detto questo, accese il motore e liberò il posto macchina, salutando Angus con la mano mentre usciva e si allontanava. Mentre lasciava l’edificio, si rifiutò di guardarsi alle spalle e tenne gli occhi fissi davanti a sé, evitando con tutta se stessa di sbirciare nello specchietto retrovisore.
C’era un assassino nella Alpi. forse un serial killer. Due coppie scomparse, a distanza di trecento chilometri l’una dall’altra. Priorità. Doveva concentrarsi. Adele strinse il volante, cacciando via dalla propria mente i pensieri di Angus e facendo un elenco di tutto ciò che le sarebbe servito per il viaggio. Mentre guidava, uscita dal parcheggio, iniziò a prendere velocità e un sorriso le curvò le labbra.
La caccia aveva inizio.
Prima classe, niente scali. Questa era vita. O almeno lo sarebbe stata senza le immagini sanguinolente della carneficina, ora disposte sul tavolino reclinabile davanti a lei. Adele studiava le foto della scena del crimine, ascoltando il ronzio dei motori del jet e alzando lo sguardo di tanto in tanto per assicurarsi che non ci fossero hostess di passaggio. Aveva imparato nel modo più duro, qualche anno prima, quale impatto avessero quelle foto sul pubblico in generale.
Far svenire un’altra assistente di volo durante la traversata atlantica? Meglio di no.
Adele si spostò, scivolando lungo lo schienale imbottito per schermare alcune delle foto da sguardi indiscreti. Il signore e la signora Beneveti erano stati trovati due giorni fa, i pezzi sparpagliati tra gli alberi. Il signore e la signora Hanes, coppia svizzera, erano scomparsi quasi una settimana prima di allora, e non erano ancora stati rintracciati.
Qualche centinaio di chilometri separava le due coppie scomparse. Unici collegamenti tra loro: benestanti, influenti, nelle Alpi.
Adele corrugò la fronte e allungò una mano, prendendo un sorso della sua acqua ghiacciata per poi rimettere il bicchiere al suo posto. Emise un lungo respiro, il cui suono andò a perdersi tra le vibrazioni della ventola del condizionatore sopra alla sua testa. Tamburellò con le dita sul bordo del tavolino, piegando una delle foto che si rifiutava di stare dritta e piatta.
“L’attacco di un orso?” mormorò tra sé e sé, permettendo alla domanda di permeare l’atmosfera circostante.
Non sembrava che fosse così. Non secondo il rapporto preliminare, anche se stavano ancora aspettando il medico legale. Eppure una rapida ricerca online rendeva palesemente chiaro che il pubblico era ancora convito che gli orsi bruni fossero tornati a popolare le Alpi. Ma non c’erano segni di morsi, e alcune porzioni di corpo che sembravano aver subito la furia di artigli, potevano essere stati facilmente ridotti in quello stato da un’ascia o da una piccozza. Alcuni dei tagli erano slabbrati. Giusto… un’ascia arrugginita magari. Un machete poco affilato?
Adele sussultò al pensiero dei due abbracciati tra i boschi gelidi, usciti per una gita in giornata e finiti da…
Da cosa? da chi?
Adele scandagliò ancora le foto, catalogando le informazioni. C’erano agenti dell’FBI molto più svegli di lei, altri che erano più precisi e altri ancora con un ottimo talento naturale. Ma ce n’erano pochissimi che lavorassero sodo quanto lei, che prestassero la medesima attenzione al dettaglio.
Il diavolo stava nei dettagli. E a quanto pareva anche nelle Alpi.
CAPITOLO CINQUE
Il veicolo che avevano mandato a prenderla accostò fuori dal Wolfsschluct Resort e, ringraziato l’autista, Adele uscì dall’auto, felice di poter allungare le gambe e inspirare un po’ di aria fresca. Dall’interno l’autista la chiamò. “Le servono indicazioni?”
Adele si guardò alle spalle e scosse la testa. “No, grazie. Viene una persona a prendermi qui.”
L’autista la salutò, voltandosi a guardare la strada. Adele recuperò il suo bagaglio: non le era mai piaciuto faro fare agli autisti, anche se alcuni agenti lo consideravano un privilegio.
Con il trolley su ruote stretto in una mano, rimase ferma alla rotonda al centro del resort. Quando aveva sentito nominare la prima volta il Wolfsschluct Resort, si era inizialmente figurata un albergo con un paio di piste da sci, magari una o due piscine interne. Ma ciò che aveva davanti adesso sembrava più un intero villaggio spruzzato di neve e circondato da ogni lato dallo scenario più candido e immacolato che Adele avesse mai visto.
Mentre stava sul bordo della rotonda, subito sotto il marciapiede dell’hotel più grande, osservò la serie di vetrine azzurre e i pittoreschi edifici disposti lungo la strada che portava al valico montano, dove si ergevano delle baite e altre ali dell’hotel, il tutto circondato dalle cime innevate e da un po’ di vegetazione disseminata qua e là. C’era addirittura una chiesetta di pietra e una torre idrica dove si leggeva il nome del resort.
Suo padre l’avrebbe definito un momento divino. La bellezza era di per sé ipnotica: la perfetta fusione di sforzo umano e arte naturale.
Adele guardò la sua valigia mentre rimetteva in ordine i pensieri, cercando di concentrarsi sul motivo per cui si trovava lì.
“Salve!” la chiamò una voce dall’interno dell’hotel che aveva davanti. L’edificio sembrava essere fatto più di vetro che di muri, come se gli architetti non avessero voluto sprecare nessuna opportunità per mettere in bella vista le bellezze delle Alpi.
Adele si voltò verso le porte scorrevoli che si erano aperte lasciando apparire una giovane donna sulla ventina che si fermò sulla soglia e la salutò allegramente con la mano.
Adele sorrise, riconoscendo la ragazza. Aveva i capelli molto più corti dell’ultima volta che si erano incontrate. Quasi rasati a dire il vero. Tutto in lei suggeriva pulizia e ordine. Indossava un abito nero e un paio di stivali che sembravano luccicare per la buona dose di cera applicata. Aveva gli occhi svegli e vivaci e agitò la mano per salutarla, anche se poi interruppe il movimento a mezz’aria facendole un cenno con la testa, forse temendo che il suo entusiasmo potesse essere considerato poco professionale.
“Salve,” le disse di nuovo mentre Adele si avvicinava, portandosi sul marciapiede e prendendo la valigia in una mano e la borsa del portatile nell’altra. “Sono l’agente Beatrice Marshall,” disse, chinando in segno di saluto la testa rasata. Parlava un inglese quasi perfetto, con un leggerissimo accento tedesco.
Adele rispose al saluto. “Lo so,” le disse, sempre in inglese. “Abbiamo già lavorato insieme.”
Il sorriso dell’agente Marshall ricomparve. “Ricordo! Ma non ero sicura che te ne ricordassi anche tu, agente Sharp. È un piacere lavorare di nuovo con te.”
“Idem per me. Allora…” Il tono di Adele si fece più cupo mentre lei si soffermava un secondo sulla soglia del lussuoso hotel. L’atrio era una combinazione di travi in legno laccato e pietra naturale. Una piccola cascata sgorgava in delicati zampilli riversandosi in un laghetto vicino al banco della reception. Un uomo in uniforme bordeaux e oro salutò educatamente con un cenno della testa le due donne, ma poi riportò l’attenzione al computer del check-in.
“Allora…?” ripeté l’agente Marshall. “Posso mostrarti la tua stanza se vuoi.”
Adele si fermò. “Sarebbe perfetto. Questo è il resort dove alloggiava la coppia scomparsa, giusto?”
L’agente del BKA arricciò il naso e annuì. “Sono stati trovati ad appena tre chilometri da qui da una delle squadre di salvataggio montano. Sono qui in attesa, se ti va di parlarci.”
Adele ci rimuginò sopra, mordendosi il labbro, ma poi decise per il no. “A breve magari. Ma vorrei mettermi in contatto con il DGSI e fare qualche chiamata, se non è un problema.”
“L’agente Renee!” esclamò la giovane. “Ricordo!”
Adele si accigliò. “Non solo John, ehm, l’agente Renee. Ci sono altre persone con cui ho bisogno di parlare.”
“Certo, sì, certo. Non volevo alludere a niente.”
Adele si accigliò di più e l’agente Marshall parve rendersi conto che stava avanzando su un campo minato. “Bene che sei arrivata ben attrezzata per il