pensare, ma poi disse: “No, niente. Anche se ho sentito che era gente ricca, potente. Peccato che gli sia successa ‘sta cosa. Serve proprio a mostrare che i soldi non comprano tutto, mi sa.”
“Grazie,” disse Adele con tono educato. Poi attraversò la scena del crimine, lentamente e delicatamente, gli occhi sollevati rispetto al terreno. Il suolo ricoperto di neve forniva poco in termini di prove fisiche. Le foto della scena del crimine che aveva studiato sull’aereo erano più vicine al momento dell’aggressione, con meno precipitazioni nevose fresche. Ma gli alberi… gli alberi erano ancora esposti, visibili.
Non c’erano tagli o graffi sui tronchi, né vicino ai piccoli rametti alla base degli abeti. Adele non era molto esperta di orsi, ma sapeva che era strano che gli alberi stessi fossero rimasti intatti dopo l’incursione di due tonnellate di muscoli e pelo, ipoteticamente scagliati là sotto all’inseguimento dei due sciatori in fuga.
No. Le foto della scena del crimine suggerivano un’accetta, o una piccozza. Arrugginita, forse, non affilata. Ma un attacco umano, decisamente umano. Chiunque fosse l’assassino, però, doveva sapere bene come muoversi nella zona. Il percorso di sci alpinismo era conosciuto, ma non ovvio. Chiunque avesse ucciso i Beneveti, li aveva aspettati, osservati.
Ora toccava ad Adele scoprire perché.
“Vedi niente?” chiese l’agente Marshall.
Adele si guardò alle spalle e le rispose scuotendo leggermente la testa. “Niente di nuovo. Quando hai detto che aprirà il nuovo resort?”
“Domani,” disse la Marshall con tono netto, gli occhi che sfrecciavano a Luka e poi di nuovo ad Adele.
“Milionari, politici e un omicidio,” disse Adele con un sorriso privo di umorismo. “Sembra l’inizio di un film.”
E dopo un’ultima occhiata agli alberi e al suolo innevato, Adele e i due tedeschi si voltarono e iniziarono la loro camminata per tornare in direzione del resort. Adele poteva solo sperare che in qualche modo il caso di John e Robert stesse procedendo meglio in Francia. Sperava che la coppia svizzera non avesse incontrato lo stesso orribile destino dei Beneveti.
CAPITOLO SETTE
“Secondo cancello fino ad ora,” mormorò John in francese. “A cosa fanno la guardia qua dentro, hein? A una catasta d’oro?” Scrutò accigliato attraverso il parabrezza leggermente oscurato mentre i cancelli automatici si aprivano davanti al veicolo del DGSI e il suo collega conduceva l’auto lungo il vialetto.
“È un resort molto esclusivo,” disse Robert con pazienza. “Prendono sul serio la loro sicurezza.”
John lanciò un’occhiata all’uomo, molto più basso di lui, e inarcò un sopracciglio. “Amici tuoi?”
Robert guidò il veicolo lungo il silenzioso viale verso il resort che si vedeva in lontananza. Il complesso era impressionante per le sue dimensioni. Poche altre nazioni potevano competere con tutti quegli ettari di piste da sci e impianti di risalita, per non parlare dei villaggi collegati dalle funivie che scorrevano sospese in aria, o dai sentieri di sci alpinismo che erano disseminati per le montagne.
Da ogni parte il viale che ora stavano percorrendo era costeggiato da decorazioni, incluse sculture e pittoreschi gazebi in legno e vetro sotto ad antichi e torreggianti alberi. Un paio di guardie – con le armi di ordinanza nascoste alla vista – sorrisero educatamente da sotto i loro berretti blu e fecero un cenno di saluto mentre l’auto passava oltre. Uno dei due si soffermò più a lungo con lo sguardo sul veicolo del DGSI. Probabilmente erano mesi che non vedeva una normale berlina, ma solo le appariscenti coupé dei turisti ospiti.
“Bonjour!” esclamò il soldato, portandosi una mano al berretto. Addirittura la guardia stava sorseggiando una tazza di vin brulè, e sembrò infilare velocemente una sigaretta in un posacenere vicino quando li vide avvicinarsi.
John poteva riconoscere un militare dell’esercito a un miglio di distanza. E le ultime sei guardie che avevano incontrato avevano tutte quell’aspetto. La sorveglianza privata costituita da ex-militari non era economica. Ma del resto, niente all’interno di questo resort sembrava esserlo.
Robert si schiarì la gola. “Non tutti quelli che hanno i mezzi sono simili tra loro,” disse.
“I mezzi? Intendi che sono ricchi sfondati, oui?”
Robert si accigliò un poco, le mani che stringevano il volante nella perfetta posizione delle dieci e dieci, gli occhi doverosamente incollati alla strada davanti a sé. Aveva i capelli pettinati all’indietro e quando parlava, di tanti in tanto John scorgeva i due denti mancanti tra gli incisivi dell’uomo.
Non era ancora sicurissimo di come inquadrare quell’ometto. La ex collega di Robert, Adele, lo adorava davvero, e quell’investigatore era effettivamente un po’ una leggenda nel DGSI, ma per metà del tempo John trovava impossibile capire cosa pensasse l’anziano francese.
“Dove parcheggiamo?” gli chiese, mentre uscivano da una rotonda e si infilavano in mezzo a dei vecchi pilastri di pietra che si innalzavano di fronte a quattro ampie vetrate scorrevoli in cima a una scala di marmo leggermente incurvata.
“Non parcheggiamo,” disse Robert cerimoniosamente.
Si tirò via i guanti da guida e spense il motore. Poi si infilò con grazia un paio di muffole di lana che aveva sul sedile posteriore. John guardò l’intera scena con sguardo divertito.
“Bei guantini,” disse.
“Grazie. E grazie.” Il secondo grazie era rivolto all’inserviente che era accorso e aveva aperto la portiera di Robert.
“Signor Henry!” esclamò l’uomo. “Che bello vederla!”
Robert si rifiutò di guardare John mentre rispondeva al saluto e usciva rigidamente dal veicolo, porgendo le chiavi all’inserviente. Il giovane con berretto rosso e divisa cremisi sorrise educatamente a John mentre un secondo aiutante si affrettava ad aprire la portiera dal lato dell’alto agente del DGSI.
John si grattò la cicatrice sotto al meno, poi con un certo disagio uscì dal veicolo.
Robert si sistemò le maniche. Aveva insistito per indossare un completo con caban per stare caldo. John invece portava due felpe, una sopra all’altra. Robert si era offerto per ben due volte di comprargli una giacca mentre viaggiavano verso le Alpi, ma John aveva rifiutato. Per lo più, anche se non gliel’aveva detto, per il divertimento che provava nel vederlo a disagio ogni volta che l’uomo scorgeva il bordo consumato di una delle sue felpe che sbucava da sotto l’altra.
“Bagagli?” chiese l’inserviente che aveva aperto la portiera di John.
L’alto agente francese sbuffò, allungando le gambe nell’uscire dall’auto. “Il vecchio ha qualcosa, io no.”
Il giovane guardò John in modo strano, ma annuì per mostrare che aveva capito, poi corse verso il baule dell’auto e afferrò le tre diverse valigie di Robert.
John guardò con pungente umorismo l’inserviente che portava le valigie su per le scale in marmo facendo un gradino alla volta. Non era certo di cosa servisse così disperatamente a Robert da rendergli necessario l’utilizzo di tre valigie. John era relativamente sicuro di non aver mai fatto una sola valigia in vita sua. Si sarebbero fermati lì solo qualche giorno: quello che non sarebbe riuscito a comprare in un negozio di souvenir, l’avrebbe probabilmente trovato al banco degli oggetti smarriti. Tutti gli hotel eleganti ne avevano uno.
Lanciò un’occhiata alle porte scorrevoli con un’espressione severamente sospetta mentre Robert risaliva con le gambe rigide i gradini di marmo e aspettava che l’inserviente – che ancora stava portando la sua ultima valigia – si fermasse, posasse il bagaglio a terra e aprisse la porta con un sorriso, per poi entrare nell’atrio del resort.
Per un momento, al freddo, Robert si fermò, fece una smorfia e tossì.
“Tutto bene?” gli chiese John.
Ma Robert si limitò a fare un gesto di noncuranza con la mano ed entrò nell’hotel.
John lo seguì, infilandosi