogo assediato. I fuochi delle fucine della Casa delle Armi brillavano tenui in lontananza, mentre venivano forse fabbricate risorse per le forze di Ravin; la Casa dei Sospiri risplendeva di un arcobaleno di colori, come vi stesse avendo luogo una grande festa. Probabilmente i meridionali avevano voglia di divertirsi, nonostante la recente impresa. Anche le torri della Casa degli Accademici esibivano punti illuminati per tutta la lunghezza; magari il nuovo imperatore aveva affidato loro ricerche su nuovi metodi di guerra.
Imperatore? Quel pensiero fece venir voglia a Vars di vomitare lungo la strada. Era lui il re del Regno del Nord, non Ravin. O comunque lo era stato, finché Ravin non lo aveva preso di mira; a quel punto, non aveva avuto altra scelta che fuggire.
Doveva pensare solo a camminare adesso, giù verso la città, diffidando di ogni figura scorgesse. La paura faceva sì che la sua mente proiettasse diapositive dei modi in cui sarebbe potuto morire, come ritrovarsi in un vicolo buio con la gola tagliata o con il petto trafitto dalla lama di un soldato. Dovette sforzarsi per continuare a procedere senza apparire troppo furtivo, per raggiungere le case dall’architettura raffinata del quartiere nobile.
Si stava dirigendo verso i confini della città, o almeno così sperava. In verità, Vars non era sicuro di riuscire a orientarsi al buio. No, certo che ne era capace. Erano troppe le notti in cui era andato alla Casa dei Sospiri e non si era mai perso. Beh, non spesso. Era stato il governatore di tutto il territorio; era ovvio che potesse trovare una via d’uscita.
Raggiunse uno dei ruscelli tra gli isolotti della città. Erano tutti in bassa marea, dunque si affrettò ad attraversarlo per evitare di percorrere uno dei ponti. Giunse al quartiere successivo, a passo leggero, determinato a non attirare l’attenzione. Poi si accorse che vi erano delle persone sulla sua strada e desiderò ritrarsi fra le tenebre.
No, realizzò che non era quella la strategia adeguata, non con un’uniforme come la sua. Procedette a grandi falcate invece, perché era così che camminavano gli uomini di Ravin. A quel punto, le sagome si allontanarono da lui, facendolo gongolare. Era abituato a ricevere rispetto, e quello… quello lo era.
Avanzò dunque impettito, ancora in direzione delle mura, compiacendosi per il modo in cui i passanti lo osservavano, come se potesse ucciderli per capriccio. Per un attimo, gli ricordò la sensazione di vivere da principe o da re.
Forse un giorno sarebbe potuto tornare a esserlo. Forse, una volta fuori dalla città, avrebbe potuto recarsi dai nobili, dichiararsi il vero re, farli insorgere e riprendersi ciò che era suo. Sarebbe bastato rivelare chi era, e la gente sarebbe accorsa a lui.
Non lo avrebbe fatto come Aethe, però. Lei era stata sciocca ad aver provato a gestire le cose di petto; era costato la vita a lei e ai suoi seguaci. Era meglio agire da una distanza di sicurezza.
Più avanti, Vars vide una squadra di lavoro all’opera sotto la luce di torce tremolanti, sorvegliata da una coppia di guardie. Si ritrovò privato di una via d’uscita, e la paura lo inondò in un secondo per poi cedere subito il passo alla fiducia. Passò di lì e azzardò un gesto di saluto, perché era sicuro che fra guardie amiche si facesse così. Ricevette un saluto di risposta, infatti.
“Fuori da solo, fratello?” gridò una di esse. “Le ronde si fanno in coppia di solito.”
“Ho un messaggio dell’imperatore in persona,” replicò Vars. Quella bugia sembrava più sicura di qualsiasi altra. La gente dava la precedenza ai re più che alle uniformi.
“Allora dovresti sbrigarti a consegnarlo,” disse l’altra guardia, “prima… aspetta, è sangue quello?”
Passò al setaccio la camicia di Vars con la torcia, e Vars realizzò che le macchie potevano passare inosservate a distanza, essendo rossa anche l’uniforme, ma la loro tonalità scura era evidente sotto quella luce tremolante e rivelava esattamente dove aveva pugnalato l’uomo da cui l’aveva presa.
“Ho avuto uno scontro con alcuni ribelli l’altro giorno,” spiegò Vars, cercando di trovare una via d’uscita. “Sono stato ferito, ma non è niente di grave.”
“Una ferita lì, e il giorno dopo non avresti più camminato,” ribatté l’uomo.
L’altra guardia lo stava adesso fissando con un’espressione perplessa.
“Io ti conosco,” disse.
“Probabilmente dalla caserma,” replicò Vars, allargando le braccia e cominciando a indietreggiare.
“No, io ti conosco.”
“No, ti sbagli,” insistette Vars e fece qualche altro passo indietro, volendo stabilire quanta più distanza possibile fra loro.
“Ti ho visto, mentre facevo la guardia al castello. Sei quel fantoccio che l’imperatore ha umiliato davanti a tutti. Sei il re Vars!”
Lo affermò con una risata, ma avanzò nel frattempo.
“Cosa ci farebbe lui qui?” replicò Vars. “Stai dicendo che somiglio a quel… quell’uomo?”
“Non gli assomigli soltanto,” ribatté la guardia, lanciando un’occhiata al suo compatriota. “Sei lui, ci metterei la mano sul fuoco.”
“Re Vars, fuori dal castello?” domandò l’altro e sembrò impiegare un attimo a metabolizzare il da farsi. “Prendetelo!”
Vars se la stava già dando a gambe, spinto da un terrore che lo allontanava da quei due bramosi di acciuffarlo. Rimbalzava sui ciottoli, percorrendo le strade a tutta velocità, svoltando a una curva e poi a un’altra.
“Fermati subito!”