Poi vi mise sopra quella di Ryan. Lo guardò e sorrise. Lui rispose socchiudendo un poco gli occhi, segno che stava tentando di ricambiare il sorriso.
“Vorrei che provassi a sollevare il dito indice. Ci riesci?”
Dopo quella che parve una pausa interminabile, Ryan sollevò leggermente il dito, per poi riappoggiarlo subito.
“Fantastico, Ryan. Ora pensi di poter fare lo stesso con il mignolo?”
Ryan strizzò gli occhi e Jessie sentì il suo palmo che premeva debolmente contro la sua mano, mentre riusciva ad alzare di un millimetro il dito, prima di abbandonarlo di nuovo giù.
“Stai andando davvero molto bene, Ryan,” gli assicurò il dottor Badalia. “Possiamo provare un altro esercizio?”
Ryan sbatté le palpebre.
“Ok, questo è un po’ più difficile. Vorrei che provassi a piegare tutte le dita della mano, in modo da formare un pugno. Quando te la senti.”
Jessie sentì la mano di Ryan che tremava leggermente nello sforzo di piegare le dita per chiuderle in un pugno. Ma non successe nulla. Ryan strizzava gli occhi, chiaramente sotto sforzo. Uno dei monitor che si trovavano a lato iniziò a suonare con ritmo più accelerato.
“Va bene così, Ryan,” disse il dottor Badalia con tono calmante. “Hai dimostrato un grosso sforzo. Arriverà a suo tempo. adesso prenditi una pausa.”
Ma Ryan chiaramente non aveva intenzione di fermarsi. Teneva ancora gli occhi chiusi e il suo palmo stava vibrando sopra alla mano aperta di Jessie. Di colpo aprì gli occhi e Jessie vide che era furioso per la frustrazione. Il segnale acustico del macchinario stava accelerando ancora.
“Ok, Ryan,” disse il dottor Badalia, la voce ancora calma mentre si avvicinava al macchinario. “Pare che ti stai agitando un po’. Quindi ti darò una leggera dose di sedativo per aiutarti a dormire.”
Gli occhi di Ryan scattarono verso Jessie. Lui parve andare nel panico, come se la stesse silenziosamente implorando di non permetterlo.
“Va tutto bene tesoro,” gli disse lei, cercando di nascondere l’angoscia che provava dentro. “C’è solo bisogno di tempo. Riposati un po’. Possiamo riprovarci dopo.”
Lui batté le palpebre due volte, fece una pausa e poi provò di nuovo. E poi ancora. Solo al quarto disperato tentativo di dirle che non voleva essere sedato, il farmaco iniziò a fare effetto. I movimenti delle palpebre rallentarono e poi si fermarono del tutto. Gli occhi rimasero chiusi.
Jessie guardò il dottore mentre si asciugava le lacrime.
“Parliamo fuori,” le disse lui con tono cortese. “Non si sa mai quanto possano sentire.”
Jessie lo seguì lungo il corridoio, fino alla sala d’attesa, dove entrambi si sedettero.
“Come se la sta cavando?” le chiese.
“Tiro avanti,” rispose lei rapidamente. “Non serve che mi tiri su il morale o che tenti di indorare la pillola, dottore. Mi dica semplicemente a che punto siamo.”
“Ok. Quello che abbiamo appena visto è promettente. So che Ryan alla fine è rimasto frustrato. Ma avere anche una minima mobilità a questo punto, considerato quello che ha passato, è un segno positivo. Detto questo, ha davanti a sé una strada lunga e difficile. Anche se non ci sono danni a lungo termine, solo il fatto di restare allettato e attaccato a un respiratore artificiale per così tanto tempo può essere debilitante. Avrà bisogno di un sacco di terapia fisica per riacquistare le funzioni motorie di base. Camminare sarà una sfida enorme. Potrebbero volerci mesi. E oltre a questo potrebbe ritrovarsi con danni permanenti alle corde vocali.”
Jessie sospirò ma non disse nulla, quindi il dottor Badalia proseguì.
“Questo è lo scenario migliore che possiamo aspettarci. Ma deve prepararsi anche ad altri risvolti. Potrebbe accusare altri danni che ancora non siamo in grado di accertare.”
“Tipo che cosa?”
“Tipo dei danni al sistema nervoso causati dalla ferita del coltello. E potrebbero anche esserci danni permanenti ai polmoni. Alcune persone si riprendono del tutto da cose del genere. Altre richiedono assistenza costante: bombole di ossigeno, tubi per respirare, cose del genere. E c’è sempre la possibilità che abbia sofferto dei danni cerebrali.”
Jessie lo guardò stupefatta. Era la prima volta che le dicevano una cosa del genere.
“Ha notato segni che possano indicare una cosa simile?”
“A questo punto è ancora troppo presto per dirlo. So che lei ha prestato le prime misure di soccorso dopo che è stato aggredito, ma c’è stato un certo tempo durante il quale ha avuto accesso limitato all’ossigeno. Le sue reazioni di ieri notte e di adesso si mostrano promettenti. Sembrava capire quello che stavamo dicendo, reagendo di conseguenza. Ma gli abbiamo fatto delle domande facili e gli abbiamo chiesto di eseguire dei compiti semplici. Ci vorrà un po’ per poter testare possibili perdite di memoria o danni alle funzioni principali del cervello.”
“Perdite di memoria?” ripeté Jessie. I colpi continuavano a succedersi.
“Sì. A volte le ferite da trauma, il coma indotto o la privazione di ossigeno possono portare a perdita della memoria a breve termine o addirittura permanente. Lui ha subito tutte e tre le situazioni, quindi non possiamo escluderlo.”
Jessie rimase seduta in silenzio, cercando di elaborare tutte le terribili notizie.
“Senta, mia ha chiesto di non indorarle la pillola, e così ho fatto. Ma nessuno di questi risultati è assicurato. Potrebbe tornare in piena forma e come nuovo in un tempo che va da otto a dodici mesi.”
“Oppure?” insistette Jessie, con la netta sensazione che non fosse finita lì.
“Oppure potrebbe avere bisogno di cure costanti e permanenti in una struttura di degenza a lungo termine. E rimane sempre la possibilità che torni indietro e ci porti ad affrontare lo scenario peggiore. Attualmente ci troviamo in un momento molto labile.”
“Wow,” disse Jessie, scuotendo la testa incredula. “Sono riuscita a tenergli la mano e a guardarlo negli occhi. Diciamo che non pensavo che le cose prendessero una svolta così negativa.”
Rimasero entrambi in silenzio per un momento.
“Signorina Hunt, posso darle un piccolo consiglio?”
Jessie sollevò lo sguardo. Il volto normalmente severo del medico si era leggermente ammorbidito.
“Certo.”
“So qual è il suo lavoro, quindi so che è abituata a lavorare in modo metodico sulle problematiche che le si presentano, trovandosi sempre con un certo livello di controllo sulla situazione. In quanto medico, anch’io conosco quella sensazione. Ma la verità è che in questo caso il controllo che abbiamo è davvero minimo. Lei può venire qui, dargli sostegno e comunicare a Ryan tutto il suo amore e la sua presenza. Ma a questo stadio del processo, non le farà bene preoccuparsi di ciò che potrebbe accadere. È fuori dal suo controllo. E tutta la preoccupazione non farebbe che stancarla, impedendole di essere qui per Ryan nel modo in cui lui ne ha bisogno.
“Quindi ecco il mio consiglio: quando sta con lui, sia pienamente presente in quel momento. Ma quando non è qui, faccia la sua vita. Esca con gli amici. Si beva un bicchiere di vino. Faccia una passeggiata. E non si senta in colpa per questo. Quei momenti di stacco la aiuteranno ad avere la forza per essere presente per lui quando ne avrà davvero bisogno. Nella mia esperienza, prendersi cura di sé è davvero il modo migliore per prendersi cura degli altri.”
Le sorrise, quasi con calore.
“Grazie, dottore,” gli rispose Jessie.
“Si figuri. Ora devo andare, ma mi farò sentire.”
Detto questo, se ne andò dalla sala d’aspetto. Jessie rimase ferma lì, guardandosi attorno con occhi assenti. C’erano cinque o sei altre persone, tutte con la stessa espressione attonita che era certa di avere anche lei. Si chiese per un secondo quale orrore personale li avesse portati lì. C’era qualcuno di loro che nel corso