Софи Лав

Terre spettrali


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June Manor aveva un certo aspetto dark, ma qui si saliva davvero di livello. Sembrava una sorta di castello in miniatura trasportato via aereo direttamente dalla Transilvania e fatto atterrare nella piccola cittadina di Bloom, nel Maine. Il dettaglio più grazioso e più tradizionale di tutto era il cartello intagliato a mano affisso sopra l'ampia scalinata della veranda, sul quale c'era scritto BLOOM GARDENS AND REST. A parere di Marie, era l'unico elemento che rendeva un po' accogliente l'esterno del palazzo. Certo, era ben tenuto, ma ogni dettaglio sembrava gridare questa è una casa degli orrori anziché vi auguro una piacevole notte di riposo al mio interno.

      In altre parole, per la prima volta stava avendo un assaggio di quello che in tanti dovevano pensare di June Manor.

      “Ventimila dollari,” si disse Marie. “Non dimenticartelo.”

      Uscì dall'auto insieme a Boo e insieme attraversarono il piccolo cortile per raggiungere la veranda. Durante il breve cammino, Marie si prese un momento per fare il punto su come fosse finita lì. Di certo il fatto di essere la proprietaria di un bed-and-breakfast da sole tre settimane non le dava il diritto di mettersi a spiegare a un'altra proprietaria cosa fare con la propria attività, questo era sicuro. Dopo tutto, aveva preso in considerazione la richiesta di questa donna solo per i soldi che le avrebbero permesso di tenere a galla il proprio bed-and-breakfast, il quale aveva decisamente già avuto la sua dose di attività soprannaturale, con tutti i guai che ne erano conseguiti.

      Avvicinandosi alla veranda, a Marie venne in mente che stava per varcare di sua spontanea volontà l'ingresso di un luogo che poteva essere veramente infestato. Sebbene si stesse rassegnando all'idea di ammettere che forse c'era davvero qualcosa di paranormale nel suo bed-and-breakfast, entrare di proposito in un posto che la stessa proprietaria aveva definito come “messo a soqquadro regolarmente molte volte a notte” era una faccenda completamente diversa.

      Quando giunse sulla veranda, Marie rabbrividì. Era solo la sua immaginazione, o all'improvviso l'aria era diventata un po' più fredda?

      Boo zampettò su per le scale e rimase in attesa davanti alla porta. Marie lo seguì e bussò, producendo un suono sordo e spaventoso. Si disse tuttavia che era la sua mente a essere sicuramente già tanto suggestionata da farglielo sembrare molto più terrificante di quanto non fosse in realtà.

      La donna che le aprì la porta aveva un aspetto completamente opposto a quello della casa. Era una signora sui cinquant'anni, che indossava un abito estivo giallo chiaro. Aveva i capelli biondi, anche se aveva scelto di non darsi troppo la pena per nascondere quel po' d'argento che iniziava a colorarne le radici.

      La donna esaminò Marie per un momento e aspettò qualche secondo prima di sorridere. A quanto pareva, anche lei era stranita quanto Marie dalla situazione.

      “Lei è Marie Fortune, suppongo?” chiese.

      “Sì, signora.”

      “Piacere di conoscerla, Marie. Mi chiamo Anna Grace, sono la proprietaria del Bloom Gardens.” Abbassò poi lo sguardo, accorgendosi per la prima volta di Boo. “Oddio, e lui chi è?”

      Boo sapeva riconoscere le lodi quando le riceveva, e immediatamente raggiunse i piedi della sua nuova amica. La signora Grace gli fece una grattatina sotto il mento e gli accarezzò la testa.

      “Lui è Boo. E le sarei molto grata se potesse rimanere con me, se lei è d'accordo. È il mio aiutante.”

      “Oh cielo,” esclamò la signora Grace. “Adoro i cani, e lui sembra davvero un tesoro, ma non ho mai permesso a nessun cane di entrare in casa mia.”

      Marie sentì il cuore paralizzarsi. Ci mancava solo quello, aver fatto tutta quella strada fino a lì solo per scoprire di non avere il permesso di usare la sua arma segreta. Se a Boo non fosse stato consentito di rimanere al suo fianco, in breve tempo avrebbe fatto la figura dell'imbrogliona. Sentì accendersi una scintilla di panico, ma immaginò che poteva perlomeno tentare di convincere la signora Grace.

      “Oh, capisco. Beh, vede, in un certo senso lui è parte integrante del mio lavoro. È un po' difficile da spiegare.” Ma ciò che davvero stava pensando era che se a Boo fosse stato vietato di entrare, tutto sarebbe crollato come un castello di carte e il giorno successivo avrebbe avuto la reputazione di una grossa ciarlatana.

      “Suppongo che è addomesticato e non urina in casa?” domandò la signora Grace.

      “Certo. È addestrato a lasciare peli in giro. E comunque, se vuole, posso passare l'aspirapolvere prima di andare via.”

      La signora Grace si mise a riflettere ma aveva l’aria irritata. Osservò Boo, che sembrava essere consapevole di essere l'oggetto della conversazione. Sbuffò leggermente e annusò i piedi della signora Grace.

      “D'accordo, ha il mio permesso,” concesse la signora Grace. “Ma la prego di tenerlo d'occhio.”

      Marie provò subito una sensazione di sollievo ma cercò di far finta di niente, limitandosi a un semplice ma cortese: “Grazie.”

      La signora Grace annuì. Si guardò intorno: il pomeriggio stava ormai cedendo il passo al crepuscolo. Anche se diversi giorni prima aveva acconsentito con Brendan a fissare l'appuntamento a quell'ora, ora ne sembrava quasi pentita. “Vi prego, entrate, tutti e due, vi faccio fare un giro della casa.”

      La signora Grace fece strada, lasciandoli entrare. Appena Marie varcò la porta d'ingresso, ancora una volta le sembrò che il mondo fosse diventato, d'improvviso, un po' più freddo. Guardò in basso verso Boo per vedere se si comportasse in modo inusuale, ma non sembrava affatto turbato, tutt'altro: aveva invece l'aria entusiasta di poter esplorare una nuova casa.

      “Non posso affermarlo con certezza,” disse la signora Grace, guidandoli verso il pittoresco atrio, “ma credo che ce ne siano due. Uno sembra amichevole, l'altro piuttosto cattivo.”

      “Due…?”

      “Fantasmi, cara.”

      La signora andava dritto al sodo, pensò Marie. Non menava il can per l'aia, nessuno spettrale elefante nella stanza. C'era un che di confortante in quell'atteggiamento, ma anche di disarmante. Brendan avrebbe adorato questa signora, trovò.

      Marie ascoltò attentamente, ma si prese anche il tempo di esaminare per bene il luogo. Le sembrò che, tutto sommato, avesse più cose in comune con June Manor di quanto avesse pensato. All'interno, aveva un'aria più maestosa, sebbene sempre spettrale. Era un edificio a due piani, ma risultava angusto come se si fosse trattato di un solo piano. Era una sensazione particolare. Il soffitto nell'atrio era alto almeno sei metri, e si abbassava, ma di pochissimo, mano a mano che si passava da una stanza all'altra. Sul pavimento dell'atrio erano disposte delle piastrelle che assicuravano una transizione elegante verso il corridoio, da cui si accedeva a diverse camere. Come a June Manor, la scala di accesso al secondo piano era una delle prime cose che si vedevano entrando in casa, poiché si trovava dirimpetto alla porta d'ingresso.

      “Brendan le ha detto molto in merito alla casa?” domandò la signora Grace.

      “Non molto,” rispose Marie. “Credo desiderasse che fosse lei a parlarne.”

      La signora Grace li guidò in un piccolo soggiorno caratterizzato da un arredamento sontuoso e bellissimo. Marie si sedette su un piccolo divanetto mentre la signora Grace si accomodò su una poltrona reclinabile dall'aria davvero signorile.

      “Va avanti da anni ormai,” iniziò a spiegare la signora Grace. “All'inizio, erano piccole cose. La saliera e lo spargipepe dall'angolo cottura si spostavano fino al lavandino della sala da bagno. I parasole della veranda posteriore si chiudevano appena li aprivo. La cosa che preferivo però era questa: ogni tanto, mentre ascoltavo Frank Sinatra sul mio altoparlante Bluetooth, la musica veniva interrotta dal sibilo di un'interferenza, dopodiché partivano i Beatles. Sempre la stessa canzone, Strawberry Fields Forever. Piccole cose così.”

      “Poi però la situazione è peggiorata?” chiese Marie.

      “Sì. All'incirca sei o sette mesi fa, ho avuto la sensazione che ne fosse arrivato un altro. Tutti quegli scherzetti di cui parlavo erano opera del primo fantasma. Sinceramente, non so nemmeno se i miei ospiti se ne siano mai davvero accorti. Alcuni mi hanno riferito di aver intravisto