Sotto quella luce violenta, tutte le rughe che aveva tentato disperatamente di nascondere sembravano addirittura brillare. Aveva ancora un corpo atletico, ma era sempre più difficile mantenerlo così. Erano cinque anni ormai che resisteva all’impulso di farsi rifare. Per quanto bravo potesse essere un chirurgo plastico, quando un viso appariva sul megaschermo di un cinema, era quasi sempre facile dire chi avesse richiesto un aiutino in più. Ma forse era davvero giunto il momento anche per lei.
Molto sarebbe dipeso da questo film. Se andava bene, avrebbe potuto aspettare ancora qualche anno prima di mettersi sotto al bisturi. Se invece si fosse rivelato un flop, il suo futuro prossimo prevedeva una bella dose di limatine e risistemate qua e là. Questo genere di preoccupazioni non le erano mai passate per la testa quando era ancora la nuova e ingenua ragazzina sexy di Hollywood.
Dopo aver rotto il ghiaccio più di dieci anni fa con la commedia romantica Petali e irascibilità, aveva raggiunto la tanto ambita notorietà nel Predone, il famoso thriller-horror psico-sessuale. Il suo personaggio, Chastity Ronin, era tecnicamente una vittima, ma era anche una tipa tosta che alla fine girava le carte in tavola davanti al suo stalker assassino.
Il film era un successo sia di critica che al botteghino e, sulla scia di Petali e irascibilità, l’aveva piazzata come vera star emergente. Purtroppo il sequel aveva fatto acqua. Negli undici anni che erano passati i ruoli del film erano diventati meno intriganti, e alla fine avevano perso sostanza. Recentemente si era ridotta a presentare un gioco televisivo in prima serata con bambini di talento che fingeva di trovare adorabili.
Ma poi aveva trovato quella elusiva pepita d’oro, effettivamente con un po’ di aiuto e la pressione esercitata nel modo giusto. Era in corso un rifacimento del Predone, e la regia era stata affidata a un blasonato regista di horror europeo, Zyskowski, che calzava a pennello con lo spirito fiabesco e sofisticato dell’originale. E Corinne era tornata a recitare nella parte di Chastity. Era roba potenzialmente interessante, il genere di ruolo che poteva riposizionarla in corsa, se tutto fosse andato per il verso giusto.
Ma c’era gente come Terry Slauson che stava mandando tutto all’aria. Circondata da incompetenti e con un copione che ora stava iniziando a vedere più limitato di quello che inizialmente aveva pensato, il film non le sembrava più tanto un lancio verso il successo. E anche se le piaceva avere il controllo sulle cose, stava iniziando a chiedersi se non fosse stato un errore insistere con lo studio perché assoldassero un regista che lei avrebbe potuto comandare a bacchetta. Se questo affare non fosse andato a buon fine, si sarebbe trovata ridotta a fare film per la TV nello stile di Sharknado.
Forse avrei dovuto lasciare che scegliessero qualcuno con la forza di volontà di seguire il proprio punto di vista.
Il suo momento di riflessione introspettiva venne interrotto da qualcuno che bussava alla porta.
“Chi è?” chiese con tono irritato.
Quella ragazza deve tirare fuori il carattere.
Si alzò in piedi e aprì la porta della roulotte.
“Cosa c’è?”
Sembrava che Monica fosse sul punto di mettersi a piangere.
“Anton dice che per stasera abbiamo finito. Quando ha detto a Terry che non avrebbe finito la scena, lui ha lasciato il set. L’ho sentito dire qualcosa come di un reclamo da presentare mentre se ne andava.”
“Che faccia,” ribatté Corinne. “E io presenterò reclamo per come mi ha malmenata.”
Manica annuì docilmente, chiaramente non intenzionata a mettersi a discutere.
“Anton dice che non possiamo andare avanti fino a che i produttori non risolveranno…”
“Io sono un produttore,” ribatté Corinne con tono secco.
“Penso si riferisse ai produttori dello studio, i tizi dei soldi. Ad ogni modo, ha detto che per stasera abbiamo finito. Il tuo orario di inizio domattina è le nove. Spera di aver già sistemato tutto per allora.”
“Bene. Tanto ho comunque bisogno di una bella nottata di sonno.”
Monica annuì. Era evidente che voleva dire qualcos’altro, ma aveva paura di farlo.
“Sputa il rospo,” disse Corinne irritata.
“È solo che… serve che le faccia qualcos’altro per questa sera, signorina Weatherly? Speravo di poter andare in farmacia a prendere una ricetta. Chiudono tra venti minuti.”
Corinne trattenne l’impulso di fare un commento maligno sulla potenziale natura del medicinale che le serviva. Abbassando lo sguardo, vide che la ragazza stava leggermente tremando, apparentemente terrorizzata. Per un brevissimo istante, Corinne si sentì in colpa. Voleva che Monica scattasse sull’attenti davanti ai suoi ordini, ma farla tremare di paura le fece venire in mente che forse aveva un po’ esagerato.
“Vai pure,” le disse, cercando di non apparire troppo comprensiva. “Ma mi aspetto che domani arrivi qui prima di me, con il mio caffè freddo. Ormai dovresti aver capito come mi piace, no?”
“Ho l’ordinazione già pre-compilata sulla app,” le assicurò Monica.
“Bene. Mi fa piacere che tu stia imparando.” E detto questo, le chiuse la porta in faccia prima che Monica potesse risponderle.
Sospirando pesantemente, Corinne fece una rapida tappa al bagno e poi raccolse le sue cose dal letto dalla parte opposta della roulotte.
Si rese conto che avrebbe dovuto dire a Monica di portarle la macchina dal garage. Erano cinque minuti a piedi da lì. Considerò l’idea di richiamarla, ma decise di lasciar stare, dato il discorso delle medicine. Non voleva che la ragazza crollasse a causa di un qualche patetico malanno che poteva esserle capitato, e poi trovarsi i tabloid schierati addosso a dargliene la colpa.
Spense la luce principale e si voltò per spegnare uno degli specchi per il trucco. A quel punto la vide. Scritta sul vetro in caratteri cubitali con quello che sembrava proprio il suo rossetto rosso c’era una parola. Un nome, a dire il vero. Lo riconobbe immediatamente, ovviamente. Come poteva non farlo? Negli ultimi dieci anni non era passato giorno senza che pensasse a quella persona. Ma non aveva idea di come fosse arrivato lì. Lo specchio era pulito quando prima si era soffermata a controllarsi le rughe.
Corinne si guardò attorno confusa. E poi, nell’ombra alle sue spalle, scorse del movimento, qualcuno che veniva verso di lei con una corda tesa tra le mani. Prima che potesse voltarsi o reagire, sentì la corda che le si serrava attorno al collo e stringeva. Nello specchio del trucco vide che il suo aggressore indossava un passamontagna nero, proprio come quello del Predone nella scena che avevano appena girato.
Lottò per liberarsi, ma ogni movimento sembrava solo far stringere ancora di più la corda. Cercò di inspirare una boccata d’aria, ma non gliene entrò in corpo neanche un soffio. Mentre iniziava a scivolare a terra, il cuore che batteva di paura, il cervello che le esplodeva nel panico più totale, le venne in mente un pensiero strano e inaspettato: confronto a questo, il tentativo di Terry Slauson di stringerle il collo appariva quasi tenero.
Prima di avere la possibilità di riconoscere l’ironia della sua considerazione, era già morta.
CAPITOLO DUE
Jessie Hunt mise il telefono in modalità silenziosa e si distese tranquilla a letto con gli occhi chiusi, sperando di addormentarsi subito. Dopotutto non doveva andare da nessuna parte.
Ma non servì a nulla. La sua mente stava già galoppando, nonostante i suoi migliori sforzi per farla rallentare. Era lunedì mattina. Avrebbe dovuto essere un giorno rilassante, almeno confronto a quella che era la routine in quel periodo. Non aveva incarichi per le mani. Non doveva fare fretta ad Hannah perché si preparasse per andare a scuola. Con una sola eccezione, il suo programma era esattamente quello che avrebbe voluto. Eppure si sentiva rosa dalla pressante sensazione di avere del lavoro da fare. Si mise a sedere.
Il movimento le mise il corpo in condizione di totale disagio. La spalla malandata le faceva male, probabilmente per averci inavvertitamente dormito appoggiata sopra. E la pelle ancora irritata alla base della schiena le dava una sensazione