Emilio Salgari

Il Corsaro Nero


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hanno appiccato i Fratelli della Costa ed il Corsaro Rosso, mio capitano.

      A quel ricordo un lampo terribile balenò negli occhi del Corsaro Nero, ma subito si spense.

      – Non voglio che muoia, – disse con voce sorda. – Può esserci piú utile d’un appiccato.

      – Allora leghiamolo per bene, – dissero i due filibustieri.

      Si levarono le fasce di lana rossa che portavano ai fianchi e strinsero le braccia del prigioniero, senza che questi osasse fare resistenza.

      – Ora vediamo un pò chi sei, – diesse Carmaux.

      Accese un pezzo di miccia da cannone che teneva in tasca e l’accostò al viso dello spagnuolo.

      Quel povero diavolo, caduto nelle mani dei formidabili corsari della Tortue, era un uomo di appena trent’anni, lungo e magro come il suo compatriota Don Chisciotte, con un viso angoloso, coperto da una barba rossiccia e due occhi grigi, dilatati dallo spavento.

      Indossava una casacca di pelle gialla con qualche rabesco, corti e larghi calzoni a righe nere e rosse e calzava lunghi stivali di pelle nera. Sul capo invece portava un elmetto d’acciaio adorno di una vecchia piuma, la quale non aveva piú che rade barbe e dalla cintura gli pendeva una lunga spada, la cui guaina era assai irruginita alle sue estremità.

      – Per Belzebú mio patrono!… – esclamò Carmaux, ridendo. – Se il Governatore di Maracaybo ha di questi prodi vuol dire che non li nutre di certo con capponi, poiché è piú magro di un’aringa affumicata. Credo, capitano, che valga la pena d’appiccarlo.

      – Non ho detto d’appiccarlo – rispose il Corsaro.

      Poi toccando il prigioniero con la punta della spada gli disse:

      – Ora parlerai se ti preme la pelle.

      – La pelle è già perduta – rispose lo spagnuolo. – Non si esce vivi dalle vostre mani e quando io avessi narrato a voi quanto vorreste sapere, non sarei certo di rivedere egualmente l’indomani.

      – Lo spagnuolo ha del coraggio, – disse Wan Stiller.

      – E la sua risposta vale la sua grazia, – aggiunse il Corsaro. – Via, parlerai?

      – No, – rispose il prigioniero.

      – Ti ho promesso salva la vita.

      – E chi vi crederà?

      – Chi?… Ma sai chi sono io?

      – Un filibustiere.

      – Sí, ma che si chiama il Corsaro Nero.

      – Per la nostra Signora di Guadalupa! – esclamò lo spagnuolo, diventando livido. – Il Corsaro Nero qui!… Siete venuto per sterminarci tutti e vendicare il vostro fratello, il Corsaro Rosso?

      – Sí, se non parlerai, – rispose il filibustiere con voce cupa. – Vi sterminerò tutti e di Maracaybo non rimarrà pietra su pietra!

      – Por todos santos!… Voi qui? – ripeté il prigioniero, che non si era ancora rimesso dalla sorpresa.

      – Parla!…

      – Sono morto; è quindi inutile.

      – Il Corsaro Nero è un gentiluomo, sappilo, ed un gentiluomo non ha mai mancato alla parola data, – rispose il capitano con voce solenne.

      – Allora interrogatemi.

      CAPITOLO III. IL PRIGIONIERO

      Ad un cenno del capitano, Wan Stiller e Carmaux avevano sollevato il prigioniero e l’avevano seduto ai piedi d’un albero, senza però slegargli le mani, quantunque fossero certi che non avrebbe commesso la pazzia di tentare la fuga.

      Il Corsaro gli sedette di fronte, su di una enorme radice che sorgeva dal suolo come un serpente gigantesco, mentre i due filibustieri si erano messi in sentinella alle estremità di quel macchione, non essendo ancora bene sicuri che il prigioniero fosse solo.

      – Dimmi, – disse il Corsaro, dopo alcuni istanti di silenzio. – È ancora esposto mio fratello?…

      – Sí, – rispose il prigioniero. – Il governatore ha ordinato di tenerlo appeso tre giorni e tre notti, prima di gettare il cadavere nella foresta, a pasto delle fiere.

      – Credi che sia possibile rubare il cadavere?

      – Forse, non essendovi di notte che una sentinella a guardia della Plaza de Granada. Quindici appiccati non possono ormai fuggire.

      – Quindici!… – esclamò il Corsaro, con accento cupo. – Dunque quel feroce Wan Guld non ne ha risparmiato neppure uno?

      – Nessuno.

      – E non teme la vendetta dei filibustieri della Tortue?

      – Maracaybo è ben munita di truppe e di cannoni.

      Un sorriso di disprezzo sfiorò le labbra del fiero Corsaro.

      – Che cosa fanno i cannoni a noi? – disse. – Le nostre sciabole d’arrembaggio valgono bene di piú; lo avete veduto ancora all’assalto di S. Francisco di Campeche, a S. Agostino della Florida ed in altri combattimenti.

      – È vero, ma Wan Guld si tiene al sicuro in Maracaybo.

      – Ah sí!… Ebbene, lo vedremo quando mi sarò abboccato coll’Olonese.

      – Coll’Olonese!… – esclamò lo spagnuolo, con un fremito di terrore.

      Parve che il Corsaro non avesse fatto attenzione allo spavento del prigioniero poiché riprese, cambiando tono:

      – Che cosa facevi in questo bosco?

      – Sorvegliavo la spiaggia.

      – Solo?

      – Sí, solo.

      – Si temeva una sorpresa da parte nostra?

      – Non lo nego, poiché era stata segnalata una nave sospetta, incrociante nel golfo.

      – La mia?

      – Se voi siete qui, quella nave doveva essere la vostra.

      – Ed il governatore si sarà affrettato a fortificarsi.

      – Ha fatto di piú; ha mandato alcuni fidi a Gibraltar ad avvertire l’ammiraglio.

      Questa volta fu il Corsaro che provò un fremito, se non di spavento, certo d’inquietudine.

      – Ah!… – esclamò, mentre la sua tinta pallida diventava livida. – La mia nave corre forse un grave pericolo?

      Poi alzando le spalle, soggiunse:

      – Bah! Quando i vascelli dell’ammiraglio giungeranno a Maracaybo, io sarò a bordo della Folgore.

      S’alzò bruscamente, con un fischio chiamò i due filibustieri che vegliavano sul margine della macchia e disse brevemente:

      – Partiamo.

      – E di quest’uomo, che cosa dobbiamo farne? – chiese Carmaux.

      – Conducetelo con noi; la vostra vita risponderà per la sua, se vi fugge.

      – Tuoni d’Amburgo! – esclamò Wan Stiller. – Lo terrò per la cintola, onde non gli salti il ticchio di giuocare di gambe.

      Si rimisero in cammino l’uno dietro l’altro, in fila indiana, Carmaux dinanzi e Wan Stiller ultimo, dietro al prigioniero, per non perderlo di vista un solo istante. Cominciava ad albeggiare. Le tenebre fuggivano rapidamente, cacciate dalla rosea luce che invadeva il cielo, e che si distendeva anche sotto gli alberi giganti della foresta. Le scimmie, che sono cosí numerose nell’America meridionale, specialmente nel Venezuela, si svegliavano, empiendo la foresta di grida strane.

      Sulla cima di quelle graziose palme chiamate assai, dal tronco sottile ed elegante o fra il verde fogliame degli enormi eriodendron, od in mezzo alle sipos, grosse liane che si avviticchiano intorno agli alberi, od aggrappate alle radici aeree delle aroidee, od in mezzo alle splendide bromelie dai ricchi rami carichi di