Данте Алигьери

La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке


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che ’l maestro accorto lo sospinse,

      dicendo: «Via costà con li altri cani!».

      43 Lo collo poi con le braccia mi cinse;

      basciommi ’l volto e disse: «Alma sdegnosa,

      benedetta colei che ’n te s’incinse!

      46 Quei fu al mondo persona orgogliosa;

      bontà non è che sua memoria fregi:

      così s’è l’ombra sua qui furiosa.

      49 Quanti si tegnon or là su gran regi

      che qui staranno come porci in brago,

      di sé lasciando orribili dispregi!».

      52 E io: «Maestro, molto sarei vago

      di vederlo attuffare in questa broda

      prima che noi uscissimo del lago».

      55 Ed elli a me: «Avante che la proda

      ti si lasci veder, tu sarai sazio:

      di tal disio convien che tu goda».

      58 Dopo ciò poco vid’ io quello strazio

      far di costui a le fangose genti,

      che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.

      61 Tutti gridavano: «A Filippo Argenti!»;

      e ’l fiorentino spirito bizzarro

      in sé medesmo si volvea co’ denti.

      64 Quivi il lasciammo, che più non ne narro;

      ma ne l’orecchie mi percosse un duolo,

      per ch’io avante l’occhio intento sbarro.

      67 Lo buon maestro disse: «Omai, figliuolo,

      s’appressa la città c’ha nome Dite,

      coi gravi cittadin, col grande stuolo».

      70 E io: «Maestro, già le sue meschite

      là entro certe ne la valle cerno,

      vermiglie come se di foco uscite

      73 fossero». Ed ei mi disse: «Il foco etterno

      ch’entro l’affoca le dimostra rosse,

      come tu vedi in questo basso inferno».

      76 Noi pur giugnemmo dentro a l’alte fosse

      che vallan quella terra sconsolata:

      le mura mi parean che ferro fosse.

      79 Non sanza prima far grande aggirata,

      venimmo in parte dove il nocchier forte

      «Usciteci», gridò: «qui è l’intrata».

      82 Io vidi più di mille in su le porte

      da ciel piovuti, che stizzosamente

      dicean: «Chi è costui che sanza morte

      85 va per lo regno de la morta gente?».

      E ’l savio mio maestro fece segno

      di voler lor parlar segretamente.

      88 Allor chiusero un poco il gran disdegno

      e disser: «Vien tu solo, e quei sen vada

      che sì ardito intrò per questo regno.

      91 Sol si ritorni per la folle strada:

      provi, se sa; ché tu qui rimarrai,

      che li ha’ iscorta sì buia contrada».

      94 Pensa, lettor, se io mi sconfortai

      nel suon de le parole maladette,

      ché non credetti ritornarci mai.

      97 «O caro duca mio, che più di sette

      volte m’hai sicurtà renduta e tratto

      d’alto periglio che ’ncontra mi stette,

      100 non mi lasciar», diss’ io, «così disfatto;

      e se ’l passar più oltre ci è negato,

      ritroviam l’orme nostre insieme ratto».

      103 E quel segnor che lì m’avea menato,

      mi disse: «Non temer; ché ’l nostro passo

      non ci può tòrre alcun: da tal n’è dato.

      106 Ma qui m’attendi, e lo spirito lasso

      conforta e ciba di speranza buona,

      ch’i’ non ti lascerò nel mondo basso».

      109 Così sen va, e quivi m’abbandona

      lo dolce padre, e io rimagno in forse,

      che sì e no nel capo mi tenciona.

      112 Udir non potti quello ch’a lor porse;

      ma ei non stette là con essi guari,

      che ciascun dentro a pruova si ricorse.

      115 Chiuser le porte que’ nostri avversari

      nel petto al mio segnor, che fuor rimase

      e rivolsesi a me con passi rari.

      118 Li occhi a la terra e le ciglia avea rase

      d’ogne baldanza, e dicea ne’ sospiri:

      «Chi m’ha negate le dolenti case!».

      121 E a me disse: «Tu, perch’ io m’adiri,

      non sbigottir, ch’io vincerò la prova,

      qual ch’a la difension dentro s’aggiri.

      124 Questa lor tracotanza non è nova;

      ché già l’usaro a men segreta porta,

      la qual sanza serrame ancor si trova.

      127 Sovr’ essa vedestù la scritta morta:

      e già di qua da lei discende l’erta,

      passando per li cerchi sanza scorta,

      130 tal che per lui ne fia la terra aperta».

      Canto IX

      Quel color che viltà di fuor mi pinse

      veggendo il duca mio tornare in volta,

      più tosto dentro il suo novo ristrinse.

      4 Attento si fermò com’ uom ch’ascolta;

      ché l’occhio nol potea menare a lunga

      per l’aere nero e per la nebbia folta.

      7 «Pur a noi converrà vincer la punga»,

      cominciò el, «se non… Tal ne s’offerse.

      Oh quanto tarda a me ch’altri qui giunga!».

      10 I’ vidi ben sì com’ ei ricoperse

      lo cominciar con l’altro che poi venne,

      che fur parole a le prime diverse;

      13 ma nondimen paura il suo dir dienne,

      perch’ io traeva la parola tronca

      forse a peggior sentenzia che non tenne.

      16 «In questo fondo de la trista conca

      discende mai alcun del primo grado,

      che sol per pena ha la speranza cionca?».

      19 Questa question fec’ io; e quei «Di rado

      incontra», mi rispuose, «che di noi

      faccia il cammino alcun per qual io vado.

      22 Ver è ch’altra fiata qua giù fui,

      congiurato