Emilio Salgari

Il Corsaro Nero


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poi verrà gettato in qualche fogna.

      – Certo comandante.-

      Il Corsaro si era bruscamente alzato e si era avvicinato al filibustiere.

      – Hai paura tu?… – gli chiese con strano accento.

      – Nemmeno di Belzebú, comandante.

      – Dunque tu non temi la morte?

      – No.

      – Mi seguiresti?

      – Dove?

      – A Maracaybo.

      – Quando?

      – Questa notte.

      – Si va ad assalire la città?

      – No, non siamo in numero sufficiente ora, ma piú tardi Wan Guld riceverà mie nuove. Ci andremo noi due ed il tuo compagno.

      – Soli? – chiese Carmaux, con stupore.

      – Noi soli.

      – Ma che volete fare?

      – Prendere la salma di mio fratello.

      – Badate comandante! Correte il pericolo di farvi prendere.

      – Tu sai chi è il Corsaro Nero?

      – Lampi e folgori! È il filibustiere piú audace della Tortue.

      – Va’ adunque ad aspettarmi sul ponte e fa preparare una scialuppa.

      – È inutile, capitano, abbiamo il nostro canotto, una vera barca da corsa.

      – Va’!

      CAPITOLO II. UNA SPEDIZIONE AUDACE

      Carmaux si era affrettato ad obbedire, sapendo che col formidabile Corsaro era pericoloso indugiare.

      Wan Stiller lo attendeva dinanzi al boccaporto, in compagnia del mastro d’equipaggio e d’alcuni filibustieri, i quali lo interrogavano sulla disgraziata fine del Corsaro Rosso e del suo equipaggio, manifestando terribili propositi di vendetta contro gli spagnuoli di Maracaybo e soprattutto contro il governatore. Quando l’amburghese apprese che si doveva preparare il canotto per fare ritorno alla costa, dalla quale si erano allontanati precipitosamente per un vero miracolo, non poté nascondere il suo stupore e la sua apprensione.

      – Tornare ancora laggiú!… – esclamò. – Ci lasceremo la pelle, Carmaux.

      – Bah!… Non ci andremo soli questa volta.

      – Chi ci accompagnerà dunque?

      – Il Corsaro Nero.

      – Allora non ho piú timori. Quel diavolo d’uomo vale cento filibustieri.

      – Ma verrà solo.

      – Non conta, Carmaux; con lui non vi è da temere. E rientreremo in Maracaybo?…

      – Sí, mio caro, e saremo bravi se condurremo a buon fine l’impresa. Ehi, mastro, fà gettare nel canotto tre fucili, delle munizioni, un paio di sciabole d’arrembaggio per noi due, e qualche cosa da mettere sotto i denti. Non si sa mai ciò che può succedere e quando potremo tornare.

      – È già fatto, – rispose il mastro. – Non mi sono dimenticato nemmeno il tabacco.

      – Grazie, amico. Tu sei la perla dei mastri.

      – Eccolo, – disse in quell’istante Wan Stiller.

      Il Corsaro era comparso sul ponte. Indossava ancora il suo funebre costume, ma si era appesa al fianco una lunga spada, ed alla cintura un paio di grosse pistole ed uno di quegli acuti pugnali spagnuoli chiamati misericordie. Sul braccio portava un ampio ferraiuolo, nero come il vestito.

      S’avvicinò all’uomo che stava sul ponte di comando e che doveva essere il comandante in seconda, scambiò con lui alcune parole, poi disse brevemente ai due filibustieri:

      – Partiamo.

      – Siamo pronti – rispose Carmaux.

      Scesero tutti e tre nel canotto che era stato condotto sotto la poppa e già provvisto d’armi e di viveri. Il Corsaro si avvolse nel suo ferraiuolo e si sedette a prora, mentre i filibustieri, afferrati i remi, ricominciarono con grande lena la faticosa manovra.

      La nave filibustiera aveva subito spento i fanali di posizione e, orientate le vele, si era messa a seguire il canotto, correndo bordate, onde non precederlo. Probabilmente il comandante in seconda voleva scortare il suo capo fin presso la costa per proteggerlo nel caso d’una sorpresa.

      Il Corsaro, semisdraiato a prora, col capo appoggiato ad un braccio, stava silenzioso, ma il suo sguardo, acuto come quello di un’aquila, percorreva attentamente il fosco orizzonte, come se cercasse discernere la costa americana che le tenebre nascondevano.

      Di tratto in tratto volgeva il capo verso la sua nave che sempre lo seguiva, ad una distanza di sette od otto gomene, poi tornava a guardare verso il sud.

      Wan Stiller e Carmaux intanto arrancavano di gran lena, facendo volare, sui neri flutti, il sottile e svelto canotto. Né l’uno né l’altro parevano preoccupati di ritornare verso quella costa, popolata dai loro implacabili nemici, tanta era la fiducia che avevano nell’audacia e nella valentia del formidabile Corsaro, il cui solo nome bastava a spargere il terrore in tutte le città marittime del grande golfo messicano. Il mare interno di Maracaybo, essendo liscio come se fosse di olio, permetteva alla veloce imbarcazione di avanzare senza troppo affaticare i due rematori. Non essendovi in quel luogo, racchiuso fra due capi che lo proteggono dalle larghe ondate del Grande Golfo, coste ripide, non vi sono flutti di fondo, sicché è rado che l’acqua là entro si sconvolga.

      I due filibustieri arrancavano da un’ora, quando il Corsaro Nero, che fino allora aveva mantenuto una immobilità quasi assoluta, si alzò bruscamente in piedi, come se volesse abbracciare collo sguardo maggiore orizzonte.

      Un lume, che non si poteva confondere con una stella, brillava a fior d’acqua, verso il sud-ovest, ad intervalli d’un minuto.

      – Maracaybo, – disse il Corsaro, con accento cupo, che tradiva un impeto di sordo furore.

      – Sí, – rispose Carmaux, che si era voltato.

      – Quanto distiamo?

      – Forse tre miglia, capitano.

      – Allora a mezzanotte noi vi saremo.

      – Sí.

      – Vi è qualche crociera?

      – Quella dei doganieri.

      – È necessario evitarla.

      – Conosciamo un posto ove potremo sbarcare tranquilli e nascondere il canotto fra i paletuvieri.

      – Avanti.

      – Una parola, capitano.

      – Parla.

      – Sarebbe meglio che la nostra nave non si avvicinasse di piú.

      – Ha già virato e ci aspetterà al largo, – rispose il Corsaro.

      Stette silenzioso alcuni istanti, poi riprese:

      – È vero che vi è una squadra nel lago?

      – Sí, comandante, quella dell’ammiraglio Toledo che veglia su Maracaybo e Gibraltar.

      – Ah!… Hanno paura? Ma l’Olonese è alla Tortue e fra noi due la manderemo a picco. Pazienza alcuni giorni ancora, poi Wan Guld saprà di che cosa saremo capaci noi. —

      Si ravvolse di nuovo nel suo mantello, si calò il feltro sugli occhi, poi tornò a sedersi, tenendo gli sguardi fissi su quel punto luminoso che indicava il faro del porto. Il canotto riprese la corsa; non manteneva però piú la prora verso l’imboccatura di Maracaybo, volendo evitare la crociera delle guardie doganali, le quali non avrebbero mancato di fermarlo e di arrestare le persone che lo montavano.

      Mezz’ora dopo, la costa del golfo era perfettamente visibile, non essendo lontana piú di tre o