dentro uomini diversi, anzi contrarii, e perfino sconosciuti fra loro, e opere disparate, independenti l'una dall'altra, e cospiranti a fini profondamente disuguali. Poi scendono a fatti speciali, senza però abbandonare i generali, imperciocchè i primi si dichiarino più culminanti, lasciandone incerti da cui ti debba guardare, da cui no. Così la Difesa procede incerta, non sapendo da quale parte pararsi; e mentre adopera le sue forze in un punto, corre pericolo di trovarsi assalita al fianco e alle spalle. Arti di duellista paiono coteste, non di giudice.
II.
Giudizio del Guizot sul metodo adoperato dall'Accusa.
«Questo sistema, scrive il Guizot,[3] fu adoperato nel 1678, e fino di allora venne meritamente aborrito, nella Inghilterra contro i cattolici dietro le denunzie di Tito Oates di cui parla a lungo lo storico Hume.» Hume poi discorrendo di cotesti tempi così racconta: «Proseguirono i processi ai pretesi colpevoli, e le Corti di Giustizia, luoghi che dovrebbero andare scevri da ingiustizia più che le stesse assemblee nazionali, si fecero conoscere elleno pure contaminate dalla rabbia dello spirito di parte, e da prevenzioni.»[4]
«E sono accuse fabbricate sopra fatti generali quelle che comprendono ora lo stato di un paese, e il cumulo delle pubbliche disposizioni in certi tempi, e ora una serie determinata di casi che spaventarono il potere, o svelarono un pericolo urgente: qui si trattengono sul contegno e sui fini di un partito, altrove su la tendenza di tale o tale altra opinione, che conta maggiore o minore copia di amici e difensori. In Inghilterra sotto Carlo II erano fatti generali i partiti repubblicano e cattolico, la paura del popolo pel papismo del duca di York, gli sforzi della opposizione parlamentaria; in Francia sotto Enrico IV le diffidenze della Lega e del protestantismo, e lo agitarsi dei gesuiti.» Fatti generali sono da noi le cospirazioni manifeste o palesi del partito repubblicano per ridurre a forma repubblicana la massima parte della Europa, e tutta potendo; le mene bene altramente minacciose di sovvertire lo intero ordine sociale. «Non è giustizia (sempre il Guizot favella), ma persecuzione politica, quella che immagina una congiura indipendentemente da ciò che si referisce agli accusati, che prova con una moltitudine di fatti ai quali gl'imputati sono estranei del tutto, di cui non hanno cognizione, e in cui essi non si trovarono. Non è giustizia, ma politica persecuzione, la raccolta dei fatti fuori dell'accusa speciale intesa a costruirne uno edifizio capace di percuotere la immaginazione, e mostrare fra mezzo un dedalo di confusione e di oscurità il delitto sprovveduto di forme individuali e precise, e poi dire: ecco, il fatto è certo, congiura vi fu; adesso predico, che questi uomini se ne resero colpevoli. — Ecco come la tirannide (parla sempre il Guizot) adopera i fatti generali, quando non potendo trovare il delitto negli uomini va a cercarlo da ogni lato per metterveli dentro. — Questa pratica equivale al gettare lunga rete, e a strascinarla per largo tratto di mare pescando tutti i mezzi per nuocere. In questa guisa tutte le tristi passioni, tutte le vecchie diffidenze dei partiti, tutti i ciechi errori sono evocati, e diretti contro un punto solo. Ed è arte iniqua prendere uomini onorati, e di chiara fama, e metterli a canto di uomini perduti nella pubblica estimazione, quasi per fare riflettere sopra loro la luce sinistra che emana da questi ultimi. Pervertimento deplorabile, conciossiachè avvenga per lo appunto il contrario, che i buoni non iscemino di reputazione, e i cattivi al confronto dei buoni vengano ad acquistare una importanza, che non avrebbero mai posseduto, nè dovrebbero possedere.»
Presago forse che i suoi precetti poco sarebbero attesi, e per avventura nemmeno letti, con più gravi parole insiste il pubblicista della Monarchia Costituzionale, «che fra tutte le pesti di cui la empia virtù contamina la giustizia quella dei fatti generali è la più pericolosa: per lei considerazioni vaghe vengono sostituite ai motivi legali; per lei la condizione dei prevenuti è snaturata così, che si trovano immersi dentro una atmosfera oscura e dubbia, indizio certo della invasione della politica sopra la giustizia, della presenza del dispotismo, e dello approssimarsi delle rivoluzioni. — Fra tutti i sentieri, per mezzo dei quali la giustizia entra nella via della iniquità, i fatti generali sono il più largo e il più fatale, però che esso si chiuda irrevocabilmente dietro a coloro che l'hanno passato.»
Pellegrino Rossi dettando il suo Trattato del Diritto Penale ammaestra, che l'Accusa incolpando di tradimento i Ministri può fondarsi sopra fatti generali, a differenza dei privati, pei quali forza è che adduca fatti speciali. Ma, considerato quanto sia dura la condizione del Ministro in simile caso, aggiunge ch'egli ne trova compensamento nelle maggiori garanzie offertegli dalle forme dell'accusa e del giudizio, e dal tribunale eccezionale e politico dei Pari. Pei privati, il giudizio è più legale che politico; pei Ministri, più politico che legale.
Ora, mercè i miei Giudici, non si concede il mio Tribunale naturale ch'è il Senato, e si costruisce l'accusa di fatti generali. Ministro sono pel modo della incolpazione; per quello del giudizio, privato. La offesa è politica, la difesa deve procedere dentro le angustie delle prove forensi. Lo Accusatore per sè usurpa la Tribuna dei Parlamenti, me poi costringe a rispondere dallo sgabello dei comuni imputati: per sè egli reclama le licenze della fantasia, me condanna al rigore dell'abbaco. No, questa non è giustizia: accusa politica mi apponeste, datemi ancora il mio Tribunale politico, — il Senato. —
III.
Esposizione dei fatti generali composta dall'Accusa.
I documenti dell'Accusa ben possono andare contenti
Di questa digression, che a lor non tocca!...
Onde non cadesse dubbio intorno al modo, ecco che il Decreto del 7 gennaio 1851 apertamente intitola la sua rete lunga strascinata per largo spazio di mare Esposizione del fatto in genere (p. 2). e poi passa agli Addebiti speciali (p. 19). E, perchè il fatto risponda alle parole, così racconta: «La Toscana non andò del tutto esente dalle commozioni che negli anni 1820, 1821, 1832 agitarono alcune provincie italiane, ma dalle riforme introdotte negli Stati Romani dopo l'assunzione al pontificato di Pio Nono, molti Toscani presero argomento per desiderare che si convenisse in diritto il fatto delle libertà toscane. Il Principe, mosso da considerazioni generali e speciali, largiva al paese la rappresentanza nazionale; ma la rivoluzione francese del 24 febbraio 1848 suscitò smoderate voglie in coloro che reputavano impossibile conseguire la indipendenza nazionale senza accettare la forma repubblicana; le quali voglie sempre più si accesero dopo lo infortunio delle armi italiane, e allora si dette opera a congreghe politiche per superare ogni ostacolo che alla instituzione della Repubblica si opponesse. I maggiori sforzi in Toscana si manifestarono nel 1848; giunsero al sommo dopo la sconfitta di Novara. Però fino sul cadere del 1848 una grave e profonda agitazione fra noi turbò la pace e la floridezza toscane, e ne condusse sotto il dominio di fazione cospirante contro la Monarchia; e la plebe spinta dalla fazione irrompeva allora ogni momento nelle piazze, resisteva alle leggi, disprezzava le Autorità. I circoli si facevano centri di violenze e disordini. La stampa, tranne poche eccezioni, travolgeva i più santi principii dell'onesto vivere civile. Il ministero Capponi, per ricondurre in calma la sconvolta Livorno, vi mandava governatore Montanelli, reputato in cotesti tempi uomo di fede candida, e conciliatore; se non che Montanelli, obliando il mandato, cresceva legna al fuoco col pubblicare la Costituente italiana. Il ministero Capponi ebbe a dimettersi, e incaricato il Montanelli di formare un nuovo ministero, mentre protestava devozione alla Monarchia Costituzionale, e prometteva tenere lontano dal governo il Guerrazzi (creduto autore principale dei moti livornesi), propose tosto a suo collega quel Guerrazzi di cui poco addietro aveva consigliato lo arresto per fatti delittuosi, che asseriva a lui noti, e che aveva schernito e vilipeso nei suoi scritti. La fazione esulta del nuovo ministero appellato democratico. Animata principalmente dal Programma ministeriale del 28 ottobre 1848, che dichiarava preferire al silenzio per paura il trasmodamento per licenza, l'anarchia si fa sempre più temuta e irresistibile, come ne somministrano testimonianza la violenta occupazione dei forti di Portoferraio; la barbara orgia di Livorno per la strage del conte Rossi, assistente