vedeva dall’interno dell’abitacolo del suo autoarticolato, tre su sette non funzionavano. Uno di essi emetteva un lieve baluginio intermittente blu e giallo. Benone. Due su sette. Però gli addetti alla manutenzione avrebbero dovuto passare. Sfrecciò accanto al lampione morente e si inoltrò in una sezione più buia della strada.
Herman afferrò il volante, mormorando una bestemmia tra i denti mentre guidava il suo grosso veicolo sull’asfalto umido. La neve si era per lo più sciolta, ma il gelo aveva danneggiato i lampioni della statale. Intere porzioni di strada sembravano quasi abbandonate. Herman aveva degli amici – altri autisti – che di questi tempi evitavano quella parte della statale. Ma lui non poteva permettersi di perdere tempo. No, non ora. Guidava quindi lungo la strada solitaria e scarsamente illuminata, sfrecciando in mezzo alla foresta che prendeva la forma di un vortice di marroni e verdi fuori dai suoi finestrini. Stava mettendo il camion alla prova sulla sua capacità di affrontare le urgenze. Aveva già passato Rotmeer e poteva vedere il Feldberg in lontananza.
Non poteva fare tardi. Non stasera. Doveva fare il viaggio di ritorno in tempo per poter dormire un po’ prima dell’udienza per la custodia dell’indomani.
Herman si accigliò al pensiero di ciò che la mattina seguente gli avrebbe portato, e per un brevissimo istante abbassò lo sguardo sulla foto della ragazzina dagli occhi castani attaccata con lo scotch sul cruscotto. Parte della sua frustrazione si dissolse mentre osservava la figlia, così sospesa nel tempo.
Solo un breve momento di disattenzione. Risollevò lo sguardo. E gridò.
C’era qualcuno in mezzo alla strada.
Herman si sentì gelare il sangue, sbatté il piede sul freno e ruotò lo sterzo per evitare la persona.
Le ruote fischiarono, protestando per l’improvviso cambio di direzione e velocità. Herman sentì che la cabina del camion rischiava di ribaltarsi. Il cuore gli era già saltato fuori dal petto e sembrava contorcersi da qualche parte in prossimità della gola. Il suo grido si perse nel fragoroso stridio dei freni. Il camion virò fuori strada, andando a sbattere contro uno dei lampioni. Il palo si piegò e la luce della lampadina si infranse, facendo piovere frammenti di vetro sul parabrezza.
Tre luci su sette. Herman rimase seduto immobile, tremante, il sangue che gli gocciolava dal naso. Gli ci volle qualche secondo per capire che l’airbag era esploso. Le sue mani erano ancora strette sul volante. Per un istante ebbe quasi l’impressione di non poterlo lasciare. Fissò le sue nocche. Aveva la vista offuscata e si sentiva pulsare per l’adrenalina. Le mani erano bianche. Delle gocce rosse cadevano ritmicamente sul dorso. Si portò una mano al viso e sentì un liquido caldo che usciva dal naso.
Scosse la testa e sbatté le palpebre un paio di volte. Aveva colpito la persona?
Guardò ancora attraverso il parabrezza e fu nuovamente sconvolto da quanto quelle parti della foresta fossero solitarie e desolate. Nessuno nei paraggi. Guardò da una parte all’altra della strada, allungando lo sguardo in lontananza rispetto a dove si era schiantato, e notò che non c’erano auto parcheggiate a bordo strada. Un lento brivido di paura gli attraversò la schiena.
Herman avrebbe voluto chiudersi a chiave nella cabina del camion e chiamare la polizia. Ma un piccolo e fastidioso senso di preoccupazione gli fece riabbassare lo sguardo sulla foto attaccata al cruscotto. La persona in mezzo alla strada gli era sembrata una ragazzina. Uno slancio di coraggio lo spinse sul bordo del suo sedile. Si sganciò la cintura, spinse da parte l’airbag e aprì la portiera.
Normalmente, anche se era un uomo di mezz’età, era abbastanza atletico da venire giù dal camion con un salto. Ma adesso, con le gambe tremanti, scelse di usare il gradino metallico e smontò lentamente dall’abitacolo.
Il freddo lo avvolse come una coperta. A quanto pareva, un vento gelido aveva iniziato a soffiare. Sopra a lui, il lampione che aveva colpito era morto. Quello dall’altra parte della strada, qualche centinaio di metri più indietro, lampeggiava ancora nel suo bagliore blu.
Fu in quella foschia di luce pulsante che scorse di nuovo la persona. Una donna. Una ragazza. Forse una via di mezzo tra le due. Giovane, certo non più di vent’anni. Stava in mezzo alla strada e sembrava non essersi spostata di un centimetro da dove l’aveva vista la prima volta. In piedi. Che stesse in piedi era un segno positivo. Significava che era ancora viva.
“Salve! Fräulein!” la chiamò. “Si sente bene?” Sollevò una mano, facendosi vedere in mezzo alla statale.
La donna non si voltò. Continuava a fissare davanti a sé, rivolta verso la strada aperta.
Herman guardò da una parte e poi dall’altra, seguendo con gli occhi la strada che serpeggiava in mezzo alla foresta, seguendo una pendenza regolare. C’erano rami scuri con foglie mosse dal vento che si estendevano oltre i bordi della strada. Altri alberi erano stati tagliati, eliminati per fare spazio ai pali del telefono o per non generare pericolo lungo la statale.
Da dove era saltata fuori la ragazza? Non c’era nessun veicolo in vista.
Herman sussultò, sentendo un livido che si stava formando sulle sue costole, dove l’airbag l’aveva colpito. Il naso gocciolava ancora sangue, che si stava lentamente rapprendendo nell’incavo sopra al suo labbro superiore. Sentì un sapore amarognolo e salato mentre parte del sangue gli si infiltrava dall’angolo della bocca. Se lo asciugò con una mano, sempre avvicinandosi cautamente alla ragazza in mezzo alla strada.
Il suo camion era ancora piegato attorno al lampione, che era conciato molto peggio del veicolo. Il suo autoarticolato avrebbe potuto tornare in strada. L’autista continuò ad avanzare, una mano tesa a indicare calma. La ragazza ancora non si girava verso di lui.
A quel punto scorse il sangue.
Rivoli color cremisi scorrevano lungo le sue braccia e cadevano dalle punte delle dita finendo a terra. I suoi piedi erano callosi e screpolati, ricoperti di graffi e tagli. Non indossava scarpe, e dalla condizione in cui versavano i piedi, doveva aver corso scalza in mezzo alla foresta. C’erano degli squarci nella sottile maglietta grigia che indossava. Le braccia presentavano dei tagli. Indossava solo biancheria intima, niente pantaloni.
Herman sentì un altro brivido e fissò la ragazza, guardandola negli occhi. Alla fine lei parve notarlo, come se si fosse destata da un torpore. Lo guardò e iniziò a gridare.
Il suono riecheggiò tra colline e foreste, passando in mezzo agli alberi e allargandosi sulla statale come una cortina di ghiaccio. Con esso sopraggiunse un’orribile sensazione di gelo. Herman scosse la testa, rifiutando di permettere e se stesso di dare ascolto al proprio stomaco. Il suo istinto gli diceva di fuggire, di correre al suo camion, di entrare nella cabina e scappare via, lasciandosi alle spalle questo problema. Notò che anche le mani della ragazza erano insanguinate e con esitazione le chiese: “Geht’s dir gut? Stai bene?”
Lei stava scuotendo la testa, tremando, il mento spinto in avanti. I suoi occhi non si erano posati su di lui fino a pochi secondi prima, ma ora sembravano non voler guardare altro. La giovane continuava a fissarlo, disperata, un’espressione implorante. Alla fine parlò.
Se la morsa del gelo poteva avere un tono di voce, sarebbe stato come quello con cui la ragazza pronunciò le sue parole. La sua voce era gracchiante e andava a intermittenza. “Per favore,” disse, disperata. Il suo tedesco rivelava un accento americano. Herman sussultò, cercando di capire. “Per favore, non permettergli di riprendermi. Per favore, non permettergli di riprendermi!”
Ora Herman era vicino a lei. Tese una mano e la tenne sospesa sopra alla spalla della ragazza. Non era sicuro se toccarla o no. Voleva confortarla, farle sapere che sarebbe andato tutto bene. Ma allo stesso tempo non voleva spaventarla. Quindi abbassò la mano e cercò invece di comunicare calore e gentilezza attraverso gli occhi. Sentiva che il naso gli sanguinava ancora, ma lo ignorò.
“Da dove sei saltata fuori, piccola?”
La ragazza tirò il bordo della sua maglietta, come se si fosse improvvisamente resa conto che era mezza nuda in mezzo alla statale. Si guardò attorno, fissando in direzione degli alberi.
“Ce ne sono altri,” disse disperata. “Lui ci tiene rinchiusi, nascosti, nessuno può trovarci. Sono riuscita a scappare