Giovanni Pascoli

Minerva oscura


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terrena si volgeva nell’Inferno in altrettanto orrore di essa. Notevole mi appariva, che come, dei peccatori, Camicion de’ Pazzi non mostrava tale ribrezzo di nomarsi quale gli altri delle circuizioni più interne; così, de’ Giganti, rispondeva pronto, allo scongiuro per la fama, Anteo. Poi che Anteo non aveva menate le braccia direttamente contro gli Dei, e perciò era disciolto; e così Camicione non si era direttamente sopraposto a Dio; ma l’uno era stato superbo in quanto aveva combattuto con Ercole semidio, sebbene non fosse stato all’alta guerra; e l’altro era stato reo contro i congiunti, di quella reità che è compresa sotto l’offesa al Principio particolare del nostro essere, non veramente al Principio universale.

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      Così mi confermavo nel mio pensiero, e altre e molte considerazioni facevo, nè trascuravo di spiegarmi come e perchè il conte Ugolino si nomasse desiosamente, sebbene fosse nell’Antenora; ma io cercavo una prova manifesta, che permettesse alla mia mente di non dubitar più, sì che potessi procedere avanti: e la trovai. Sì: nella Ghiaccia era veramente punita la superbia, la quale si nascondeva sotto il nome di tradimento o di frode in chi si fida. Era superbia quella e quello, e non altro che superbia, e Dante lo aveva detto in modo così chiaro che più chiaro non si poteva desiderare. Io lessi, come ebbro, in S. Agostino (Civ. D. XIV 13): ‛È bene avere in alto il cuore; non tuttavia verso di sè, che è della superbia; ma verso il Signore, che è dell’obbedienza, che non può essere se non degli umili. Vi è adunque mirabilmente nell’umiltà qualche cosa che solleva in alto il cuore, e qualche cosa nell’elevazione, che porta il cuore a basso. Or pare un assurdo, che l’elevazione sia per in giù e l’umiltà in su’. Ecco perchè, dissi io, i peccatori della Ghiaccia tengono il viso basso, oltre che sono nell’imo. Ma non era per me una novità, nè per altri, questa. S. Agostino continuava a spiegare come gli umili si esaltavano e si abbassavano i superbi, e diceva: ‛Avviene ciò che fu scritto: “Li hai abbattuti, mentre si elevavano„. Che non dice: “Poi che si erano esaltati„, quasi che prima si elevassero e poi fossero abbattuti; ma “Mentre si elevavano„ allora furono abbattuti’. E concludeva: ‛Ipsum... extolli iam deiici est’. E tu, Dante, dei traditori avevi detto, anzi mostrato il medesimo, facendoli, così, simili al primo superbo e ai primi parenti, che furono superbi. O come non credere che superbi fossero i traditori, se ciò che nei primi avviene, avviene anche nei secondi? E avviene: tu l’avevi fatto dire a frate Alberigo[32]:

      Sappi che tosto che l’anima trade,

      Come fec’io, il corpo suo l’è tolto

      Da un demonio...

      Ella ruina in sì fatta cisterna.

      Proprio come di Lucifero dice Isaia: “ad infernum detraheris in profundum laci„. E perchè Dante, contro ogni verisimiglianza teologica, pone questo cader dell’anima in inferno, tosto che trade, se non per significare che il suo tradere è un superbire, e che ‛ipsum extolli iam deiici est’? Come Lucifero nel primo istante di sua creazione fu buono, nel secondo fu malo (1ª LXIII 6), e appena peccò, fu travolto; come Adamo ed Eva, appena mangiarono il pomo, conobbero la loro nudità, e furono puniti; così il superbo, appena ha commesso quel proprio peccato di superbia, equivalente a quello del primo Angelo e del primo Uomo, ha la sua pena eterna. Perchè il traditore da Dante si stima ‛aderire immobilmente al male che appetì’, come Tomaso (1ª LXIV 2) dice dell’Angelo peccatore. Così io riposai nel pensiero che nel nono cerchio era la superbia. Molte cose in essa mi erano ignote e molte ragioni nascoste; ma nella Ghiaccia e non altrove, sotto i Giganti, nel profondo del lago, nelle tre bocche e presso e intorno al primo superbo, sapevo già che non altri erano se non superbi.

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      Io sapeva, dunque, come e dove era punita la superbia nell’Inferno di Dante. Dove, ora chiedevo, e come, l’invidia? chè subito il pensiero da quella scendeva a questa; nè solo perchè nell’ordine de’ peccati capitali quella è prima e questa è seconda, ma perchè l’una trovavo che era considerata madre dell’altra. Diceva infatti S. Agostino (De Virg. XXXI) che superbia partorisce invidia nè mai è senza tale compagna, e che (Civ. D. XIV 11) l’Angelo malo fu superbo e perciò invido. Il che da Agostino aveva appreso come Tomaso così Dante, il quale affermava (Inf. I 111 e Par. IX 129) che l’invidia del primo superbo era stata la cagione di tutti i mali al genere umano. Donde inferivo che la superbia era contro Dio, la invidia era contro gli uomini. Tanto più che Dante stesso dichiarava nel Convito (I 4) che la paritade de’ viziosi è cagione d’invidia; onde l’invidia, secondo lui, non avrebbe potuto ingenerarsi nell’Uomo contro Dio, sì solo in uomini contro uomini. Nè a ciò contradice il fatto che l’Angelo fu mosso da invidia verso l’Uomo: perchè quello, in parte simile in parte dissimile da questo, invidiò per la parte che in esso gli era simile prima: nella felicità; e volle che l’altro non gli fosse dissimile dopo: nella sventura. Adunque Lucifero ebbe invidia di Adamo e lo indusse al peccato di superbia: il primo superbo tra gli Angeli fece il primo superbo tra gli uomini. E come l’Angelo fu superbo e perciò invido, così anche l’Uomo dalla superbia passò all’invidia, e il peccato di Caino seguì quello di Adamo. Invero invido fu Caino, e che Dante così credesse come tutti, attesta la voce (Purg. XIV 133) ‛Anciderammi qualunque m’apprende’, che suona nel balzo secondo del Purgatorio. E così mi confermava nel pensiero che l’invidia differisce dalla superbia in questo, che l’una è contro gli uomini o, a dir meglio, contro il Prossimo, l’altra contro Dio; perchè mi pareva chiaro che finchè non erano che l’Angelo e Dio, non potè essere che il peccato di superbia, e quando l’Angelo ebbe un Prossimo che fu Adamo, allora sorse il peccato d’invidia; e similmente quando l’Uomo, o la coppia umana, era solo in faccia a Dio, non potè essere che superbo, e quando ebbe un Prossimo, cioè un fratello, allora fu anche invido. Ora un fatto pareva annullare il mio ragionamento, che invece lo afforzava e rendeva certo: il fatto che da Caino prende il nome la estrema circuizione della Ghiaccia, nella quale Ghiaccia io avevo veduto la punizione della superbia. Chè Dante, il quale stima diretta contro Dio l’ingiuria fatta ai genitori e ai consanguinei, ponendo lo stesso Caino una volta invido, una volta superbo, fa intendere come l’invidia quale si estrinseca nella latitudine del consorzio umano, sia contro il Prossimo, poi che quella che si estrinsecò nell’ambito breve della prima famiglia fu sì contro Dio, ma soltanto perchè tutto il Prossimo per il primo invido si riduceva al fratello. E ne consegue che il modo meno grave di superbia è una specie più grave d’invidia, e che l’una è finitima all’altra. Onde io cominciai a sospettare che in Malebolge, nel cui mezzo vaneggia il pozzo della superbia, fosse punita l’invidia, la quale Dante facesse a Virgilio chiamare frode in quei che fidanza non imborsa, la qual frode è modo che uccide soltanto lo vinco d’amor che fa natura, ossia quello che lega l’uomo all’uomo. E subito, a confermarmi, soccorse il luogo del Purgatorio in cui (XIII 37 e segg.) l’amore o carità è considerata virtù contraria all’invidia, come è manifesto a tutti. Uccidere il vincolo d’amore o fare contro la carità è dunque sì della frode in chi non si fida, e sì della invidia. Onde si faceva più probabile per me che fossero, la detta frode e l’invidia, una medesima colpa. Invero anche sì fatta Frode è solo rispetto a uomini, come l’invidia, perchè solo Dio e chi da Dio più tiene è obbietto dell’amore aggiunto, cui non oblia il fraudolento semplice. Il quale fraudolento, a modo nostro di vedere, sarebbe il solo vero ingannatore, poi che ha bisogno di raggiri, di insidie, di vie coperte per sopraffare chi, perchè non si fida, si guarda. Ora è chiaro quanto queste operazioni del fraudolento siano anche dello invido; tanto che la Bestia malvagia che è a guardia dell’ottavo cerchio sembra non più sozza imagine di froda che d’invidia. Anzi se invidia si sostituisce a froda, tutto parrà più chiaro in quel simbolo, e meglio si intenderà la voce del duca:

      Ecco la fiera con la coda aguzza

      Che passa i monti e rompe mura ed armi,

      Ecco colei che tutto il mondo appuzza.[33]

      Parole che suonano del loro