rimase a guardarlo, con una domanda negli occhi supplichevoli, che le labbra non ardivano di proferire
– Io non so bene, – disse il Direttore, comprendendo quella domanda muta. – È venuta una donna, poco fa da casa, a chiamarla. Coraggio, figliuolo mio! Vada. Lascerò il custode a sua disposizione.
Cesarino uscì dalla sala della direzione con la mente scombujata: non sapeva più quel che dovesse fare, di dove prendere per correre a casa. Dov’era il custode? E il berretto? Dove aveva lasciato il berretto?
Il Direttore glielo porse e ingiunse al custode di rimanere a disposizione del giovane anche per tutta la giornata, se occorreva.
Cesarino corse in via Finanze, ov’era la casa. Pochi passi prima di giungervi, vide il portone socchiuso e sentì mancarsi le gambe.
– Coraggio! – gli ripeté il custode, che sapeva.
Tutta la casa era sossopra, come se la morte vi fosse entrata di violenza.
Precipitandosi dentro, Cesarino cacciò subito lo sguardo nella camera della madre, in fondo, e la intravide, là… sul letto… lunga – fu questa, nello stordimento, la prima impressione, strana, di meraviglia – lunga, oh Dio, come se la morte l’avesse stirata, a forza; rigida, pallida più della cera, e già livida nelle occhiaje, ai lati del naso irriconoscibile!
– Come?… come?… – balbettò, più incuriosito quasi sulle prime, che atterrito da quella vista, stringendosi nelle spalle e protendendo il collo a guardare come fanno i miopi.
Quasi in risposta, venne dall’altra stanza, a infrangere orribilmente quel silenzio di morte, uno strillo infantile, roco.
Cesarino si voltò di scatto, quasi quello strillo gli fosse arrivato come una rasojata alla schiena, e tremando in tutto il corpo guardò la serva che piangeva in silenzio inginocchiata presso il letto.
– Un bimbo?
– Di là… – gli accennò quella.
– Suo? – domandò, più col fiato che con la voce, allibito.
La serva accennò di sì, col capo.
Si voltò di nuovo verso la madre, non poté sostenerne la vista. Sconvolto dall’improvvisa, atroce rivelazione che lo istupidiva e gli strappava, ora, il cordoglio violentemente, si nascose gli occhi con le mani, mentre su dalle viscere sospese gli saliva come un urlo che la gola, strozzata dall’angoscia, non lasciava passare.
Di parto, dunque? Morta di parto? Ma come? Dunque, per questo? E subito gli balenò il sospetto che di la, dond’era venuto quel pianto infantile, ci fosse qualcuno; e si voltò a guatare la serva odiosamente.
– Chi… chi?
Non poté dir altro. Con la mano che gli ballava voleva reggersi le lenti che gli scivolavano dal naso per le lagrime che intanto, inavvertitamente, gli sgorgavano dagli occhi.
– Venga… venga… – gli disse la serva.
– No… dimmi… – insistette.
Ma finalmente s’accorse che nella camera, attorno al letto, c’era altra gente ch’egli non conosceva e che lo guardava con pietoso stupore. Tacque e si lasciò condurre dalla serva nella stanzetta che aveva occupato prima d’entrare in collegio.
C’era di là la levatrice soltanto, che aveva da poco tratto dal bagno il neonato ancora gonfio e paonazzo.
Cesarino lo guardò con ribrezzo, e si volse di nuovo alla serva.
– Nessuno? – disse, quasi tra sé. – Questo bambino?
– Oh signorino mio! – esclamò la serva, giungendo le mani. – Che posso dirle? Non so nulla, io. Dicevo appunto questo alla levatrice qua… Non so proprio nulla! Qua non è mai venuto nessuno: questo glielo posso giurare!
– Non ti disse?
– Mai, nulla! Non mi confidò mai nulla, e io, certo, non potevo domandarle… Piangeva, sa? Oh tanto, di nascosto… Non uscì più di casa, dacché cominciò a parere… lei m’intende…
Cesarino, raccapricciato, alzò le mani per accennare alla serva di tacere. Per quanto, nel vuoto orrendo in cui quella morte improvvisa lo gettava, sentisse prepotente il bisogna di sapere, non volle. L’onta era troppa. E sua madre n’era morta, ed era ancora di là.
Si premette le mani sul volto, accostandosi alla finestra per fare da solo, nel bujo della mente, le sue supposizioni.
Non ricordava d’aver veduto neanche lui, finché era stato in casa, nessun uomo, mai, che potesse dargli sospetto Ma, fuori? Sua madre era vissuta così poco in casa! E che sapeva lui della vita ch’ella aveva condotto fuori? Che cosa fosse sua madre oltre il cerchio ristrettissimo delle relazioni che aveva avuto prima con lui, lì, le sere, a cena? Tutta una vita, a cui egli era rimasto sempre estraneo. Si era messa con qualcuno, certo… Con chi?… Piangeva. Dunque costui l’aveva abbandonata, non volendo o non potendo sposarla. Ed ecco perché ella lo aveva chiuso in collegio: per sottrarsi e sottrarlo a una vergogna inevitabile. Ma dopo? Egli sarebbe pure uscito dal collegio, nel prossimo luglio. E allora? Intendeva ella forse di cancellare ogni traccia della colpa?
Schiuse le mani per guardar di nuovo il bimbo. Ecco: la levatrice lo aveva fasciato e messo a giacere sul lettino, in cui egli dormiva, quand’era in casa. Quella cuffietta, quella camicina, quel bavaglino… Ma no, ecco: ella intendeva tenerselo, il bimbo. Lo aveva preparato lei, certo, quel corredino. E dunque, uscendo dal collegio, egli avrebbe trovato in casa quella nuova creaturina. E che gli avrebbe detto allora la madre? Ecco, ecco perché era morta! Chi sa quale tremenda tortura segreta, in quei mesi! Ah, vile, vile quell’uomo che gliel’aveva inflitta, abbandonandola, dopo averla svergognata! Ed ella s’era rintanata in casa, a celare il suo stato, e forse aveva perduto il posto d’insegnante alla Scuola Professionale… Con quali mezzi aveva vissuto in quei mesi? Certo, coi risparmii accumulati in tanti anni di lavoro. Ma adesso?
Cesarino sentì d’improvviso il vuoto spalancarglisi più nero e più vasto d’attorno. Si vide solo, solo nella vita, senz’ajuto, senz’alcun parente, né prossimo né lontano; solo, con quella creaturina lì che aveva ucciso la mamma venendo al mondo ed era rimasta anche lei, così, nello stesso vuoto, abbandonata alla stessa sorte, senza padre… Come lui.
Come lui? Eh sì, fors’anche lui… – come non ci aveva mai pensato prima? – fors’anche lui era nato così! Che sapeva di suo padre? Chi era stato quel Cesare Brei?… Brei? Ma non era questo il cognome della madre? Sì. Enrica Brei. Così ella si firmava, e tutti la conoscevano come la maestra Brei. Se fosse stata vedova, venuta a Roma, entrata nell’insegnamento, non avrebbe ripreso il suo cognome, magari facendolo seguire da quello del marito? Ma no: Brei era il cognome della madre; ed egli dunque portava soltanto il cognome di lei; e quel fu Cesare, di cui non sapeva nulla, di cui non era rimasta in casa alcuna traccia, forse non era mai esistito: Cesare, forse, sì, ma non Brei… Chi sa qual era veramente il cognome di suo padre! Come non ci aveva mai pensato, finora, a queste cose?
– Senta, povero signorino! – gli disse la serva. – La levatrice qui vorrebbe dirle… Questa creaturina…
– Già, – interruppe la levatrice, – ha bisogno del latte, ora, questa creatura. Chi glielo darà?
– Cesarino la guardò smarrito.
– Ecco, – riprese la levatrice, – io dicevo che… essendo nato così… e perché la mamma, poverina, non c’è più… e lei è un povero ragazzo che non potrebbe badare a questo innocente… dicevo…
– Portarlo via? – domandò Cesarino, accigliandosi.
– Ma perché, guardi, – seguitò quella, – io dovrei denunziarlo allo Stato Civile… Bisogna che sappia quel che lei vuol fare.
– Sì, – disse Cesarino, smarrendosi di nuovo. – Sì… Aspettate… Voglio, voglio prima vedere…
E si guardò attorno, come se cercasse qualcosa. La serva gli venne in ajuto.
– Le chiavi? – gli domandò piano.
– Che