Данте Алигьери

La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке


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nel mondo riede,

      conforti la memoria mia, che giace

      ancor del colpo che ’nvidia le diede».

      79 Un poco attese, e poi «Da ch’el si tace»,

      disse ’l poeta a me, «non perder l’ora;

      ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace».

      82 Ond’ io a lui: «Domanda tu ancora

      di quel che credi ch’a me satisfaccia;

      ch’i’ non potrei, tanta pietà m’accora».

      85 Perciò ricominciò: «Se l’om ti faccia

      liberamente ciò che ’l tuo dir priega,

      spirito incarcerato, ancor ti piaccia

      88 di dirne come l’anima si lega

      in questi nocchi; e dinne, se tu puoi,

      s’alcuna mai di tai membra si spiega».

      91 Allor soffiò il tronco forte, e poi

      si convertì quel vento in cotal voce:

      «Brievemente sarà risposto a voi.

      94 Quando si parte l’anima feroce

      dal corpo ond’ ella stessa s’è disvelta,

      Minòs la manda a la settima foce.

      97 Cade in la selva, e non l’è parte scelta;

      ma là dove fortuna la balestra,

      quivi germoglia come gran di spelta.

      100 Surge in vermena e in pianta silvestra:

      l’Arpie, pascendo poi de le sue foglie,

      fanno dolore, e al dolor fenestra.

      103 Come l’altre verrem per nostre spoglie,

      ma non però ch’alcuna sen rivesta,

      ché non è giusto aver ciò ch’om si toglie.

      106 Qui le strascineremo, e per la mesta

      selva saranno i nostri corpi appesi,

      ciascuno al prun de l’ombra sua molesta».

      109 Noi eravamo ancora al tronco attesi,

      credendo ch’altro ne volesse dire,

      quando noi fummo d’un romor sorpresi,

      112 similemente a colui che venire

      sente ’l porco e la caccia a la sua posta,

      ch’ode le bestie, e le frasche stormire.

      115 Ed ecco due da la sinistra costa,

      nudi e graffiati, fuggendo sì forte,

      che de la selva rompieno ogne rosta.

      118 Quel dinanzi: «Or accorri, accorri, morte!».

      E l’altro, cui pareva tardar troppo,

      gridava: «Lano, sì non furo accorte

      121 le gambe tue a le giostre dal Toppo!».

      E poi che forse li fallia la lena,

      di sé e d’un cespuglio fece un groppo.

      124 Di rietro a loro era la selva piena

      di nere cagne, bramose e correnti

      come veltri ch’uscisser di catena.

      127 In quel che s’appiattò miser li denti,

      e quel dilaceraro a brano a brano;

      poi sen portar quelle membra dolenti.

      130 Presemi allor la mia scorta per mano,

      e menommi al cespuglio che piangea

      per le rotture sanguinenti in vano.

      133 «O Iacopo», dicea, «da Santo Andrea,

      che t’è giovato di me fare schermo?

      che colpa ho io de la tua vita rea?».

      136 Quando ’l maestro fu sovr’ esso fermo,

      disse: «Chi fosti, che per tante punte

      soffi con sangue doloroso sermo?».

      139 Ed elli a noi: «O anime che giunte

      siete a veder lo strazio disonesto

      c’ha le mie fronde sì da me disgiunte,

      142 raccoglietele al piè del tristo cesto.

      I’ fui de la città che nel Batista

      mutò ’l primo padrone; ond’ ei per questo

      145 sempre con l’arte sua la farà trista;

      e se non fosse che ’n sul passo d’Arno

      rimane ancor di lui alcuna vista,

      148 que’ cittadin che poi la rifondarno

      sovra ’l cener che d’Attila rimase,

      avrebber fatto lavorare indarno.

      151 Io fei giubetto a me de le mie case».

      Canto XIV

      Poi che la carità del natio loco

      mi strinse, raunai le fronde sparte

      e rende’le a colui, ch’era già fioco.

      4 Indi venimmo al fine ove si parte

      lo secondo giron dal terzo, e dove

      si vede di giustizia orribil arte.

      7 A ben manifestar le cose nove,

      dico che arrivammo ad una landa

      che dal suo letto ogne pianta rimove.[10]

      10 La dolorosa selva l’è ghirlanda

      intorno, come ’l fosso tristo ad essa;

      quivi fermammo i passi a randa a randa.

      13 Lo spazzo era una rena arida e spessa,

      non d’altra foggia fatta che colei

      che fu da’ piè di Caton già soppressa.

      16 O vendetta di Dio, quanto tu dei

      esser temuta da ciascun che legge

      ciò che fu manifesto a li occhi mei!

      19 D’anime nude vidi molte gregge

      che piangean tutte assai miseramente,

      e parea posta lor diversa legge.

      22 Supin giacea in terra alcuna gente,

      alcuna si sedea tutta raccolta,

      e altra andava continuamente.

      25 Quella che giva ’ntorno era più molta,

      e quella men che giacea al tormento,

      ma più al duolo avea la lingua sciolta.

      28 Sovra tutto ’l sabbion, d’un cader lento,

      piovean di foco dilatate falde,

      come di neve in alpe sanza vento.

      31 Quali Alessandro in quelle parti calde

      d’India vide sopra ’l suo stuolo

      fiamme cadere infino a terra salde,

      34 per ch’ei provide a scalpitar lo suolo

      con le sue schiere, acciò che lo vapore

      mei si stingueva mentre ch’era solo:

      37 tale scendeva l’etternale ardore;

      onde la rena s’accendea, com’ esca

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