a fondo! Addio moglie!
–Addio figliuoli! Addio fratello!
–Si affonda! Si affonda! Si affonda!
Dobbiamo affondare col nostro Re!
Exit.
Dobbiamo congedarci da lui!
Exit.
Darei volentieri mille iugeri di mare, per pochi metri di nuda terra: sterpami, roveti e ogni altra cosa. Che la volontà del cielo sia fatta! Ma io vorrei morire una morte asciutta!
Exit.
SCENA II
Nell'isola: d'innanzi alla grotta di Prospero.
Entrano PROSPERO e MIRANDA.
Se con vostra arte, o caro padre, avete l'onde selvagge in tal frastuono messe or le pacificate. Il cielo—sembra— ardente pece pioverebbe, se il mar salendo alla sua guancia, il fuoco non ne cacciasse. Oh come insiem con quelli che ho veduto soffrire, anch'io soffersi! Un vascel valoroso—e non vi ha dubbio che in lui non fosse qualche creatura nobile—messo in pezzi! E quali grida mi percossero il cuore! E son perite quelle povere anime! Se fossi stata una Dea possente avrei sommerso il mare nella terra, prima che il buon vascello esso inghiottisse insieme con quelli che recava seco!
Calmati! non più paura e al pietoso cuore di' che non vi fu danno.
O triste giorno!
Non vi fu danno. Io non ho fatto nulla che non fosse per te. Per te mio bene, per te mia figlia che non sai chi sei e non conosci d'onde io venga, o s'io, io non sia meglio di Prospero, padrone di una povera grotta e nulla più del padre tuo.
Non ho pensato mai di sapere altra cosa.
Il tempo è giunto ch'io ti spieghi altra cosa. Or dunque dammi la mano ed il mio magico mantello or dalle spalle toglimi. Così.
Si toglie il mantello e lo stende per terra.
Quivi si giace la mia arte. Asciuga gli occhi e sii calma. Questa spaventosa vision del naufragio che percosse la virtù in te della compassione, con la sola potenza di mia arte comandata ho così sicuramente che non una sola anima—che dico?– non un solo capello di coloro che tu udisti gridare, che vedesti sprofondare nell'onde è andato perso. Siediti, è giunto il giorno in cui tu devi conoscere di più.
Spesso mi avete cominciato a narrar quel ch'io mi fossi ma mi avete interrotto ad una vana mia richiesta lasciandomi, col dire: "Basta, non è ancor tempo".
E il tempo è giunto ed il momento ne sospinge. Tendi l'orecchio e presta attenzione. Puoi tu ricordare gli anni, pria che in questa grotta fossimo giunti? Io non suppongo che tu lo possa però che compiuti non avevi tre anni.
E pur lo posso, o signore.
Ma cosa? Una dimora diversa? Altre persone? Dimmi quale immagine il ricordo tuo rattiene.
È così lunge! Ed è quel mio ricordo più come un sogno che una cosa vera. Ma, dite, non avevo allora cinque o sei donne d'intorno a me?
Ne avevi anche di più, Miranda. Ma in che modo tutto ciò vive nel pensiero tuo? E cosa vedi ancora entro l'oscuro baratro e nell'abisso alto del tempo? Se tu ricordi cose antecedenti al tuo giungere qui, puoi ricordare come qui tu giungesti.
No, non posso.
Sono oramai trascorsi dodici anni, dodici anni, Miranda! Era tuo padre il duca di Milano e assai potente principe.
O signor mio, non siete dunque mio padre?
La tua mamma che fu in vero la virtù stessa, ti dicea mia figlia ed era certo, duca di Milano il padre tuo. L'unica erede tu, e non indegna principessa!
O cielo! Qual brutto inganno quivi ci ha condotti o benedizione è stato quello che ci fu fatto?
L'uno e l'altra, o mia fanciulla: per un brutto inganno, come tu dicesti, noi qui venimmo ma l'aiuto è stato benedetto.
Oh il cuore mi sanguina a pensar tutte le cose che sono ormai fuori del mio ricordo. Ma proseguite, ve ne prego.
Il mio fratello—era tuo zio—chiamato Antonio, te ne supplico, ascolta, e chi potrebbe pensare che un fratello esser potesse così perfido? E pur dopo me stesso nessuno amavo più di lui nel mondo. Tanto lo amavo che in sua cura detti tutto il mio Stato, ed era allora sopra le Signorie la prima e il primo Duca Prospero: in ogni dignità citato e nelle liberali arti pur senza paragone. Sommerso nello studio, su mio fratello il peso del governo tutto lasciai, sì che stranier divenni al mio paese, assorto nei segreti miei studii. Ma quel tuo subdolo zio…. di', mi ascolti?
Oh sì molto attentamente.
…. come ebbe appreso ad elargir le grazie od a negarle, come seppe quale dovea promuover quale radiare quale rinnovellar fra creature che furon mie o trasformarle, avendo ambo le chiavi degli uffici e degli ufficiali, a intonare si compiacque tutto lo Stato in unica armonia cara agli orecchi suoi, sì ch'egli fu l'edera avvinta al principesco mio tronco dal qual suggeva ogni verdura. Ma non ascolti….
Oh buon signore, ascolto!
Sì, ascoltami, ti prego. Trascurando sì le cure mondane e tutto intento ai riposti misteri della mia mente, vivevo in così gran ritiro abbandonando ogni favore al mio falso fratello, che indole malvagia teneva sveglio. E quella mia fiducia come un buon genitore, produceva in lui tanta falsezza quanto più essa era grande. E questa non aveva limiti ed era una fiducia senza confini. Essendo in tal modo signore non solamente della mia ricchezza ma di quel che il poter mio consentiva di esigere, come uno che dicendo il falso sempre, fa di sua memoria tal peccatrice che finisce poi col creder vera la menzogna sua, egli credette d'esser duca e, inconscio di una tal finzione, ogni regale prerogativa fece sua, fin quando l'ambizione ognor crescendo…. Ascolti?
Curerebbe la storia vostra i sordi!
Non seppe più distinguer fra la parte ch'ei sosteneva e quegli per il quale la sosteneva, sì che pensò al fine d'essere di Milano l'assoluto signore. In quanto a me dovea sembrargli la biblioteca mia ducato grande abbastanza, sì che mi giudicava ormai incapace d'ogni regal cura. Alleato—però che da sè solo mal dominato avrebbe—con il Re di Napoli, promisegli un tributo ogni anno e a fargli omaggio la corona mal sottomise a quella sua più grande, ed il Ducato—ahi povera Milano!– libero fino allora, rese schiavo in un servaggio vergognoso.
Oh cielo!
Pensa alla sua condizione e a questo avvenimento e dimmi s'egli possa pur essermi fratello!
Peccherei pensando mal dell'avola: cattivi figli han recato buoni ventri.
Ed ecco la fine. Il Re di Napoli che mi era acerrimo nemico, prestò orecchio alle richieste del fratello mio. Sì che in compenso del promesso omaggio e di non so quale tributo, fuori del ducato mi avrebbe egli bandito con i miei tutti e la bella Milano con ogni onore a mio fratel ceduta. Fu così che un esercito, di notte, a tradimento penetrò la cinta— e forse avea le porte di Milano aperte Antonio—e favoriti dalle tenebre ci cacciarono i ministri te piangente e me stesso.
Ahimè pietà! Non ricordando come allora piansi ora di nuovo piangerò. Son gli occhi costretti a ciò da un tal racconto.
Ascolta ancora un poco e porterò il tuo spirto agli affari che ci occupano. Senza questi la storia mia sarebbe troppo fuori di luogo.
Ma