nè le gambe delle ragazze, riusciva a fare questa parola magica, colpendoli nel profondo del loro animo.
Carichi di vitalità giovanile e più veloci di quanto avrebbe loro permesso l’artrosi, scattavano in piedi e si radunavano intorno al giovane – o meglio – al cesto di funghi, annusando con narici tremanti il loro profumo aspro che sembrava diffondersi in tutta la piazza.
Veramente! funghi veri! Funghi teneri e belli, nascosti sotto un panno, una cesta intera, piena di funghi!
Il vecchio Sandro ne afferrò uno con le dita affusolate, annusandolo e ispezionandolo con occhio esperto:
“Io direi che questo è un trycholoma equestre, in fondo un fungo senza valore, non velenoso, ma proprio inutile e duro come il cuoio.”
“Non dire così”, ribatteva Dino, “non mi ricordo il nome, ma conosco benissimo il suo sapore, è eccellente, delizioso, ve lo dico io.”
“Stupidaggini”, lo interrompeva il vecchio Bianchi, “lo conosco bene questo fungo, è una russula grigia, sono sicuro al cento per cento. É assolutamente immangiabile, è un vero fungo da vomito, lo garantisco io, un fungo da vomitare di prima qualità, che ti fa rovesciare le budelle, potrai vedere in faccia l’interiore delle tue interiora. L’anno scorso mio genero ne aveva uno nella pietanza, soltanto uno, e vi dico che hanno vomitato alla grande, tutta la famiglia sarebbe quasi morta. E poi si sentivano male ancora per settimane!”
“Eh, bastava che si guardassero a vicenda, per sentirsi male,” ribatteva cinicamente Dino, “E se quello conosce i funghi altrettanto bene come te, presto dovrà crepare per intossicazione, te lo dico io.”
Per sdrammatizzare la situazione incadenscente ed evitare il litigio, l’ex-sindaco esortava in modo deciso: “Fatemi vedere!”
Dopo un esame critico e breve, sentenziava che si trattasse di un hygrophorus eburneus. I dubbiosi mormorii venivano soffocati con il suo sguardo autoritario che – grazie alla sua carica - padroneggiava in modo eccellente e che già allora riusciva a zittire ogni consigliere comunale brontolone.
Una volta, tempi passati, tempi andati.
Ma adesso persino Tommasino, l’ex-bracciante giornaliero, osava dire la sua:” Si chiamerà come vuole, ma io non mangerai mai un fungo verdognolo, mai e poi mai, perchè il verde non promette nulla di buono.”
L’ex-sindaco faceva finta di non aver sentito questa obiezione piuttosto naif, per di più fatta da un rappresentante del basso ceto sociale, col quale non si era mai identificato, neanche quando era un sindaco “rosso”.
Rivolto verso Alberto dichiarava:” Caro Alberto, ti dico che da questo fungo puoi aspettarti un piacere culinario di prima classe. Questo fungo, preparato in modo adeguato, con una salsa alla panna è il piacere “top” della tavola. La buona carne si scioglierà sulla lingua, più delicata e gustosa di un agnello appena nato. Annaffiato con un bicchierino di Malvasia bianca, ti posso garantire che persino gli antichi romani ti guarderanno di lassù con invidia.”
Poi si intrometteva Filippi, un vecchio ed esperto raccoglitore di funghi, brontolando:
”Ma si è mai sentita una cosa simile? Vino bianco con i funghi? L’alcool, unito a certi funghi, può risultare mortale, ma con questo fungo non importa, perchè, secondo me, è il fungo più mortale che esiste in natura, è una amanita phalloide.”
Presi dallo spavento, tutti indietreggiavano di un passo.
Ma l’autorità dismessa rimaneva fermo nel suo giudizio. “Hygrophorus eburneus, Filippi o non Filippi, e inoltre questo fungo senza vino sarebbe come la vita senza amore. E questo dovrebbe essere un’amanita phalloide? Ridicolo!”
Filippi, tutto agitato, gracchiava:” latino o non latino, se mangerai questo fungo cadrai subito dalla sedia, morto.”
Ma la battuta non veniva approvata perchè tutti sapevano che la morte sopraggiunge solo ore dopo, quando non c’è più niente da fare contro il veleno.
“La settimana scorsa, esattamente a causa di questo fungo, a Bologna sono morte dodici persone,” smorzava Filippi il tono del suo avvertimento.
“Bolognesi”, sentenziava il vecchio sindaco, “Eh, i bolognesi, cosa vuoi che capiscano di funghi, passano i boschi al setaccio e mangiano tutto ciò che sembra un fungo. Tipico, dodici in una volta, una cosa che può succedere solo a loro.”
“Succederà anche a te.” diceva Filippi ad un Alberto perplesso.
“Niente panico,” li tranquillizzava l’ex-sindaco, “questo fungo è commestibile, se non lo fosse, mi mangerai una scopa!”
“Mangi piuttosto questi funghi!” ribatteva arrabbiato l’altro, girando la schiena alla compagnia.
Intanto i vecchietti chiacchieroni avevano disorientato Alberto che voleva finalmente una garanzia sulla commestibilità di questo fungo.
“Nessuno ti può garantire niente su questa terra”, diceva sorridendo il vecchio politico, “Si può soltanto accertare, secondo il sapere e la coscienza. Si può sostenere una tesi che – ovviamente – resta da verificare. La micologia è una scienza ampia e noi profani ne sappiamo ben poco. Io so, per esempio, che questo fungo è commestibile e che viene mangiato senza morirne. In Francia, nel paese dove si mangia quasi altrettanto bene come da noi, questo fungo gode di ottima reputazione, subito dopo il tartufo, il che vuol dire molto. Scambiarlo per un’amanita phalloide, a giudizio umano, è poco probabile, ma c’è da considerare il detto dei romani – errare humanum est – e poi bisogna prendere in considerazione il fatto che i funghi possono cambiare il loro aspetto secondo la loro ubicazione, il terreno o condizioni climatiche.”
Sogghignando uno dei più vecchi rispondeva:” Giusto, giusto. É come cambiare il colore della casacca di certi concittadini e compagni. Anche loro, secondo l’ubicazione e la direzione del vento della politica cambiano colore. Anch’io potrei raccontarvi di certi cambi... dal nero al giallo, al verde-veleno fino al rosso più bello e sgargiante, e poi sono diventati persino sindaco.”
“A chi ti riferisci?” chiedeva l’interlocutore, rosso in viso.
“A nessuno in particolare, stiamo solo parlando di funghi velenosi” sogghignava lo sdentato vegliardo.
Uscita di scena della “lesa maestà”.
Le opinioni sulla commestibilità dei funghi di Alberto si differenziavano sempre di più, come di consueto nelle conferenze degli specialisti. Ma poi il gruppo si scioglieva in fretta, ognuno si affrettava per tornare a casa, prendere un cesto e correre nel castagneto il più velocemente possibile, ma... gambe, cuore e polmoni permettendo.
Nonostante avesse raccolto e mangiato ogni anno questo fungo, Alberto si sentiva disorientato dopo il dibattito di piazza. Ed è per questo che chiedeva consiglio a suo vicino Giacomo, un esperto conoscitore di funghi. La prudenza non è mai troppa.
Un tricoloma autentico così sentenziava con occhio esperto, con una risata sprezzante per le chiacchiere degli anziani in piazza.
Ma per essere veramente sicuro, Alberto invitava il suo vicino insieme alla consorte per la mangiata e Giacomo accettò volentieri.
Mentre gli uomini preparavano i funghi, le rispettive donne si scambiavano nuove ricette. Finalmente la pietanza di funghi era sul tavolo ed era squisita.
Soltanto il fratello di Alberto, anche lui invitato, non li mangiava con piacere. Aveva un rapporto piuttosto conflittuale coi funghi, una vaga sensazione da “roulette russa”. Come di consueto, mentre si gustavano i funghi, la conversazione si spostava sulle tragedie che riempiono ogni anno i giornali di terribili intossicazioni causanti brutali estinzioni di stirpe, o portanti alla cecità, o alla demenza, allora il povero Carlo si pentiva amaramente ad ogni boccone di questa perfida diavoleria ormai ingurgitata.
No, non aveva appettito, proprio per niente, soffrirebbe comunque già di una leggera indigestione.
“Il fungo sarebbe proprio quello che ci vuole in questi casi”, diceva sogghignando