Johann Widmer

Le Veglie Di Giovanni


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nella sala d’attesa del medico in paese.

      Era sorpreso di vedere quanti paesani fossero malati e quando ebbe saputo delle varie e gravi malattie gli sembrava di esser fuori luogo coi suoi dolorini.

      Cosa saranno mai due gambe gonfie che sì, facevano un gran male, al confronto con tutte queste terribili sofferenze dei suoi paesani.

      Cosa non sentiva di cisti, tumori, menischi, vene varicose, ulcere allo stomaco, malattie del fegato, ostruzioni intestinali, malattie delle coronarie, infarti, embolie, blocchi renali e degli annessi interventi chirurgici, talvolta letali, che ne restò molto impressionato.

      Accanto a questa illustrissima moltitudine di eroici malati si sentiva come un cane vigliacco, un essere meschino, un simulante.

      Tanto fu sorpreso, quando se ne accorse, che il medico non ignorava affatto i guai alle sue articolazioni doloranti, e che se ne faceva delle riflessioni.

      Con due confezioni di medicine lasciò l’ambulatorio con l’invito del medico a riposare e tornare tra otto giorni.

      Nella sala d’attesa si vedeva un generale scuotimento di teste. Con solo due confezioni Beppino si lasciava accontentare!

      E se poi avessero saputo che sacrificava le sue ferie per mettersi in sesto!

      Dopo una settimana, le ulcere si erano ridotte, i dolori diminuiti. Tutto fiero raccontava dalla sua guarigione nella sala d’attesa.

      Sguardi compassionevoli.

      Poi qualcuno (soffio al cuore e Angina pectoris) gli chiedeva esterrefatto se avesse veramente assunto le medicine.

      Ingenuamente Beppe approvava.

      “Ma è mai possibile questo!” esclamava l’altro, “e poi sei così vicino alla pensione! Non può essere vero!”

      Beppe non capiva niente.

      Poi si intromette un altro (un indefinito e serio problema alla schiena) e inizia a spiegare: “Guarda, mio caro Beppino, a te piace lavorare e sgobbare nella cava. Se non vieni colpito un giorno da un masso di pietra avrai la reale possibilità di soffocare di silicosi che dev’essere terribile, te lo dico io. Se sei fortunato potrai goderti la tua magra pensione di vecchiaia con le articolazioni storte, gambe gonfie e schiena rotta.

      Dev’essere una vera goduria lì nella casa di riposo, in carrozzina. Certo, verremo a trovarti ogni tanto, poverino. Se tu invece volessi ancora aspettarti qualcosa dalla vita, ma fatti prescrivere al più presto una invalidità e spendi la tua pensione onestamente e con gioia e onore e fai da uomo distinto tutto quello che ti piace: allevare caprette, giocare a carte, stare seduto sul muretto in piazza e se ti piace proprio puoi persino ancora sposarti e dedicare il tuo tempo libero ad una femmina carina.

      A loro piacciono gli uomini con una pensione e non importa se sei zoppo o brutto come la notte, se hai un naso che sgocciola, se sei storto come la Torre di Pisa, l’importante è che ci sia la pensione.

      Ma così come sei adesso, mio caro Beppino, non ti vuole nessuna”.

      Beppe aveva capito, ma in qualche modo non gli sembrava giusto, non proprio onesto.

      Allegria generale.

      “La tua stupidità varrebbe da sola una pensione!” notava qualcuno (grave malattia del fegato indefinita) e continuava: “Ma cosa vuoi avere degli scrupoli, non danneggi nessuno. Lo stato deve pagare e imbrogliare è onorevole, dimostra la tua furbizia. Cosa hai pagato finora di tasse e imposte e che cosa hai avuto in cambio? Niente, proprio un bel niente. I senatori in parlamento vivono come vermi nel lardo, gli impiegati di tutte le categorie vivono come Dio in Francia, il reggimento degli inutili servi dello stato diventa sempre più grande, dappertutto il denaro viene sperperato, dappertutto il denaro viene rubato... e noi, cosa facciamo? Noi possiamo solo pagare tutte le bustarelle! Ecco!”

      Beppe doveva dargli ragione, si era già fatto simili pensieri.

      Il suo cervello iniziava a lavorare. Potrebbe stare sempre assieme alle sue capre, costruire finalmente una stalla sicura, piantare una seconda fila di viti, forse lavorare un po’in nero e avere le tasche piene di soldi. Nemmeno più incubi notturni di massi che cadono giù, di mani strappate della sega a catena e di piedi fracassati e sanguinanti.

      Quando toccava a lui entrava nell’ambulatorio zoppicando e gemendo dal dolore. L’ulcera si era ridotta ma i dolori si erano all’improvviso estesi anche sui fianchi. Quando il dottore tastava la colonna vertebrale, urlava.

      Preoccupato il medico prescriveva il ricovero all’ospedale dove gli specialisti potevano visitarlo in modo più accurato. Gli consigliava urgentemente, nel frattempo, di non alzare pesi, di non fare movimenti inutili e di riguardarsi.

      Allora il povero Beppino veniva sottoposto ad un intervento alla schiena, alcuni mesi dopo al menisco sinistro. In ospedale faceva conoscenza con l’appendicite e i suoi sintomi, ma questo per il mese seguente. Persino dopo l’operazione alla prostata, e prima della rimozione di un rene ebbe un intermezzo col cardiochirurgo, ma la sua pensione non arrivava ancora.

      Beppino inorridiva, ma era fermamente convinto di giocare il macabro gioco sino alla fine.

      Si faceva tagliare via quasi tutto, rimpiazzandolo con acciaio, plastica e quant’altro la nostra scienza medica odierna avesse ancora da offrire, e lei può tanto, in questo campo, tanto tanto.

      Al povero diavolo erano rimasto soltanto pochi pezzi vitali, che non fossero stati riparati, cuciti, cauterizzati, trafitti dal Laser o rimpiazzati.

      Ma della pensione nessuna traccia.

      Infine, aveva saputo che la pensione si riceveva su richiesta (e con una bustarella).

      Il suo competente, unto e lisciato funzionario del sindacato lo mandava con un formulario compilato (acqua nelle articolazioni senza possibilità di drenaggio) da due medici di fiducia che a loro volta, senza visitarlo, mettevano la loro sporca firma sul documento e tutto era OK.

      Quello che restava di lui riscosse una pensione di invalidità totale.

      Eh sì, mio caro Beppino, è talmente semplice. Beppino era fiero.

      Avevo fregato lo Stato in piena regola.

      Sì, con una gamba sola, un occhio solo, un rene solo, un braccio solo, sordo come una campana, un pacemaker e diverse uscite artificiali, se lo prendeva una donna giovane e carina che sapeva apprezzare il vero valore di una pensione di invalidità.

      Ci rallegriamo di cuore della felicità del povero Beppino ed aspettiamo con gioia l’aumento del contributo statale per la previdenza sociale.

      Mucca Pazza

      La grande immigrazione dal Nord iniziava negli anni ’70, quando il nostro territorio si era svuotato dei contadini che erano diventati abitanti delle città, mentre tedeschi, svizzeri, olandesi e Dio solo sa da dove venivano tutti quanti, iniziarono a comprare i poderi abbandonati, trasformandoli in raffinate dimore di campagna o ville.

      Ma quanto denaro hanno sprecato!

      Certo, erano soldi loro. E i nostri artigiani ne traevano profitto alla grande.

      Ma oltre ai proprietari dei casolari, spesso persone modeste venute qui per “giocare ai ricchi” e darsi delle arie, arrivarono anche altri, quelli che qui volevano “giocare ai contadini”. La maggior parte di loro erano abitanti di città senza la più pallida idea di agricoltura, ma con la testa piena di idee “bio”. Tutte persone simpatiche, forse un pò strambe, ma non più di tutti noi.

      Anche noi avemmo la fortuna di avere dei vicini siffatti, rendendoci felici della loro presenza.

      Erano veramente due persone carine.

      Lui, un tipo studioso, sempre con il naso in qualche libro nel quale c’era l’esatta descrizione di come si doveva trapiantare l’insalata, seminare il grano, tosare le pecore e potare gli alberi.

      Lei, una ragazza focosa e piena di vita, sapeva ridere di cuore, evitava però