Joey Gianvincenzi

Le Regole Del Paradiso


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ritenesse sbagliato studiare anziché cominciare subito a lavorare. Sarah aveva sempre avuto una strana sicurezza su ciò che passava per la testa del padre quando le dava i soldi per pagare la rata del corso di musica; era certa che pensasse fossero solo soldi buttati, che non sarebbero mai tornati indietro in nessuna maniera; lo pensava perché non glieli aveva mai dati con il sorriso, mai una volta che le avesse chiesto se si divertiva o se imparava qualcosa di nuovo, se il professore era bravo. Niente di niente.

      Il giorno in cui litigarono non lo avrebbero mai dimenticato, soprattutto Sarah che, dopo aver mandato giù un’infinità di bocconi amari, esplose gridandogli quello che pensava ogni volta che lo guardava negli occhi.

      â€œTi sembra normale che parli e che pensi solo alla fabbrica? Qualcuno te lo ha mai detto che io non sono una figlia fatta di ceramica? Ho forse dei sentimenti che tu non hai mai capito e adesso che mi serve il tuo appoggio, sei sempre contro di me!”

      Quella discussione avvenne subito dopo la grande notizia che entrò in casa Kattabel come un uragano.

      Qualcuno che avrebbe distrutto la loro famiglia con la notizia che stava portando con gioia, quel pomeriggio, alle quindici in punto, bussò alla porta battendo due colpi forti e decisi.

      Tamara, la madre, aprì pensando fosse la sua vicina alla quale aveva chiesto poco prima, per telefono, un paio di limoni, e invece sulla soglia si materializzò uno dei più grandi critici musicali del mondo: Benjamin Woolf.

      Quel giorno passò alla storia. Quando il critico annunciò alla famiglia di voler prendere sotto la sua ala Sarah, sia la madre che il padre fecero presente che il futuro della giovane sarebbe stato quello di terminare gli studi per poi iniziare a lavorare. Non importava se in fabbrica come segretaria o chissà dove, la cosa che premeva di più a loro era vederla occupare un posto fisso, a tempo indeterminato, che le avrebbe permesso di mangiare. “La musica non la sfamerà mai” diceva Tamara.

      In quell’occasione la risposta fu negativa. Il critico musicale andò via da casa Kattabel stupito e confuso, non si sarebbe mai aspettato un rifiuto a una sua proposta. Tutti sapevano che avrebbe lanciato in alto qualsiasi artista in cui vedeva talento.

      La svolta per la musicista arrivò un anno dopo, quando si esibì in un teatro cittadino e lui, Benjamin, era seduto tra il pubblico. Dietro le quinte le fece un’altra proposta, l’ultima. “Prendere o lasciare” le disse.

      Sarah scappò da casa con i soldi della sorella, che le aveva detto di essere dalla sua parte, e si trasferì nella città di Benjamin (fu lui a dirle che la sua era una musica magnifica): da lì iniziò il duro ma fortunato cammino che la portò a essere la più grande musicista contemporanea.

      * * *

      Dopo il ragazzo con lo spartito in mano, a uscire fu proprio Sarah Kattabel. Quando vide Jane la salutò con un cenno della mano prima di avvicinarcisi.

      â€œBuongiorno, signorina Madison” disse sfoderando un gran sorriso.

      Anche Jane stirò le labbra in maniera naturale e spontanea. I denti bianchissimi e perfettamente allineati erano rivolti verso la sua eroina.

      â€œBuongiorno a lei, professoressa Kattabel” rispose la ragazza che, soltanto per guardarla negli occhi, faceva una gran fatica a non balbettare e a tenersi in piedi sulle gambe che le tremavano dall’emozione.

      â€œTe lo dico ogni anno da quando ho letto il tuo meraviglioso tema su Mozart, ma tu puntualmente respingi la mia proposta: vuoi partecipare al concorso musicale di quest’anno?” chiese lei dando alla domanda un tono retorico, come se sapesse l’esito della risposta.

      â€œIo, professoressa, non so se…” Jane bofonchiò qualcosa fino a che lei non la interruppe porgendole lo stesso foglio che era stato appeso sulla porta della sala.

      â€œSono sicura che per scrivere certe cose sulla musica non puoi che essere una gran musicista” disse lei sorridendo.

      Jane diede una rapida occhiata al foglio, ma era convinta che nemmeno quell’anno avrebbe partecipato.

      â€œA me piacerebbe, ma non so suonare bene il pianoforte a tal punto da sostenere un concorso” spiegò nella speranza di chiudere immediatamente quell’argomento; non lo voleva ammettere nemmeno a se stessa, ma l’idea di suonare il suo strumento preferito davanti al pubblico come quello che c’era ogni anno le faceva paura. C’erano pochi soggetti validi in quel liceo, ma erano sempre capaci di riempire la sala presentando le famiglie al completo, amici e talvolta anche qualche sconosciuto.

      â€œNon ho nemmeno mai visto la nuova sala della musica” azzardò lei.

      Sarah sorrise per farle capire che aveva afferrato il vero senso di quell’affermazione.

      â€œAdesso devo sbrigare alcune faccende. Ci vediamo alla fine delle lezioni davanti alla sala. E ti dirò un paio di cose sia sul pianoforte sia sulle brutte cose che hai detto”. Girandosi le lanciò un’occhiata complice.

      â€œQuali cose?” domandò preoccupata.

      â€œNon sono capace, ho paura, forse… bla bla bla” rispose la musicista mentre si allontanava.

      * * *

      Probabilmente Sarah non sarebbe mai venuta.

      Jane si trovava davanti alla porta della sala ormai da venti minuti; aveva visto uscire tutti i ragazzi e le ragazze dalle rispettive aule, ma della professoressa nemmeno l’ombra. Dopo quasi quaranta minuti, prese lo zaino da terra e se lo mise sulle spalle, si allacciò il giacchetto tirando fin su la zip e fece per allontanarsi rassegnata, quando una voce calda e femminile la chiamò da dietro.

      â€œProfessoressa!” esclamò felice.

      â€œJane cara, scusami per il ritardo, ma sono stata in presidenza fino a ora. Odio la burocrazia scolastica!” disse sbuffando.

      â€œNon si preoccupi, io credevo si fosse dimenticata” confessò pentendosi subito di tutta quell’insolenza. Le uscì di getto.

      â€œFigurati! Io ci tengo a far avvicinare gli studenti alla musica” affermò lei estraendo dalla sua borsa avana un mazzo di chiavi.

      Jane non stava più nella pelle; ogni volta che passava davanti a quella stanza moriva dalla voglia d’entrarci, ma un’inevitabile timidezza le impediva di chiedere informazioni o addirittura di iscriversi ai corsi di Sarah Kattabel.

      Finalmente la musicista scelse la chiave giusta, la infilò nella toppa color bronzo e la girò in senso antiorario per tre volte. Per un istante guardò la giovane studentessa come per prepararla psicologicamente a qualcosa che avrebbe visto solamente all’interno di quelle quattro mura; Jane sospirò istintivamente per rilassare il corpo, mentre mani e gambe erano pervase da un leggero e costante tremolio.

      â€œMi dispiace averle chiesto di farmi vedere la sala, ma sono talmente curiosa di…” Jane non fece in tempo a far capire alla professoressa il suo disagio nell’averla disturbata, che lei la interruppe immediatamente.

      â€œSono felicissima che tu mi abbia fatto capire che avevi voglia di vederla o, magari, di provare a iniziare a suonare, ne sarei onorata. Allora, vogliamo entrare?”

      Senza aspettare la sua risposta, la professoressa spalancò la porta e le due si tuffarono all’interno della sala.

      * * *

      Meraviglioso.

      A Jane non venivano in mente altri aggettivi per descrivere con chiarezza e precisione il complesso di oggetti, arredamenti, strumenti e meticolosi particolari che rendevano unica quella stanza.

      Le quattrocento sedie rosse, comode come quelle del cinema che distava pochi metri dall’istituto, erano state divise in quattro gruppi da cento; ognuno di essi