quindi comprendere la complessità del nuovo modo di fare musica, che per la prima volta non si limita ad assimilare stili diversi, come ad esempio è successo per il Blues del Delta, ma si “apre” al mondo per portarvi un prodotto già rielaborato alla luce delle vicende non più solo personali ma storiche e sociali. Inizialmente ostracizzato, guardato come rozza espressione di una sotto-classe e inviso dalla stessa comunità religiosa nera, il Blues esplose poi in tutta l’America negli anni ’20. Non solo grazie a W.C. Handy di cui parleremo a breve e nemmeno sulla scia del successo delle Blues Singers di città, il cui stile non aveva molto in comune con quello che impazzò per l’America qualche anno dopo. Ancora una volta furono le etichette discografiche a determinarne il successo che, ricordiamo, non beneficò MAI i Bluesman ma solo i grandi produttori e gli investitori bianchi.
In Texas la moda del Blues arrivò nel 1923 e si concentrò tutta a Dallas, dove le principali etichette decisero di portare sul mercato ”quella roba da negri” che però piaceva tanto anche ai bianchi. Qui esse stabilirono un vero e proprio Quartier Generale casalingo. Prima la OKEH ma poi anche la VOCALION, la BRUSWICK, la COLUMBIA, l' RCA e infine la PARAMOUNT inviarono a Dallas, ormai urbanizzata e ricca di conforts nonché ben servita dalle ferrovie, i propri tecnici e talent - scout i quali, insediatosi negli alberghi per ricchi, vi montarono il proprio studio di registrazione, allo scopo di incidere ”seduta stante” e senza spese aggiuntive le cosiddette RACE RECORDS, cioè quelle sotto-marche economiche dedicate al nascente mercato Afro-Americano. Parte così il secondo grande periodo del Texas Blues.
Il primo grande artista ad essere registrato in loco fu lo storico BLIND LEMON JEFFERSON, un personaggio controverso che sarà soggetto di uno dei prossimi capitoli.
In realtà il musicista cieco (?) era già abbastanza famoso nell’ East Texas da dove proveniva ma…come artista di inni sacri! Fu solo con le grandi etichette che la sua immagine si convertì in quella di musicista maledetto.
La classica (e forse UNICA) foto ufficiale di Blind Lemon Jefferson. 1927
Fu proprio in chiesa all’angolo tra Elm Street e Central Avenue che egli venne scoperto da un talent-scout della Paramount, e infatti la prima incisione porta lo pseudonimo DEACON
( Diacono) L.J BATES. Come a dire che tra il Blues sacro e quello profano in fondo NON C’E’ una così profonda differenza! L’artista si firmò poi col suo vero nome per tutte le altre 70 registrazioni seguenti con la Paramount, fino al 1929, quando mori improvvisamente e con parecchie ombre.
Jefferson era un mirabile chitarrista e probabilmente il termine Texas Blues nacque con lui. Era in grado di ”martellare” la chitarra per ottenere dei bassi essenzialmente ritmici e ripetitivi subito seguiti da note ”aperte” e dal suono quasi arpeggiante. Il suo stile fece scuola influenzando gli innumerevoli artisti che si susseguirono in quelle sale d’incisione improvvisate, come SAM HILL, BUDDY WOODS, WILLIE RED, nomi che forse non vi diranno molto perché non sono mai balzati ai cosiddetti onori della cronaca, ma che rappresentano una pietra miliare della storia del Blues. Qualche anno dopo ecco l’oscuro LEADBELLY e l’aggressivo T. BONE WALKER, che applicarono le tecniche di Jefferson alla chitarra elettrica e combinarono il Blues con le neonate suggestioni del Jazz e dello Swing. L’utilizzo della chitarra amplificata segna infine l’ ingresso del Blues nell' epoca moderna.
Probabilmente fu EDDIE DURHAM con la sua band a darle quel risalto che in T. BONE WALKER era apparso come intuizione. Avvicinandosi sempre più al Rithm’n Blues. il ruolo della chitarra solista supera nel Jazz persino quello del sassofono, mentre nel Texas Blues sostituisce in larga misura il ruolo fino ad allora primario della voce!
Il DEEP ELLUM, fulcro del Texas Blues durante la Grande Depressione. 1930
Nel frattempo lo scoppio della Grande Depressione degli anni ’30 allontana temporaneamente le etichette dal mondo del Blues: si spengono le luci delle sale d’incisione portate ”a casa” degli artisti e inizia un periodo di semi-oblio mantenuto fortunatamente in vita da uno sparuto gruppetto di musicisti neri che si spostano nelle sale da ballo della zona sud del Texas, come la sala da Ballo ROSE, che a cavallo tra gli anni ’30 e '40 fu davvero una vetrina di eccezione per i talenti del Blues tipo BIG JOE TURNER, WILLIE NELSON o PEE WEE CRAYTON. Successivamente i musicisti si spostarono a Houston, soprattutto quando negli anni ’60 la zona Deep Ellum, il quartiere eccellente delle band, fu spogliata della ferrovia e relegata a ghetto industriale. Veramente a Houston molti musicisti avevano già preso alloggio, proprio per le migliori condizioni di vita e le possibilità di integrazione: vi troviamo SAM ”LIGHTNING” HOPKINS e suo cugino TEXAS ALEXANDER, ma anche ROBERT SHAW e HERSAL THOMAS, il fratello di SIPPIE WALLACE. Incidere a Houston era molto difficile. Le grandi etichette FREEDOM, MACY e PEACOCK arrivarono solo nel 1947 e trovarono una vera e propria antologia vivente del Blues che esprimevano ancora una volta il cocente dolore del nero emarginato arrivato lì da una terra lontana, per trovarvi solo fame e miseria. In questo filone ritroviamo nomi oggi abbastanza conosciuti, come ALBERT COLLINS, JOE HUGHES e JOHNNY WATSON, che comunque sono da molti considerati gli esponenti ”storici” del terzo ed ultimo periodo del Texas Blues, quello ormai agonizzante sposato al rock, al BEAT e al mondo trasformato dalle campagne Hippie che lo hanno defraudato delle ataviche radici. Queste nuove correnti giunsero infine nella città di Austin, ultimo baluardo di un Texas che cambiava...insieme alla sua musica. Dagli anni ’60 ad oggi è storia recente. Chi sta leggendo questo libro è sicuramente un appassionato del Blues e della Old America, ma anche se non lo fosse immagino che almeno uno tra i nomi STEVE RAY VAUGHAN, JIMMY VAUGHAM, JOE ELY e ANGELA STREHLI sia di suono familiare. Con loro la tradizione ”nera” del Blues si colora di ”bianco” e l’interesse verso questo genere inimitabile, in grado di plasmarsi con l’ ambiente circostante e di rinnovarsi al suono del tempo che passa, è cresciuto in tutta l’ America e non solo. E’ stato proprio grazie al Texas Blues che esso ha finalmente goduto del riconoscimento ufficiale della grandezza di un popolo martoriato e mai sconfitto, che è stato in grado di insegnare al mondo che nella musica risiede l’ anima di ognuno, e che grazie alla musica i popoli sopravvivono alla sopraffazione. Dopo la raccolta delle tradizioni blues degli storici LOMAX, padre e figlio, grazie ai quali un intero universo di musica e di tradizioni non è stato perduto, il Texas si è fatto promotore di una campagna mediatica di celebrazione e diffusione del Blues, di cui l’intero Stato è intriso fin dentro le ossa. Centinaia di manifestazioni e organizzazioni ogni anno coinvolgono la rete dei media e quello delle feste popolari per continuare una tradizione che non intende spegnersi. Una campagna di sensibilizzazione che ha contribuito in maniera eccelsa al riconoscimento dei diritti civili e sociali della popolazione Afro-Americana, e che è culminata nel 1987 con un evento storico per l’ intera nazione: una borsa di studio al pianista Blues Afro-Americano ALEX MOORE, che viene consegnata direttamente dal patrimonio nazionale del FOLK ART PROGRAM del NATIONAL ENDOWMENT for the ARTS. Il primo mattoncino di un edificio di Uguaglianza, Amore e Rispetto che ci auguriamo arrivi presto a toccare il cielo.
Charlie Patton
Il Padre del Blues?
Figura emblematica, da sempre considerato ”Il padre del Delta Blues” Charlie Patton è per molti un eroe leggendario approdato al Blues, musica ”malefica e corrotta“, proprio grazie alla sua degradata condotta ai limiti di una follia schizoide e del malessere tipico di chi vive ai margini.
Abbiamo già ampiamente parlato di come l’Afro-Americano ”liberato” in realtà galleggiasse in una sorta di limbo, privato della sua stabilità e delle sue tradizioni. Suonare il Blues era un tentativo di liberazione effettiva che coinvolgeva non solo la Black people ma anche moltissimi immigrati Europei, in genere Inglesi e Irlandesi, sfuggiti alla povertà dei sobborghi natii per finire nei meandri puzzolenti del Mississippi. La vita era dura per tutti: la speranza di sopravvivere molto scarsa. La famiglia Patton non era diversa. Dalla documentazione del censimento del 1900 si fa luce sul mestiere del padre, bracciante agricolo,