Alek's Books

La colpa è sua


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colpa é sua” è il primo di questi racconti, un dramma che purtroppo si ripete giornalmente dietro tante porte. Molte persone vengono catapultate in mondi che sono spesso la conseguenza di ciò che hanno vissuto nel loro passato. Anche se il racconto è in gran parte fittizio, contiene le impressioni che ho raccolto durante un periodo della mia vita molto intenso, colmo di emozioni talmente forti che spesso erano insopportabili.

      Ho capito che basta aprire gli occhi per vedere i cosiddetti ragazzi “invisibili”, che silenziosamente chiedono aiuto. Tanti li ignorano. Pochi sanno udire queste urla soppresse dall’ignoranza.

      È più facile raccontare storie di uomini per me. Mi ci ritrovo. L’ambiente gay è talmente fantastico quanto squallido. Lo amo e lo odio. E posso dire che ho conosciuto la maggioranza dei caratteri presenti nel mondo maschile omosessuale. Da quello giovane, a quello maturo, da quello dolce, a quello brutale. E non sempre sono stato risparmiato da violenze gratuite, dovute a raptus inaspettati di uomini convinti della loro superiorità auto-attribuita. Oggi sono contento di ogni singolo minuto vissuto, di ogni esperienza fatta, bella o brutta che sia. Purtroppo sono quasi sempre le esperienze brutte a farci crescere e migliorare, ammesso che si riesca a combattere l’allettante richiamo del male. E ho cercato di resistergli ogni volta. Il male genera male, e io voglio poter raccontare e ricordare storie d’amore, storie di amicizie forti, di sentimenti profondi che un giorno cambieranno il mondo.

      I personaggi in “La colpa è sua” scopriranno il potere dei sentimenti e delle emozioni, dell’amore e dell’amicizia, cambiando non solo il loro mondo, ma anche quello dal quale scappano. In tanti di loro vi è una parte mia, altri sono dei puzzle messi insieme da persone incontrate ed amate, persone che hanno vissuto al mio fianco. Altre ancora sono nate dai posti in cui si svolge il racconto, mai esistite nella mia vita, ma presenti in quantità troppo elevate nel nostro mondo.

      Spero che la storia possa far sentire un po’ delle emozioni che ho provato negli anni passati guardando in occhi tristi, pieni di dolore, vedendoli un giorno trasformati in fonti di luce e felicità. Spero riesca a far carpire un po’ di quello che questi ragazzi sono costretti a vivere giorno dopo giorno. Spero che la forza dell’amore e delle emozioni descritte in queste pagine, possa aiutare alcuni a riscoprire il loro potere.

      Alek’s

       La colpa è sua

       2011

      Avete presente l’immagine dell’amore perfetto, inatteso, che ti ruba completamente il pensiero, rincoglionendoti a tal punto, da diventare un automa senza cervello? Volevo crederci. Cazzo, non avete idea di quanto volevo crederci. Pensa: trovi la persona che ti ama alla follia, che ti fa impazzire solo guardandola, facendoti dimenticare il mondo attorno con un semplice bacio. Quella persona rimane con te per tutta la vita, finché morte non vi separi. Fantastico!

      E utopistico.

      Quando ti rendi conto che discoteche, pub e locali vari sono fatti per conoscere sì gente, ma che tali incontri si limitano per la maggior parte delle volte a semplici incontri corporei, ti svegli di colpo dal sogno disegnato dal signor Disney. Devi far parte di un gruppo di feticisti modaioli, succubi di un ideale irrealistico e comunque rincorso da tutti a causa di un obbligo sociale di dubbiosa provenienza. Quindi ti torturi per ore ed ore in palestra, segui il rito degli appuntamenti mensili dall’estetista per la depilazione e il mantenimento cutaneo per dimostrare meno anni di quelli che hai, anche se di anni ne hai solamente venti. Spendi cifre proibitive per abbigliamento prodotto a pochi soldi in Cina e miracolosamente dotato di marchi italiani prestigiosi. Il tutto per essere splendido il venerdì sera, quando vai a muoverti come un deficiente sulla pista da ballo di qualche locale gaio, ricordando un animale in calore.

      Lentamente quel sogno della persona che ti dovrebbe far battere il cuore, senza schiacciarlo sotto i piedi, svanisce tra i fumi tossici della realtà di una società consumistica. Veniamo accecati da pubblicità e programmi televisivi, fatti per derubarci del contatto con ciò che succede dietro le quinte delle nostre vite. Abbiamo tutti paura di guardare nelle case degli altri, consci di trovare probabilmente delle verità che non saremmo in grado di sopportare. Storie che non esistono, se nessuno le racconta. O se nessuno le ascolta. Se non guardo, non vedo.

      A me invece era stato insegnato ad ascoltare e guardare. Anche se qualche volta a caro prezzo.

      Guardare quel corpo immobile, tutt’altro che un bel vedere, era quasi insopportabile. Lasciava solo una vaga idea delle percosse che aveva subito. Cercavo di non emettere alcun suono, mentre le lacrime mi scendevano pesanti sulle guance. Ero convinto che, se anche in coma farmacologico, mi potesse sentire e non volevo essere un ulteriore motivo di preoccupazione.

      Era sempre stato troppo protettivo nei miei confronti. Preferiva soffrire in silenzio piuttosto di permettere che mi si procurasse un danno qualsiasi. Anche se quello in pericolo da sempre era stato lui. Io questo lo sapevo. Avrei voluto strapparlo a quella vita da quando l’avevo incontrato la prima volta. Era ovvio che prima o poi le conseguenze del passato sarebbero state più gravi di quanto immaginate.

      Uno spirito libero come lui, però, non puoi metterlo in catene, onde evitare di ucciderlo. Per tutta la vita si era sforzato di essere ciò che gli altri volevano che fosse, costretto a ruoli sbagliati per un animo sensibile come il suo. Ruoli sbagliati per chiunque. Nonostante tutto, non avevo mai smesso di sperare che cambiassero, lui e la sua vita, anche se le probabilità di un eventuale successo non erano mai state veramente promettenti. Come far ragionare qualcuno, quando si sente impotente nei confronti del proprio destino? Non si può.

      Mi venne da sorridere, ricordando il messaggio che mi aveva lasciato sul frigorifero.

       SONO A PRANZO CON LUI, NON CI CREDO! VEDRAI CHE ANDRÀ TUTTO BENE. POI CI POSSIAMO CONCENTRARE SOLO SUL NOSTRO FUTURO. TI AMO

      Sapevo di cosa era capace quell’uomo. Perché andarci? Forse era rimasto talmente infantile ed innocente, da non aver mai smesso di sperare che quell’animale di uomo cambiasse. Ma dopo ventidue anni? Per favore! Cazzate! Speranze inutili ed irrealistiche, nutrite ulteriormente per colpa mia.

      Ne avevamo parlato di continuo. Ero talmente innamorato di lui che il solo pensiero a qualcuno che gli mettesse le mani addosso mi spaccava il cuore in due. Ogni memoria raccontata da quel ragazzo aveva lasciato dei segni indelebili anche su di me. Riuscivo a percepire il dolore che abitava quel corpo, apparentemente tutt’altro che sensibile o fragile. Captavo la disperazione, anche quando la sua voce cercava di mascherare ciò che succedeva veramente dentro di lui. Era naturale che raccontandosi rivivesse ogni minuto di sofferenza, fisica e psicologica. Ma era bisognoso di raccontarsi, di essere ascoltato, compreso e rassicurato del fatto che non aveva colpe e che non era solo.

      Attraverso lacrime amare, che mi velavano la vista, cercavo di farmi raccontare l’accaduto dalle ferite che ricoprivano il suo viso. Da sveglio non sarebbe neanche riuscito ad aprire l’occhio destro, tanto era gonfio. Ematomi e pelle lesa un po’ ovunque parlavano di un’ira disumana, immotivata e ceca.

      Le sue labbra però erano intatte, come per miracolo. A parte una piccola spaccatura. Amo quelle labbra. Dal primo istante. Carnose e morbide, un netto contrasto con quel viso da duro. Amo baciarle, sfiorarle con le dita e guardarle, mentre dicono qualcosa, mentre sorridono o mi urlano addosso la rabbia repressa da anni, durante un attacco di panico fuori dal suo controllo.

      Quelle labbra… appena le sfioro dimentico tutto, magari mentre lo stringo tra le braccia, come un cucciolo che necessita di protezione da tutto e tutti. Sentire quel corpo duro sciogliersi tra le mie braccia si avvicina molto alla mia personale visione del paradiso. Quando ci baciamo so che è mio. Lo sento in ogni singola fibra del mio corpo e mi ritrovo magicamente nell’Ade a tutti gli effetti.

      Quel corpo, così alto e forte, quasi indistruttibile, giaceva su un letto d’ospedale, reso inerme da un mix di medicinali. Siano lodate le case farmacologiche. Almeno non soffriva. Sarei morto all’idea del mio angelo nel morso del dolore. Se non avesse dormito, sarebbe già scappato dall’ospedale. Nemmeno una gamba rotta l’avrebbe trattenuto.