Dawn Brower

Angelo Ribelle


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se davvero non gliene importava, allora avrebbe letto la lettera. La aprì e ne scorse rapidamente il contenuto. Lui imprecò sottovoce quando capì cosa conteneva. Emilia sapeva esattamente cosa stava facendo. Angeline era molto intelligente e questo era il suo modo di assicurarsi di ottenere aiuto senza infrangere la sua fiducia. Lucian aveva rubato la lettera e Emilia non poteva impedirgli di leggerla. Quello era un sacco di negazioni plausibili e aveva un rinnovato rispetto per la sua sorellina.

      Questo ancora non lo aiutava a risolvere il suo problema più immediato. Non sapeva esattamente dove o quando si sarebbe svolta questa ridicola parata cui Angeline aveva deciso di prendere parte. Come avrebbe potuto salvare la mocciosa da se stessa se non fosse riuscito a trovarla? Probabilmente non avrebbe avuto il tempo di chiedere aiuto ad Andrew o ad Alexander. Una parte di lui si chiedeva se sarebbero corsi e avrebbero salvato la loro sorella irresponsabile se lo avessero saputo. Doveva credere che lo avrebbero fatto. Pensavano che Angeline avrebbe dovuto forgiare la sua strada da sola, ma unirsi alla causa delle suffragette poteva ucciderla.

      Stava a Lucian salvarla e lui avrebbe fatto tutto il necessario per assicurarsi che fosse tornata a casa incolume. Angeline probabilmente lo avrebbe odiato per questo, ma avrebbe potuto vivere senza conseguenze. Finché stava bene, nient'altro importava.

      CAPITOLO QUATTRO

      Angeline si asciugò il sudore dalla fronte. Il rumore delle donne che marciavano echeggiava intorno a lei. A volte si chiedeva perché sceglieva di fare alcune delle cose ridicole che faceva. Essere circondata da numerose donne che urlavano ad alta voce e stare a stretto contatto con loro non era affatto lontanamente simile al divertimento. La folla la rendeva ancora più surriscaldata di quanto non lo fosse già e tutto quello che voleva era andare a casa e togliersi i suoi vestiti. Perché doveva essere così dannatamente caldo?

      Un suono acuto risuonò nelle sue orecchie, un fischio che veniva soffiato da qualche parte nelle vicinanze. Il suono la circondò da tutte le parti e le faceva male ascoltarlo. In qualche modo, riuscì a superare le urla delle donne che marciavano al suo fianco. Una donna accanto a lei incespicò e fece cadere a terra Angeline. Atterrò dalla sua parte e il dolore attraversò tutto il suo corpo. Seguì il caos e tutte le donne iniziarono a correre. Angeline non era sicura del perché, prima di vedere un uomo in lontananza – era arrivata la polizia. Diverse donne avevano iniziato a correre all’impazzata per fuggire dalla polizia inviata per interrompere la loro protesta. Angeline si raggomitolò e si nascose la testa sotto le braccia. Le lacrime le scendevano in faccia e lei pregò che in qualche modo sarebbe sopravvissuta.

      "Angeline", gridò un uomo.

      Voleva alzare lo sguardo e capire chi la stava chiamando, ma aveva paura. Se lo avesse fatto, qualcuno l'avrebbe ferita di più. La folla si stava disperdendo e tutte le donne si stavano dirigendo in direzioni diverse. L'intera faccenda non stava andando bene. Che cosa stava pensando? Qualcuno l'afferrò e la tirò in piedi. Angeline tirò un sospiro di sollievo e si girò per ringraziare la persona che l'aveva aiutata. Ogni parte del suo corpo le faceva male e non dubitò per un secondo che sarebbe stata coperta di lividi dalla testa ai piedi.

      "Signorina, voi verrete con me", le disse un agente di polizia. Il blu scuro della sua uniforme si offuscò davanti a lei. Era stato lui a chiamarla? Come sapeva il suo nome e, se la conosceva, come osava usarlo così personalmente. Era la figlia di un visconte e non doveva essere trattata così comunemente. "Avete violato la legge e temo che passerete un po’ di tempo in una cella".

      Angeline sapeva che sarebbe stato un rischio partecipare alla marcia, ma aveva scioccamente creduto che sarebbe sfuggita a un simile destino. Questa era un'altra cosa che era andata storta da quando aveva accettato di partecipare. Lei voleva uguali diritti per tutte le donne; tuttavia, stava cominciando a chiedersi se il costo per acquisirli potesse essere un prezzo troppo alto da pagare. Sua madre e suo padre sarebbero stati così arrabbiati con lei. Non sarebbe stata la prima volta, ma essere gettata in carcere sarebbe stata sicuramente in cima alla lista delle più grandi delusioni. I diritti delle donne erano ancora qualcosa per cui avrebbe voluto combattere in qualche modo. Forse non era la strada giusta per lei, ma poteva ancora fare … qualcosa. Avrebbe dovuto parlare con una delle donne del gruppo delle suffragette e accertare quale avrebbe dovuto essere il suo ruolo. Non era del tutto pronta a rinunciarvi. In quel particolare momento aveva qualcosa di più grande di cui preoccuparsi. "No", disse lei e cercò di togliere il braccio dalla sua stretta. "Non posso andare in prigione".

      "È qualcosa che avreste dovuto considerare prima di decidere di partecipare a questa marcia femminile". La tirò verso di sé e la condusse via dalla strada. "Questo è il motivo per cui le donne hanno bisogno di qualcuno che le curi. Lasciar prendere a voi delle decisioni, ecco che fate danni. Avete bisogno di un uomo forte nella vostra vita per aiutarvi e condurvi sulla retta via".

      La mente di Angeline divenne momentaneamente vuota per quella dichiarazione. Era scortese e rozzo. Come osava pensare di avere una maggiore capacità mentale di lei solo perché era nato maschio. Avrebbe scommesso tutta la sua dote che lei aveva molta più intelligenza di quel bruto che la costringeva a camminare accanto a lui. "Siete la ragione per cui tutte le donne hanno marciato oggi. Gli uomini come voi fanno desiderare di lottare per il diritto di prendere le proprie decisioni. Potrebbe non piacervi, ma un giorno avremo uguali diritti. Potrebbe servire più tempo di quanto vorremmo perché dobbiamo combattere la misoginia simile alla vostra, ma sarà una realtà".

      Era stata una giornata orribile. Continuava a non pensare che potesse peggiorare, ma si rifiutò di tenere a freno la lingua. L'ufficiale di polizia probabilmente avrebbe reso la sua vita ancora più infernale per aver parlato. Non poteva lasciare che influenzasse le sue decisioni. Aveva già avuto troppi dubbi che dilagavano nella sua mente.

      "Signorina, voi delirate".

      Lui non disse altro. L'uomo continuò a trascinarla lungo la strada verso il carcere più vicino. Probabilmente si sarebbe dimenticato di lei una volta che l'avesse rinchiusa. L'unica persona che sapeva che cosa aveva programmato Angeline era Emilia. Quanto tempo ci sarebbe voluto perché la sua amica realizzasse che lei era scomparsa. "Non sono una paranoica sulle donne che hanno voce in capitolo su ciò che riserva il loro futuro. Mette in pericolo la vostra mascolinità se le donne hanno un qualche tipo di potere?"

      Lui scosse la testa e strinse la presa sul suo polso. Angeline trasalì. Forse avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa, ma per lei era intrinsecamente impossibile smettere di parlare. Diventare una chiacchierona era una seconda natura per lei in situazioni di grande stress.

      "Che cosa? Non avete niente da dire?"

      "Non ho bisogno di spiegarvi le mie convinzioni". I suoi occhi si socchiusero e la sua voce riecheggiò della derisione che quasi urlò con il suo sguardo. "Inoltre, tra qualche istante, non sarete un mio problema".

      Angeline aveva davvero paura che tutti l’avessero pensato. Persino le signore che avevano partecipato alla marcia non pensavano a lei. Almeno, in un primo momento, non avrebbero considerato quello che le era successo. Probabilmente ci sarebbe voluto un po’ prima che riuscissero a tornare alla casa dei Pankhurst. Doveva contare su Emilia che la cercasse e la trovasse. "Voi, signore, siete una persona orribile".

      "Sto facendo il mio lavoro. Un giorno potreste ringraziarmi per questo".

      Se c'era una cosa che sapeva con certezza, era che non avrebbe mai mostrato a questo particolare ufficio di polizia nemmeno un'oncia di gratitudine. Lui si era divertito un po’ troppo per i suoi gusti nella sua posizione autoritaria. Raggiunsero il carcere e lui aprì una porta, poi la spinse dentro. Lui le posò una mano sulla schiena e la fece andare avanti. "Entrate qui".

      Angeline inghiottì il nodo in gola e riuscì a trattenersi dal piangere. Le lacrime che aveva versato quando la folla quasi l’aveva calpestava si erano asciugate di fronte alla sua attuale paura. Tutto quello che poteva fare adesso era sperare che qualcuno, chiunque, venisse in suo aiuto.

      Lucian stava cercando Angeline tra la folla. L'aveva alla fine intravista mentre qualcuno l'aveva gettata a terra. La sua chiamata non aveva raccolto i risultati desiderati e, non molto tempo dopo, un agente di polizia l'aveva portata