fino a lui conosciute immaginò che fosse trasportare altrove le colonne di Ercole, e scuoprire nuovi mondi: strinse vincoli di famiglia per la voluttà di lacerarli scelleratamente: coltivò affezioni più care per ispegnerle o sotto il soffio di un crudele scherno, o meno dolorosamente col pugnale: a Dio non credeva, ma lo sentiva come un chiodo in mezzo al cuore; e allora lo bestemmiava brutale a modo dell'orso, che morde lo spiedo che lo ha trafitto pensando sanare la piaga; empio miscuglio, insomma, d'Ajace, di Nerone e di bandito volgare, don Giovanni Tenorio è un frammento del suo carattere[6]. Visse tormento a se e ad altrui: odiò, e fu odiato; si nudrì di male, e il male lo uccise. Morì come forse avrebbe scelto morire; imperciocchè tanto erano giunte le sue scellerate passioni a soffocare la natura, ch'è lecito supporre, che sentendosi ormai grave di anni, e di forze più poco adattato a nuocere, almeno per lungo tempo, il suo truce spirito esultasse della strage del corpo nel pensiero, che varrebbe a precipitare nel sepolcro per via di sangue la sua intera famiglia. Io immagino vedere cotest'anima trista soffiare nei carboni che arroventarono le tanaglie, le quali straziarono le carni del suo figliuolo Giacomo; abbrivare la mazzola che gli ruppe le tempia; e a piene mani raccogliere il sangue grondante dalla scure che recise la testa dei suoi, per bagnarsene il petto come rugiada rinfrescante. E fermamente credo che sarebbe stata opera meritoria non pure disperderne la cenere pei quattro venti dalla terra, ma condannarne la ricordanza a perpetuo oblio, se il Consiglio divino non avesse posto la innocenza accanto al delitto, il vizio accanto alla virtù, il dolore al piacere, la luce alle tenebre;… e però le immanità sue non servissero a dimostrare quale e quanto bello angiolo di amore fosse Beatrice sua figlia, la più semplice, la più fiera, e la più infelice delle donzelle italiane.
Poichè giustizia mi muove a penetrare in cotesta antica sepoltura, io la scoperchio; sicuro di trovarvi la vergine sepolta, come già fu rinvenuto nelle catacombe romane il corpo di santa Cecilia[7] intatto, vestito di una veste bianca simbolo di purità; atteggiata a dolce riposo, con un nastro vermiglio intorno al suo collo di cigno:—cotesto nastro vermiglio è la traccia della scure, che recise un capo divino da un corpo divino!
NOTE
[1] Le donne ricordate sono note abbastanza, tranne Eponina ed Arria. Eponina fu moglie di Giulio Sabino. Ribellatosi costui contro Vespasiano Imperatore, fu vinto, e riparò dentro un sotterraneo; con lui si chiuse la consorte fedele, e quivi stettero dieci anni interi procreando ed allevando figliuoli. Scoperti, e tratti davanti a Vespasiano, non trovarono misericordia, al cospetto dello imperatore crudissimo, tanta fede e tanta miseria. DIONE CASSIO, Stor. l. 66.—Arria ebbe a marito Cecina Peto, uomo consolare. Questi essendo caduto prigione nella sconfitta che toccò Scriboniano, non osava darsi la morte, che Claudio imperatore gli aveva ordinato: allora la valorosa femmina, dopo avere tenuto al suo consorte discorsi adattati a ingagliardirgli il cuore, gli tolse dal fianco il pugnale, e quello appuntandosi al petto, con lieta faccia gli disse: «Mira, Peto, si fa così», e se lo immerse dentro; quindi subito estraendolo tutto fumante di sangue, glielo porse con dolce parlare: «Peto, non fa male! Non dolet, Pete!»; e così favellando moriva. Il marito, senza porre tempo fra mezzo, la forte moglie seguitava nella morte. PLINIO Jun. III. 16.
[2] Filippo Valesio minacciò far condannare come eretico dalla Università di Parigi Giovanni XXII. Benedetto XII piangendo confidava agli ambasciatori di Ludovico il Bavaro imperatore, che il medesimo Re Filippo gli aveva promesso fargli anche peggio che non fu fatto a Bonifazio VIII, se si fosse attentato a sciogliere dalla scomunica il Bavaro. MICHELET, Hist. de France, t. 3.—Più tardi forse, se me ne prende vaghezza, dimostrerò storicamente gli aiuti francesi sul Papato di qual gusto essi sappiano.
[3] Pellegrinaggio del Fanciullo Aroldo.—C. VI. st. 140.
[4] Due scrittori contemporanei, l'uno di maggior fama che merito (THIERS) l'altro di maggior merito che fama (FOSCOLO) hanno discorso, quegli nella Storia del Consolato e dello Impero, questi nei suoi Scritti politici, delle ragioni che persuasero a Napoleone il concordato con la Santa Sede. Chiunque ami conoscere a prova senno italiano a paragone di senno francese che cosa sia, può confrontare le considerazioni dell'uno e dell'altro scrittore. Thiers riporta come eco quanto piacque allo Imperatore dare ad intendere a cui ci volle credere. Il Foscolo penetra dentro al cervello del solenne e dissimulato politico, e mette in luce le vere ragioni che lo condussero a quel passo.
[5] Di voi pastor s'accorse il Vangelista, Quando colei, che siede sovra l'acque, Puttaneggiar co' regi un dì fu vista. DANTE, Inferno, C. XIX;
e Apocalisse, Cap. 17.
[6] Il signore STEHNDALL ha scritto, o piuttosto tradotto, un racconto volgare, che corre intorno ai casi della famiglia Cènci, aggiungendovi parecchie osservazioni di suo. Nel presentare, per così dire, la psicologia di questo immane uomo di Francesco Cènci, in qualche parte io me ne sono giovato; e ciò tanto più dichiaro volentieri, in quanto che noi altri italiani andiamo lieti palesare animo grato a cui mostra amare le cose nostre, e noi; come di altissimo disprezzo proseguiamo cui per maligna ignoranza si fa nostro detrattore. E veramente duole, ma duole assai, che la maggior copia di fatti alterati e di giudizii falsi e ridicoli intorno alle cose e agli uomini italiani muova di Francia. I tedeschi (e possano vergognarsene i francesi) come meglio informati, così procedono più giusti verso noi altri italiani.
[7] Io non mi posso astenere dal riportare qui un frammento della Storia della Scultura del Conte CICOGNARA, sia perchè in se stesso merita considerazione, sia perchè si versi appunto intorno alle arti dei tempi, nei quali successero i casi che noi raccontiamo: «La storia di queste arti presenta un convincimento di tale verità nella bellissima figura scolpita da Stefano da Maderno per la chiesa di Santa Cecilia in Trastevere; opera elegantissima, riuscita a quel modo malgrado la corruzione dei tempi, e che nessuno potrebbe mai credere eseguita dallo stesso artefice, che nella Cappella di Paolo V scolpì poi la storia di una battaglia…. Questa graziosa statua giacente rappresenta un corpo morto, come se allora fosse caduto mollemente sul terreno, con l'estremità bene disposte, e con tutta la decenza nello assetto dei panneggiamenti, tenendo la testa rivolta allo ingiù e avviluppata in una benda, senza che inopportunamente si scorga lo irrigidire dei corpi freddi per morte. Le pieghe vi sono facili, e tutta la grazia spira dalla persona, che si vede esser giovane e gentile, quantunque asconda la faccia; le forme generali e le belle estremità che si mostrano, danno a vedere con quanta grazia e con quanta scelta sia stata imitata la natura in quel posare sì dolcemente. Or dunque come poteva ciò farsi, se di tutti gli artefici, che abbiamo qui nominati, nessuno mai scolpì cosa che con questa potesse venire al confronto?…. Due ragioni evidentemente spiegano questo fenomeno nella storia dell'arte. La prima, che essendo stato trovato in quel tempo il corpo di santa Cecilia intatto in una cassa, ed atteggiato tal come si vede la statua, venne ordinato per buona ventura che lo artefice imitasse la giacitura del medesimo, cosicchè ponendosi il guardo al monumento, si vedesse tutta la somiglianza al corpo della vergine incorrotta, che Clemente VIII nell'anno 1599 fece riporre in una magnifica cassa di argento, dopo la miracolosa sua liberazione dalla podagra». Vol. VI. C. 2.—Così il corpo di santa Cecilia con la testa mozza fu trovato precisamente nell'anno in cui Beatrice Cènci ebbe recisa la sua.
CAPITOLO VI.
NERONE.
Fanciulla del dolore, o tu che sai
Piacere anco sepolta, e ricoperta
Dal silenzio di trecento anni, bella
Sai tornare alla idea come nel giorno
Che te lo Amor rapiva, o tu delizia
Dei racconti di queste itale care
Fanciulle, che spirar sai dalle stesse
Dipinte tele, onde l'occhio fatato
Dal tuo sguardo, in imago ancor ti cerca
Rediviva per Roma, abbi il mio pianto.
ANFOSSI, Beatrice Cènci.
Era