si era però messo di sentinella, dopo aver legato per bene il prigioniero, che gli era stato raccomandato dal compare bianco.
Durante l’intera giornata nessuno dei tre filibustieri si mosse: però appena calate le tenebre, il Corsaro si era bruscamente alzato. Era diventato piú pallido del solito ed i suoi occhi neri erano animati da un cupo lampo.
Fece due o tre volte il giro della capanna con passo agitato, poi arrestandosi dinanzi al prigioniero gli disse.
– Io ti ho promesso di non ucciderti, mentre avrei avuto il diritto di appiccarti al primo albero della foresta; tu devi dirmi però se io potrei entrare inosservato nel palazzo del Governatore.
– Volete andare ad assassinarlo per vendicare la morte del Corsaro Rosso?
– Assassinarlo!… – esclamò il filibustiere, con ira. – Io mi batto, non uccido a tradimento, perché sono un gentiluomo. Un duello fra me e lui sí, non un assassinio.
– È vecchio, il governatore, mentre voi siete giovane, e poi non potreste introdurvi nella sua abitazione, senza venire arrestato dai numerosi soldati che vegliano presso di lui.
– So che è coraggioso.
– Come un leone.
– Sta bene: spero di ritrovarlo presto.
Si volse verso i due filibustieri che si erano alzati, dicendo a Wan Stiller:
– Tu rimarrai qui, a guardia di quest’uomo.
– Basta il negro, capitano.
– No, il negro è forte come un ercole e mi sarà di grande aiuto per trasportare la salma di mio fratello. Vieni, Carmaux, andremo a bere una bottiglia di vino di Spagna a Maracaybo.
– Mille pescicani!… A quest’ora, capitano!… – esclamò Carmaux.
– Hai paura?
– Con voi scenderei anche all’inferno, a prendere per il naso messer Belzebú, ma temo che vi scoprano.
Un sorriso beffardo contrasse le sottili labbra del Corsaro.
– La vedremo, – disse poi. – Vieni.
CAPITOLO IV. UN DUELLO FRA QUATTRO MURA
Maracaybo, quantunque non avesse una popolazione superiore alle diecimila anime, in quell’epoca era una delle piú importanti città che la Spagna possedesse sulle coste del Golfo del Messico.
Situata in una splendida posizione, all’estremità meridionale del Golfo di Maracaybo, dinanzi allo stretto che mette nell’ampio lago omonimo, che internasi per molte leghe nel continente, era diventata rapidamente importantissima, e serviva d’emporio a tutte le produzioni del Venezuela.
Gli spagnuoli l’avevano munita di un forte poderoso, armato d’un gran numero di cannoni e sulle due isole, che la difendevano dal lato del golfo, avevano messe guarnigioni fortissime, temendo sempre un’improvvisa irruzione dei formidabili filibustieri della Tortue.
Belle abitazioni erano state erette dai primi avventurieri che avevano posto piede su quelle sponde ed anche non pochi palazzi si vedevano, costruiti da architetti venuti dalla Spagna per cercare fortuna nel nuovo mondo; abbondavano soprattutto i pubblici ritrovi, dove si radunavano i ricchi proprietari di miniere, e dove, in tutte le stagioni, danzavasi il fandango od il bolero.
Quando il Corsaro ed i suoi compagni, Carmaux ed il negro, entrarono in Maracaybo indisturbati, le vie erano ancora popolate e le taverne dove spacciavansi vini d’oltre Atlantico erano affollate, poiché gli spagnuoli, anche nelle loro colonie, non avevano rinunciato a sorbirsi un ottimo bicchiere della natia Malaga o Xéres. Il Corsaro aveva rallentato il passo. Col feltro calato sugli occhi, avvolto nel suo mantello, quantunque la sera fosse calda, colla sinistra appoggiata fieramente sulla guardia della spada, osservava attentamente le vie e le case, come se avesse voluto imprimersele nella mente.
Giunti sulla Plaza de Granada che formava il centro della città, s’arrestò sull’angolo di una casa, appoggiandosi contro il muro, come se una improvvisa debolezza avesse colto quel fiero scorridore del golfo.
La piazza offriva uno spettacolo cosí lugubre, da fare fremere l’uomo piú impassibile della terra.
Da quindici forche, innalzate in semicerchio dinanzi ad un palazzo sul quale ondeggiava la bandiera spagnuola, pendevano quindici cadaveri umani.
Erano tutti scalzi, colle vesti a brandelli, eccettuato uno che indossava un costume dal colore del fuoco e che calzava alti stivali da mare.
Sopra quelle quindici forche, numerosi gruppi di zopilotes e di urubu, piccoli avvoltoi dalle penne tutte nere, incaricati della pulizia delle città dell’America centrale, pareva che non attendessero la putrefazione di quei disgraziati per gettarsi su quelle povere carni.
Carmaux si era avvicinato al Corsaro, dicendogli con voce commossa:
– Ecco i compagni.
– Sí, – rispose il Corsaro, con voce sorda. – Reclamano vendetta e l’avranno presto.
Si staccò dal muro facendo uno sforzo violento, chinò il capo sul petto come se avesse voluto celare la terribile emozione che aveva sconvolto i suoi lineamenti e s’allontanò a rapidi passi, entrando in una posada, specie d’albergo, dove abitualmente si radunano i nottambuli per vuotare con loro comodo parecchi boccali di vino.
Trovato un tavolo vuoto si sedette, o meglio si lasciò cadere su di una scranna, senza alzare il capo, mentre Carmaux urlava:
– Un boccale del tuo migliore Xeres, oste briccone!… Bada che sia autentico o non rispondo dei tuoi orecchi… L’aria del golfo mi ha fatta venire una tale sete, da asciugare tutta la tua cantina!…
Quelle parole, pronunciate in puro biscaglino, fecero accorrere piú che in fretta il trattore, con un fiasco di quell’eccellente vino.
Carmaux empí tre tazze, ma il Corsaro era cosí immerso nei suoi tetri pensieri, che non pensò di toccare la sua.
– Per mille pescicani, – borbottò Carmaux, urtando il negro. – Il padrone è in piena tempesta ed io non vorrei trovarmi nei panni degli spagnuoli. Bell’audacia, in fede mia, venire qui; ma già, lui non ha paura.
Si guardò intorno con una certa curiosità non esente da una vaga paura ed i suoi occhi s’incontrarono con quelli di cinque o sei individui armati di navaje smisurate, i quali lo guardavano con particolare attenzione.
– Pare che mi ascoltassero, – diss’egli al negro. – Chi sono costoro?…
– Baschi al servizio del Governatore.
– Compatrioti militanti sotto altre bandiere. Bah! Se credono di spaventarmi colle loro navaje, s’ingannano.
Quegl’individui frattanto avevano gettate le sigarette che stavano fumando e dopo essersi bagnata la gola con alcune tazze di Malaga, si erano messi a chiacchierare con voce cosí alta da farsi udire perfettamente da Carmaux.
– Avete veduti gli appiccati?… – aveva chiesto uno.
– Sono andato a vederli anche questa sera, – aveva risposto un altro. – È sempre un bello spettacolo che offrono quelle canaglie!… Ce n’è uno che fa scoppiare dalle risa, con quella lingua che gli esce dalla bocca mezzo palmo.
– Ed il Corsaro Rosso? – chiese un terzo. – Gli hanno messo in bocca perfino una sigaretta onde renderlo piú ridicolo.
– Ed io voglio porgli in mano un ombrello onde domani si ripari dal sole. Lo vedremo…
Un pugno formidabile, picchiato sul tavolo e che fece traballare le tazze gl’interruppe la frase.
Carmaux, impotente a frenarsi, prima ancora che il Corsaro Nero avesse pensato a trattenerlo, si era alzato di balzo ed aveva lasciato andare sulla tavola vicina quel formidabile pugno.
– Rayos de dios! – tuonò. – Bella prodezza deridere i morti; il bello è deridere i vivi, miei cari caballeros!…
I cinque bevitori, stupiti da quell’improvviso scoppio di rabbia