Gemma Cates

Voglio Morderti Il...


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bene, ma in stile tech.” Aveva fatto una pausa e inarcato le sopracciglia. “O forse i nostri gadget costosi non sono stati comprati con l’ultimo centesimo ma sono stati un regalo.”

      “Oh.” Quello non era per niente utile. Gli avevo dato delle pacche sul petto. Wow, quello sì che era un petto saldo. “Tante grazie, ma non penso che tu abbia risolto il mistero del mio uomo.”

      Aveva emesso un suono di scontento. “È questo il punto, un solo uomo non rappresenta tutta l’umanità.”

      Mi ero fermata a riflettere su quello. Fermata letteralmente… accarezzandogli il petto. Perché, apparentemente, lo stavo palpeggiando a livello subconscio da quando gli avevo messo le zampe addosso. Una pacca ed ero stata risucchiata dai suoi muscoli e dal suo silvestre odore di pino.

      Annusando a fondo, cercavo di analizzare i vari profumi, ma senza fortuna. Tutto quello che percepivo erano pino e bosco, deliziosi.

      “Cosa stavi dicendo?” Avevo spostato lo sguardo dal suo petto, che avevo ripreso ad accarezzare, alla faccia.

      Gah. Perché lui mi faceva sentire così bene e aveva un così buon odore? Non era per niente il mio tipo. Non mi interessavano i bambinoni, nemmeno per una botta e via, cosa per cui gli umani andavano bene, perché non era come…

      Oops. Avevo perso la concentrazione mentre il suo odore mi faceva sballare e mi eccitava.

      “Um, penso di essermi persa qualsiasi cosa tu abbia detto.” Stavolta avrei dovuto cercare di concentrarmi sulle sue parole.

      “Adesso mi stai oggettivando?”

      Dall’espressione del suo viso non potevo dire se fosse compiaciuto o infastidito dal pensiero, per cui avevo scelto la via della sincerità. Separando il pollice e l’indice di circa due centimetri, avevo alzato la mano e avevo detto, “Un pochino. Tu sei sexy e hai un odore ridicolo.”

      Inarcando le sopracciglia aveva risposto, “Non sono sicuro di cosa intendi dire. Tu sai di cannella.”

      Perché stavo trangugiando Fireball come un ragazzo di una confraternita, ma vabbè.

      Quello che era successo dopo era inatteso. Ero nel mezzo di una festa. Erano presenti alcuni dei miei colleghi di lavoro. Certo, organizzavo regolarmente feste alcoliche, ma avevo degli standard per il mio comportamento.

      Standard che non comprendevano maltrattare un ospite, anche se era un imbucato.

      Non sono del tutto sicura del perché avessi deciso per quella festa, quella sera, quel tipo… ma lo avevo fatto.

      Avevo fatto scivolare la mano – quella che aveva ripreso a sfregare i duri piani del suo petto – sulla clavicola e lungo la nuca, abbassando la sua testa verso la mia.

      Cercando di abbassare la sua testa verso la mia.

      Essendo a malapena sette centimetri sopra il metro e mezzo, avevo difficoltà a baciare Mr. Sexy e Villoso e Buon Profumo senza il suo aiuto. Doveva essere alto più di 1,80.

      Come poteva avere un odore così buono e non baciarmi all’istante? Non andava bene così. Avevo alzato lo sguardo per vedere che cavolo di problema avesse e aveva ancora quella medesima espressione divertita. Che mi aveva fatto lanciare un’occhiataccia.

      Un’occhiata alla mia espressione da stronza dagli occhi di ghiaccio e lui…

      Si era messo a ridere.

      Ridacchiare, per l’esattezza. Sembrava che il mio atteggiamento da stronza cattiva non lo spaventasse, e quello mi eccitava fottutamente.

      Se non mi avesse baciato seduta stante, mi sarei arrampicata su di lui come se fosse stato un fottuto albero e l’avrei fatto succedere.

      Questa volta, quando avevo cercato di abbassargli la testa, lui mi aveva lasciato fare. L’odore di bosco e di uomo pulito aveva riempito il mio naso prima che le nostre labbra si incontrassero.

      Questo coglione stava sorridendo?

      Sì. Sì, stava sorridendo.

      E in quel momento era cominciato lo strapazzo.

      Avevo infilato entrambe le mani tra i suoi capelli folti, scuri, non-proprio-selvaggi, avevo premuto le mie tette contro di lui, avevo inclinato la testa e mi ero concentrata sul farlo volere.

      Quello che era cominciato come una delicata esplorazione era diventato un attacco violento con pressione e respiro affannoso e un desiderio di mordicchiare, morsicare, lasciare segni che non avevo mai provato prima.

      Avevo intrappolato il suo labbro superiore tra i miei denti e lo avevo succhiato. Il suo ringhio mi aveva colpito basso, nell’addome, e proprio mentre stavo pensando a come fare per avvicinarmi, lui mi aveva preso per le natiche e mi aveva sollevata.

      Dea. Volevo sentire ogni centimetro di lui premuto contro di me. Volevo strofinarmi contro di lui. Volevo… volevo e basta.

      Aveva risposto alla mia aggressione frontale, la sua bocca dura ed esigente, e mi piaceva.

      Le nostre lingue si erano attorcigliate in una guerra di calore e passione per non so quanto tempo.

      A un certo punto mi era venuto il pensiero fugace che, praticamente, eravamo nel bel mezzo della mia festa.

      Ma… chi se ne frega?

      Lui era sexy, il suo bacio rovente, e io volevo imprimere il suo corpo muscoloso, il suo sapore, la sensazione delle sue labbra nel profondo della mia anima.

      Poi aveva ammorbidito il nostro bacio.

      La qual cosa era avvenuta quando il mio cervello aveva ripreso a funzionare.

      La qual cosa era avvenuta quando mi ero resa conto di essere avvinghiata a lui come una spogliarellista squattrinata nel mezzo di una lap dance privata.

      Poiché non lavoravo per le mance ed ero nel mio soggiorno, circondata da amici e colleghi di lavoro, probabilmente sarebbe stata una buona idea scendere da quell’albero villoso e sexy sul quale mi ero arrampicata.

      Ero scivolata giù dal suo corpo, desiderando che lui non si sentisse il mio personale regalo di compleanno. Non poteva essere un regalo per me? Per piacerissimo?

      Magari.

      Non nel mezzo della mia festa di Halloween.

      Ma magari.

      “Sei ubriaca.” Mi aveva sussurrato le parole all’orecchio, ma comunque erano cadute con una spiacevole fermezza.

      “No. Non lo sono.” Sfortunatamente, in quel momento il mio corpo aveva scelto di tradirmi e mi era venuto il singhiozzo.

      “Uh-huh.” Mi aveva girato i capelli dietro l’orecchio, passato il pollice sulle labbra e in generale mi aveva fatto rimpiangere – duramente – quegli ultimi bicchierini. Perché altrimenti, forse, avrei preso altro di lui. Altro suo calore, altro suo odore e altro della sua bocca. Proprio lì e in quel momento, alla mia festa di Halloween.

      Poi era sparito.

      Il patetico bastardo se n’era andato.

      Gli uomini fanno schifo.

      Certo, aveva salutato.

      E mi aveva ricordato che avevo il suo numero.

      Aveva anche detto che sarebbe stato interessato a sentirmi. E quando aveva detto “interessato”, avevo pensato che intendesse… forse, entusiasta?

      Ma che cazzo, poi. Mi aveva lasciato eccitata e insoddisfatta, il coglione. Anche se ero circondata da amici e colleghi a una festa che io ospitavo, comunque lui aveva lasciato me.

      Prima che potessi decidere se ero arrabbiata, triste, o forse anche solo minimamente grata, un tizio che reggeva un’enorme borsa di carta aveva gridato, “Megan! Sto cercando una certa Megan.”

      Alcuni ospiti avevano indicato nella mia direzione.

      “Sei tu Megan?”

      “Sì.”