Francesco Domenico Guerrazzi

Pasquale Paoli; ossia, la rotta di Ponte Nuovo


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il primo levò la barba in su e adoperando la pipa come l'ago della bussola indicò una porta, il secondo abbassò il labbro superiore e nascose i denti come la fregata, calati gli sportelli, fa scomparire i cannoni, volgendo a sua posta il muso colà dove il compagno aveva appuntato la pipa. Il signor Boswell, in mancanza di meglio, si tenne per informato e andò oltre.

      Stretta era la porta, e delle imposte una chiusa, l'altra semiaperta con una finestrina sopra munita d'inferiata: nè a questa finestra mancavano i suoi telai ed i vetri; se non che, quasi andasse ella stessa capace che in quel luogo non poteva compire veruno degli ufficii pei quali vengono aperte le finestre, e come vergognosa di reggere il sacco all'architetto ignorante, si era da molto tempo velata la faccia con un sudario di ragnateli; meritandosi, in difetto di altro migliore, il nome di sincera.

      Il signor Giacomo, guardata prima la finestra, che non mandava lume, aperse l'uscio, fece un passo e stette. Curioso uomo costui: caso mai gli fosse toccato di morire di freddo, egli era strumento da tornarsi indietro dal campo santo per ispecolare sul termometro con quanti gradi sotto il zero e' lo avesse ucciso.

      Egli guardando vide un magazzino a volta grandissima, sorretto da parecchi pilastri; a manca intorno alla parete molte tavole assicurate sopra mensole fitte nel muro: e su le tavole, ciotole piene di saggi di grano alternati da mucchi di pietre focili e sacchetti di pelle; anzi in qualche corbello (insegnamento supremo a popolo che non vuole soggiacere a tirannide, rivendicarsi in libertà) mescolati palle e grano; in terra alla rinfusa corami, scarpe, sciabole, cappotti, di ogni ragione ferramenta, piombo in pani e perfino due colubrine turche, coperte in parte con la bandiera côrsa, rappresentante la immacolata Concezione.

      Il signor Giacomo, pazientissimo uomo, attendeva in piedi, che il signor Santi si fosse accorto di lui. (pag. 21)

      Di profilo, prossimo alla sola finestra che traverso vetri verdissimi mandava un cotal poco di luce colore di cavolo cappuccio, compariva il banco tinto di cenerino col piano inclinato, coperto di cuoio nero confitto con bullette dalla capocchia di ottone; dal lato destro sur un ripiano di legno si apriva la bocca del calamaro, quasi orefizio di vulcano; il qual paragone tanto meglio calzava se ponevi mente agli schizzi che, simili alla lava, infiniti e per così dire procellosi prorompevano da tutti i lati. Anche le penne con la chioma a strappi, dalle morsicature lacere, assai davano aria alle povere piante che si ostinano ad abbrustolire intorno cotesti fornelli della terra, vere anime dannate della vegetazione. Sopra lo scrittoio, fitti al muro uno su l'altro, tre quadri condotti a olio da artista più che mediocre, e splendidi per cornice indorata: quello di mezzo rappresentava la Concezione di Maria, al patrocinio della quale si commisero i Côrsi, quando, partito dall'isola il principe di Würtemberg, si dettero al re di Spagna che non li volle accettare. Nel medesimo modo e con pari fortuna i Fiorentini elessero Gesù Cristo re della repubblica; donde si ricava che gli uomini opereranno sempre direttamente a confidare negli aiuti celesti, a patti che non trascurino i terreni. Sopra la Concezione l'arme côrsa, che faceva testa di moro, e allora con la fascia intorno al capo: circa alla quale fascia è da sapersi che ab antiquo i Côrsi la finsero calata su gli occhi del moro per la medesima ragione che persuase il Buonarroti ad effigiare la Notte addormentata sul sepolcro di Giuliano dei Medici; cessata la sventura e con questa il danno della servitù, i Côrsi rimossero la benda dagli occhi del moro e gliela cinsero al capo in segno di dignità. Quando poi i Francesi con forze prepotenti e con frode oppressero la nobile isola correndo l'anno 1770, ardirono levare via del tutto la benda e se ne vantarono con un verso latino che sonava così: altri finse sollevarla, noi l'abbiamo tolta davvero. Ahimè! vi è tale ch'è nato per imbiancare i sepolcri come i Savoiardi per pulire i camini. Disotto la immagine del generale Paoli e davanti a quella pendente dal palco il signor Boswell vide accesa una lampada. Difficile cosa per altrui ed anco pel signor Giacomini sarebbe stato distinguere a quale dei tre quadri egli più particolarmente accendesse la lampada; imperciocchè se ne fosse formato nel suo cuore un insieme indivisibile, di cui il tutto non potesse andare senza la parte, nè la parte senza il tutto. Degno uomo! Non basta avere la patria sventurata soltanto, ma bisogna anco averla magnanima per amarla, siccome il signor Giacomini l'amava.

      Santi Giacomini, côrso di Centuri, stava seduto sopra un seggiolone di cuoio nero; comecchè fossimo entrati in aprile, egli teneva la persona inviluppata dentro una coperta di lana, e dietro le spalle ed ai lati parecchi guanciali da letto lo sorreggevano: tossiva continuo, ora languido, ora da rompergli il petto: con angoscia spurgava; poteva del suo sembiante conoscersi poco, perchè un berretto a maglia di seta nera, il cappello ed una ventola di taffettà verde gli coprivano col capo buona parte del viso, e, come se tanto non bastasse, difendeva la vista con occhiali verdi; la parte inferiore della faccia quasi tuffata dentro il fascettone da collo.

      Quanti fossero i suoi anni non appariva giusto; ma, pochi o assai, si leggeva chiaro che la morte stava in procinto di tirarne la somma. La pelle sul naso aveva tesa così, che gli spigoli della costola mostravano gli angoli taglienti; le narici attenuate e cosparse di quella tale forfora che sembra mazzamurro di ossa tritate; la pelle colore di cera vieta e madida di sudore; sul sommo delle guancie una striscia vermiglia quasi raggio estremo del sole che, posato sopra le alture, chiami le campane al lamento dell'avemaria. Come mai in cotesto stato potesse vivere, non si capiva: l'amore di patria lo teneva attaccato alla vita, ed era appunto miracolo, e non il solo, dello amore di patria: questo, e non altro, con tale una tenacità da sbalordire il fisiologo, contrastava in lui la morte, e da un anno a questa parte egli le respingeva in gola ogni giorno il fiato che costei già soffiava per ispegnerlo: così la foglia a mezza verno dura, mutata di colore, a tremare al vento, in virtù di una delle mille fibre che un dì la tennero appesa sull'arbore, nè ella vuole morire se prima non abbia veduto spuntare sul ramo la gioconda sua erede.

      Questo miracolo di ostinato volere teneva nella destra un fascio di carte e nella manca un temperino. Nello scorrere i fogli talora abbandonava il capo sopra la spalla così spasimato, che se la morte fosse giunta in quel momento, sarebbe ita oltre senza toccarlo dicendo: «Questo è lavoro fatto;» tale altra poi le pupille di sotto ai vetri verdi mandavano fuoco, le labbra parole indistinte fremevano, ed egli feriva della punta del temperino i fogli con la ferocia con la quale il Côrso si butta a corpo perduto sopra l'odiato nemico.

       Il signor Giacomo, pazientissimo uomo se altri mai ne visse al mondo, e se ne vantava, attendeva in piedi che il signor Santi si fosse accorto di lui; intanto, dondolando la scatola fra le dita, squadrava l'uomo e ne avvertiva i cenni; all'ultimo, ciò che aveva presagito accadde: al vecchio Côrso venne fatto notarlo, ond'ei si rimescolava e con voce scorrucciata proruppe:

      — Come voi qui? che volete? qual siete? come vi chiamiate? andate via... e subito. — E con la punta del temperino gli mostrava la porta.

      Ed il Boswell, senza moversi nè anco per ombra, pacato, di rimando:

      — Caro signore, salva la grazia vostra, io non veggo nelle vostre parole quella sana logica che ogni gentiluomo deve recarsi a pregio di professare: quietatevi, e con la quiete verremo a capo di tutto.

      — Ma qual siete? vi dico, qual siete?

      — Voi lo vedete: molto vi preme di sapere chi sia; ora ditemi, che Dio vi benedica, come giungereste a saperlo se cominciassi ad andarmene? Dunque principierò dal restarmi e dal mettermi a sedere.

      Il signor Giacomo nel compire questo moto si accorse essersi ingannato e di molto nel supporsi solo in compagnia del signor Santi, però ch'ei si vedesse il cane dietro a un pelo dai garretti con la batteria dei denti scoperta, e dopo il cane l'uomo castagno con la destra dentro una tasca di giubbone, dove era più che probabile che non ci avesse il rosario, o almeno non ce lo avesse solo. Però a liberarlo da coteste due minaccie bastò un cenno della punta del temperino del signor Santi (pare che al signor Santi il temperino fosse come il bastone ai marescialli), e le due creature, l'uomo dico e il cane, nel modo che senza rumore erano entrate, senza rumore se ne andarono.

      — Molto bene! — disse il signor Boswell quando le vide fuori dell'uscio. Poi rivolto al Côrso, soggiunse:

      — Ora sappiate che mi chiamo Giacomo Boswell e vengo d'Inghilterra e voglio andare in Corsica.

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