una torta salata speciale!”
“È piuttosto facile da poterne fare per cinque,” disse Tom, fraintendendo completamente il suo commento. Guardò la famigliola. “Vi andrebbe di provare una torta di carne tradizionale britannica?”
“Oh sì. Tu sei uno chef, vero?” disse Naomi con la sua voce suadente. “Beh, io ho assolutamente voglia di assaggiare una delle tue delizie…”
Lacey si coprì gli occhi, sentendosi sprofondare per l’imbarazzo.
“Meraviglioso!” disse Shirley. Evidentemente l’offerta di un pasto fatto in casa era tutto ciò che bastava per eliminare il suo velo di sospetto.
“Ottimo!” disse Tom, ignaro della reticenza di Lacey. Le diede un bacio sulla guancia. “Ci vediamo alle sette. Buona giornata, signore!” Salutò poi Frankie con un leggero pugno contro pugno. “E signori.”
Uscì dal negozio e attraversò di corsa la strada, tornando alla postazione sicura della sua pasticceria. Lacey lo guardò andare, sentendo nel petto una sensazione di pesantezza per quell’improvviso invito che Tom aveva appena offerto alla sua famiglia, cancellando quindi il loro appuntamento a due.
Si voltò quindi verso la famigliola, ansiosa per la scomparsa della zona cuscinetto rappresentata fino a poco fa dal suo adorato. Non era che lei avesse un cattivo rapporto con nessuno dei suoi parenti. Solo che c’erano un sacco di cose non dette tra loro, soprattutto in relazione a suo padre. Dopo che Francis (detto anche affettuosamente Frank, al tempo) aveva improvvisamente lasciato la famiglia quando Lacey era ancora una bambina, Shirley si era rifiutata di parlare ancora di lui. E anche se Naomi aveva dato al figlio il suo nome, comunque non se ne parlava mai. In effetti nessuno aveva neanche mai espresso apertamente dei commenti sul nome del bambino. Shirley aveva immediatamente iniziato a chiamarlo Frankie – probabilmente per evitare che qualcun altro iniziasse a dargli il soprannome di Frank – e Naomi aveva semplicemente finto che quel nome le piacesse e basta. E dato che le cose non dette avevano la tendenza a gonfiarsi sempre più – come grossi buchi neri che poi inghiottono tutto e non si lasciano dietro nient’altro che antimateria – il legame madre-figlia-sorella era stato intaccato in maniera significativa.
“Allora, Lacey?” disse Shirley con tono impaziente. “Quando pensi di farci fare un giro della città?”
Frankie sembrava elettrizzato. “Sì! Un giro! Un giro! Voglio vedere le montagne!”
“Non ci sono montagne a Wilfordshire,” iniziò a dire Lacey, prima di essere interrotta dalle voci simultanee di Naomi – “Io voglio andare a bere una pinta di birra al pub” – e Shirley: “Questo posto sembra essere saltato fuori da un film.”
“Nessun giro,” esclamò Lacey, alzando le mani in segno di STOP. Ma lo disse con tono un po’ troppo forte e deciso. Tutti fecero silenzio, guardandola con espressioni abbattute.
“Ho un negozio da mandare avanti,” disse lei rapidamente, cercando di spiegarsi. “Non posso mollare tutto senza preavviso.”
“Ma certo che puoi,” disse Gina intromettendosi. “Questa mattina te ne sei andata per portare Chester dal veterinario, no?”
“Motivo in più per non lasciarti da sola un’altra volta,” disse Lacey annaspando.
“Sciocchezze,” rispose Gina. “Posso occuparmi del negozio. Sai che sono sempre felice di farlo. Te l’ho spiegato benissimo. E diciamocelo chiaramente: devi sempre assentarti per qualche imprevisto motivo. Che problema c’è se ne aggiungiamo un altro alla lista?”
Chiaramente Gina pensava di esserle d’aiuto. Non si rendeva conto che Lacey in realtà non voleva passare una giornata intera con la sua famiglia, senza essersi prima preparata psicologicamente!
“E il Lodge?” chiese alla fine, aggrappandosi disperatamente a una scusa. “Non vai a lavorare lì al giardino il pomeriggio? Non vorrai abbandonare Suzy.”
Gina rise. “Ho finito con i miei lavori al Lodge. Sono di nuovo tutta tua. E poi c’è il giardino qui che sta iniziando a dare segni di incuria. Ci sono pomodori non raccolti che stanno marcendo nell’orto, dato che qualcuno non capisce quando siano abbastanza maturi da essere raccolti,” le disse con sguardo eloquente.
“Lacey!” la rimproverò Shirley, come se lei – una residente di New York – fosse un’esperta nella coltivazione dei pomodori.
“Significa che oggi sei libera?” chiese Frankie con tono esaltato, tirandole la maglietta.
“Ha-ha,” disse lei, sforzandosi di cancellare la frustrazione che provava, per non deluderlo. “Immagino di sì…”
Un cane malato. Un’improvvisa intrusione famigliare. Le cose non stavano esattamente andando secondo programma. E ora che la sua famiglia sarebbe venuta con lei anche al suo appuntamento serale, si stava chiedendo di quanto ancora la situazione sarebbe potuta peggiorare.
CAPITOLO QUATTRO
“Possiamo entrare lì?” giunse la voce eccitata di Naomi da dietro le spalle di Lacey.
Stringendo i denti, Lacey ruotò di 180 gradi per guardare sua sorella in faccia.
Per ora l’allegra famigliola era arrivata alla fine della via principale senza imbattersi in persone del posto, cosa che non era stata per niente facile. Lacey aveva fatto il possibile per tenere Shirley alla larga dalla boutique di Taryn, e Frankie a debita distanza dal negozio di giocattoli di Jane, ma ora Naomi si era fermata fuori dalla Coach House Inn e stava sorridendo entusiasta.
“Avevamo detto che prima saremmo andati alla spiaggia,” le ricordò Lacey, sentendosi come un’insegnante durante una gita scolastica, intenta a tenere a bada un gruppo di discoli scolaretti, guidandoli verso la loro destinazione.
Anche se la spiaggia sarebbe stata piena di gente, vi avrebbero trovato per lo più turisti, e le loro possibilità di mescolarsi anonimamente con la folla erano molto più elevate lì. Ma se fossero entrati al Coach House, era scontato che vi avrebbero trovato qualcuno del posto. E se Brenda, la cameriera pettegola, avesse visto Lacey con la sua rumorosa famiglia americana, la notizia si sarebbe diffusa a macchia d’olio nella cittadina in un batter d’occhio. Lacey sapeva benissimo quale fosse l’accoglienza riservata agli americani in quella cittadina, e aveva lavorato sodo lei stessa per staccarsi di dosso l’etichetta da straniera.
“Ma io voglio una bella pinta di nera,” disse Naomi facendo il broncio come un bambino disobbediente.
“Nessuno la chiama così qui,” le disse Lacey, ormai esasperata. “E poi è troppo presto per l’alcool. E poi Frankie non potrebbe entrare. È troppo piccolo.”
“Davvero?” disse Naomi con tono sorpreso. “Pensavo che tutti i bambini europei bevessero vino a tavola.”
“Vino?” esclamò Frankie con eccitazione, tirando la maglietta di Lacey. “Posso bere il vino?”
Lacey scosse la testa. “Sono i bambini francesi che bevono vino. Nel Regno Unito sono severi quanto noi in materia di alcolici.”
Era un bluff. L’età per bere era di diciotto anni in Inghilterra, e i bambini potevano entrare nella maggior parte dei pub durante il giorno, se accompagnati da un adulto. Ma non era necessario che Naomi lo sapesse.
“Io voglio davvero andare in spiaggia,” disse Shirley. “È da tantissimo tempo che non vedo l’oceano.”
“Visto!” disse Lacey, cogliendo la palla al balzo. “Facciamoci una camminata sulla Promenade. Poi possiamo andare a vedere le rovine del vecchio castello.”
“È un castello scozzese?” chiese Frankie, tirando la mano di Lacey mentre riprendevano il cammino.
“Non è scozzese,” gli spiegò lei. “Siamo in Inghilterra. La Scozia è molto distante da qui. E poi cos’è tutta questa ossessione per la Scozia? Da dove è saltata fuori?”
Naomi ruotò gli occhi e rispose per lui. “Uno dei suoi compagni di classe ha fatto una festa di compleanno a tema Braveheart. Frankie ha fatto il collegamento dei capelli rossi e tutto è partito da lì. Quando la mamma gli ha chiesto cosa