Joey Gianvincenzi

Le Regole Del Paradiso


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Stava visualizzando le sue mani, leggermente rugose, ma forti, che avevano toccato decine di donne sole, di donne che lo usavano per sesso e soldi. S’immaginava sua madre sola seduta sul divano, davanti alla televisione accesa, mentre fuori la pioggia batteva forte contro San Francisco.

      Lui non c’era.

      Lei rimaneva a casa, anche durante il weekend. Intanto le lancette dell’orologio correvano veloci, il tempo di Grace si stava prosciugando e lei non si stava godendo niente della sua vita; quelle lancette, con precisione millimetrica, raggiunsero a gran velocità la sua ora, quella maledetta ora in cui si consumò l’incidente letale che la strappò via dalla faccia della terra.

      Il tempo da quel momento in poi non aveva più senso.

      Gary non aveva più senso.

      E nemmeno Jane.

      Grace era morta.

      Tutto era finito.

      Gioie e dolori.

      Jane chiuse un attimo gli occhi, anche se percepiva il vuoto totale intorno e dentro di lei. Decise di scendere a fare l’ennesima passeggiata nei paraggi di casa per distrarsi.

      Evitò di andare al parco, non aveva la minima intenzione di incontrare, se c’era, quel ragazzo che sembrava cercare disperatamente la sua attenzione.

      Era una fantastica giornata e non faceva tanto freddo. Il cielo era vestito d’un azzurro chiaro e delicato, qualche nuvola bianchissima di passaggio lo accarezzava. Tutto dava l’impressione che fosse una bella e felice giornata, ma la ragazza dai capelli d’oro continuava a sentire dentro una sensazione di disagio assoluto. La verità che aveva appena scoperto, unita alla consapevolezza che quelli erano giorni in cui avrebbe dovuto essere morta, le provocava un notevole disorientamento. La cosa che le dava più angoscia e felicità allo stesso tempo era il pensiero che in quel momento, se fosse morta dopo quel pericoloso gesto, si sarebbe trovata con sua madre.

      Il pessimismo, senza che se ne accorgesse, le si era già infiltrato ovunque come un orribile tumore che lancia le sue metastasi mortali; lo sgomento di Jane lasciava trasparire un senso d’ingiustizia inaudito e produceva pensieri terribili: come batteri, erano capaci d’infettare ogni suo sforzo di sollevarsi, svalorizzavano la voglia di andare avanti che pian piano cercava di costruirsi; quel vento freddo, incessante, soffiava ovunque lei andasse ed era talmente freddo da distruggerle, come castelli di sabbia, tutti i progressi, tutti i passi in avanti e le prospettive di non arrendersi.

      La tragedia più grande risiedeva sulle sue labbra.

      Tutti se ne sarebbero potuti accorgere.

      Non sorrideva più.

      * * *

      Sovrappensiero, Jane era arrivata davanti al parco.

      Dubitò se entrare o meno perché accarezzava sia il timore di incontrarlo, sia la curiosità insistente di saperne di più sul suo conto, come farebbe un investigatore pignolo quando, correlato al caso irrisolto di una vita, spunta quello che per lui è un nuovo e prezioso indizio. Si mise seduta su un’altalena e cercò di rilassare le gambe. Guardò il taglio sul polso e lo fissò per una manciata di secondi. Si era rimarginato del tutto e ancora le faceva strano pensare che da quei sei centimetri circa di ferita si sarebbero potuti dileguare 21 anni di vita.

      Cercando di allontanare quei pensieri, si concentrò su qualcosa di meno spiacevole, ma quella battaglia mentale si consumò senza un vero e proprio risultato soddisfacente.

      Si era già fatto buio, i bambini ormai erano spariti, trascinati via sicuramente dalle mamme annoiate che gli ricordavano che si era ormai fatta ora di cena e che il freddo era ormai davvero insopportabile. In effetti anche il vento iniziò a farsi sentire e Jane, alzandosi, decise definitivamente di chiudere lì l’uscita pomeridiana.

      Improvvisamente sentì un rumore alle sue spalle. Si girò di scatto con il cuore in gola. Un gattino camminava tranquillo dietro di lei, ignaro di tutto. Lo guardò poi arrampicarsi agilmente su un albero. Tirò un sospiro di sollievo e sorrise.

      Girandosi, però, si trovò davanti l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento.

      * * *

      Una pioggia di terrore le cadde addosso. Pietrificata dalla paura, si accorse che il ragazzo che tanto cercava di evitare le era comparso davanti come d’incanto, a pochi metri. D’istinto Jane affondò il suo sguardo negli occhi del misterioso ragazzo immobile, ma avvertì subito un senso d’angoscia che l’avvolse in una soffocante stretta. L’idea di affrontarlo e il coraggio di sconfiggere le sue paure sparirono.

      Nonostante la curiosità iniziale, mai avrebbe voluto trattenersi un secondo di più, ma lui, rimanendo in piedi, sembrava volesse sbarrarle la strada; quello sguardo di ghiaccio, fisso e incollato al suo corpo, la inquietò.

      â€œCi si rivede” esordì lui con un tono basso.

      La sua voce le entrò nel corpo e sembrò congelarla.

      Cercò di abbozzargli un sorriso.

      Sapeva che, se fosse stata in grado di sostenere quella conversazione, probabilmente se la sarebbe cavata con le parole, magari avrebbe potuto trovare una scusa e abbandonare quel maledetto parco, ma vederlo lì davanti, in piedi, a pochissimi metri, provocava una feroce sensazione che vietava l’uso della parola, a favore di un indecifrabile silenzio.

      Avrebbe voluto scappare via il più velocemente possibile, ma le gambe, come colonne di cemento, non le avrebbero permesso una corsa fluida.

      A illuminare il ragazzo malintenzionato c’era un solo lampione basso che, proiettando una luce ingiallita, sembrava messo in quella posizione appositamente da un famoso regista impegnato nella realizzazione del suo nuovo film horror.

      â€œHai perso la lingua?” stuzzicò lui inclinando leggermente la testa verso destra.

      Jane scosse il capo.

      â€œAllora perché non mi parli? Dì, ti ho fatto qualcosa?”

      Jane contò fino a tre. Poi sarebbe scappata.

      â€œAllora?” continuò lui. “Non rispondi?”

      Uno.

      Il ragazzo sorrise e nella sua espressione sembrò esserci un misto tra pena e rabbia.

      Due.

      â€œSe parliamo un po’ non ti mangio mica, ceno a casa non preoccuparti!” disse e, per ridere, il ragazzo buttò la testa all’indietro e si lasciò andare a una sonora risata.

      Tre!

      Jane scattò dal suo posto con gran velocità e iniziò a correre, anche se sentiva le gambe ormai atrofizzate dalla paura. Per un attimo si preoccupò addirittura dell’andatura goffa e impacciata.

      Ce l’aveva quasi fatta. Stava prendendo sempre più velocità quando a un certo punto il ragazzo, ormai alle sue spalle, gridò qualcosa.

      La paura che attanagliava Jane si trasformò in un sentimento di confusione, ma anche di profonda e immediata riflessione.

      La sua corsa si ridusse a un passo veloce, fino ad arrestarsi del tutto.

      * * *

      Gli dava le spalle.

      Continuava a tenere gli occhi fissi sul cancello, ancora qualche passo e si sarebbe ritrovata fuori da quella che sembrava essere diventata la sua trappola. Come per alcuni processi che pretendono tempi precisi, anche lei si concesse qualche secondo per metabolizzare ogni parola che aveva appena udito. Si girò prima lateralmente, come per controllare la situazione con la coda dell’occhio, per poi girarsi definitivamente.

      Ancora non si dissero niente. La ragazza si avvicinò a passi