Emilio Salgari

Il figlio del Corsaro Rosso


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con voce angosciata:

      – Mio Dio, che cosa è successo, Pedro?

      – Hanno ferito gravemente…

      – Il conte de Miranda? – gridò la marchesa impallidendo.

      – No, Signora, il conte di Sant’Iago.

      – Il capitano degli alabardieri?

      – Precisamente

      – Con qualche pistolettata?

      – Con un terribile colpo di spada; ha ancora mezza lama conficcata nel petto.

      – Un duello?

      – Cosí pare.

      – Ed il feritore?

      – Scomparso, signora.

      – E dove si sono battuti?

      – Nel vostro giardino.

      – Quell’uomo cercava sempre di uccidere ed ha avuto il suo conto. Chi può aver vinto la migliore lama del reggimento di Granata? Chi? Non è morto, è vero?

      – Solamente svenuto, ma io credo che non se la caverà.

      – Lascia che lo veda.

      Il maggiordomo si trasse da una parte, ed essa entrò nella stanza dove si trovavano alcuni servi affaccendati a bagnare le labbra e le narici del ferito con aceto, per cercare di farlo rinvenire.

      Il capitano giaceva sul letto con le braccia aperte, il volto cadaverico, la fronte ancora corrugata. Un sibilo, piuttosto che un respiro, gli usciva dalla bocca semiaperta.

      Aveva sempre il pezzo di lama piantato in mezzo al petto, presso il cuore, non avendo nessuno osato levarlo, per timore di provocare una violentissima emorragia.

      Il giubbetto di seta a righe azzurre e rosse, con grandi alamari d’argento, era squarciato per una lunghezza di parecchi pollici, ma nessuna goccia di sangue aveva macchiato la camicia.

      La lama serviva da tampone.

      – Disgraziato! – mormorò la marchesa con voce commossa. – Lo spadaccino che lo ha cosí terribilmente ferito non può essere di San Domingo, poiché tutti avevano pura della spada di quest’uomo… È stato avvertito il medico, Pedro?

      – Sí, signora marchesa – rispose il maggiordomo. – Non tarderà a giungere.

      – Se non viene subito, questo povero conte muore.

      – Eccolo: odo della gente entrare.

      La porta si era aperta ed un vecchio, vestito interamente di seta nera, seguito da un giovane che portava una cassetta, erano comparsi. Erano il medico e il suo aiutante.

      – Signor Escobedo – disse la marchesa, andando incontro al vecchio – Vi raccomando quel signore: è il conte di Sant’Iago. Fate il possibile per strapparlo alla morte.

      – Oh! È il terribile spadaccino, marchesa? – chiese il medico. Quando si tratta di colpi di lama, l’affare è sempre serio. Vediamo.

      S’accostò al letto, mentre il suo aiutante apriva la cassetta contenente parecchi ferri chirurgici, e diede un lungo sguardo al ferito, il quale non aveva ancora ripreso i sensi.

      – Ferita grave, è vero, signor Escobedo? – chiese la marchesa.

      – Una stoccata terribile, marchesa – rispose il medico, facendo una smorfia e tentennando il capo. – Il suo avversario doveva avere un pugno ben solido.

      – Sperate di salvarlo?

      – Non posso darvi una risposta sicura, marchesa. Ritiratevi tutti a lasciatemi solo col mio aiutante. È necessario operare subito.

      La marchesa, il maggiordomo e i servi si affrettarono a sgombrare.

      – Una pinza forte, Maurico – disse il dottore quando furono soli, volgendosi verso l’aiutante.

      – Volete estrarre la lama, dottore?

      – Non posso certo lasciargliela nel petto!

      – Non morrà subito?

      – È quello che purtroppo temo. La punta deve aver offeso gravemente il polmone.

      In quel momento il conte emise un profondo sospiro e alzò le braccia, posando le mani sul pezzo di lama che gli usciva dal petto.

      – Sta per tornare in sé – disse il medico, il quale si era curvato sul ferito.

      Il capitano emise un altro sospiro piú lungo del primo e che terminò con una specie di rantolo, poi alzò lentamente le palpebre e fissò il dottore con uno sguardo velato.

      – Voi… – balbettò.

      – Non parlate, signore.

      Un sorriso contorse le labbra del conte.

      – Sono… un uomo… di guerra… – disse con voce spezzata. – Sono finito… è vero?…

      Il dottore scosse il capo senza rispondere.

      – Quanti minuti… ho… di vita? Parlate… lo voglio.

      – Potreste vivere anche un paio d’ore, se non vi levo il pezzo di spada.

      – E levandolo?… ditelo!

      – Pochi minuti forse, signor conte.

      – Mi… basteranno… per vendicarmi… Ascoltatemi…

      – Se parlate troppo vi ucciderete anche piú presto.

      Un altro sorriso comparve sulle smorte labbra del capitano.

      – Ascoltatemi… – disse con suprema energia. – Sulla lama… vi è inciso… un nome… quello del mio avversario… Voglio conoscerlo… prima di morire.

      – Bisognerebbe levarvela dal petto.

      Il conte fece un cenno affermativo.

      – Lo volete proprio? – chiese il dottore.

      – Già… morrò… egualmente.

      – Maurico, le pinze.

      L’aiutante portò due piccolissime tenaglie, un pacco di cotone e delle fasce, per arrestare subito il sangue che sarebbe sgorgato dalla ferita.

      – Presto… – mormorò il conte.

      Il medico afferrò la lama e la trasse, a piccole scosse, dal corpo. Il conte aveva stretto le labbra per non gridare. Dall’alterazione del viso e dal sudore vischioso che gli copriva la fronte, si capiva quanto doveva soffrire.

      Fortunatamente quella dolorosissima operazione non durò che pochi secondi: subito dalla ferita sgorgò un getto di sangue che l’aiutante fermò con delle bende.

      – Il nome… il nome… – balbettò il capitano con voce spenta – presto… muoio…

      Il dottore pulí la lama lorda di sangue con un asciugamano, e vide apparire delle lettere incise sull’acciaio, sormontate da una piccola corona di conte.

      – Enrico di Ventimiglia – lesse.

      Il capitano, nonostante la sua estrema debolezza ed il dolore che lo tormentava, si era quasi alzato a sedere, esclamando con voce rauca:

      – Ventimiglia!… Un nome di corsari: il Rosso… il Verde… il Nero… Un Ventimiglia! Tradimento!

      – Conte, vi uccidete! – gridò il medico.

      – Ascoltate… ascoltate… la fregata… giunta ieri… è corsara… la comanda quello vestito di rosso… correte dal governatore… avvertitelo… fatela abbordare… presto… la città è in pericolo… Muoio… ma vendicheranno la mia morte… Ah!

      Il capitano era ricaduto sui guanciali. Rantolava ed impallidiva a vista d’occhio.

      Il sangue filtrava attraverso le filacce e le bende arrossando la camicia e la giubba. Ad un tratto una spuma sanguigna comparve sulle labbra del disgraziato, poi le palpebre si abbassarono lentamente sugli occhi già spenti. Il capitano degli alabardieri