Emilio Salgari

Il tesoro della montagna azzurra


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un barile, essendo il mare un po’ mosso, e puntò il cannocchiale verso ponente, scrutando attentamente l’orizzonte.

      – Nulla? – chiese dopo qualche tempo don Pedro.

      – Ho scoperto una leggera sfumatura laggiù, che potrebbe essere una nube lontanissima, ma anche una montagna.

      – Ce ne sono di alte nella Nuova Caledonia?

      – Tre o quattro che pare spingano le loro vette oltre i quattro e i cinquemila piedi: però quelle si trovano tutte verso sud. Può darsi che ce ne sia qualcuna anche a nord, essendo quest’isola poco esplorata.

      – Potrebbe essere anche una costa?

      – No, è impossibile, – rispose il capitano. – Sono troppo basse e poi dobbiamo tener conto della curva della terra. Cercheremo di non perdere di vista quella sfumatura e intanto ci dirigeremo, per quanto ci sarà possibile in quella direzione. Andiamo a far colazione, don Pedro.

      – Con carne cruda?

      – Chi oserebbe accendere il fuoco su una zattera? Che cosa accadrebbe di noi se si sviluppasse un incendio? D’altronde vi abituerete più presto di quanto credete.

      – E Mina?

      – Abbiamo ancora un po’ di prosciutto e lo conserveremo per vostra sorella, ma poi? … Dovrà adattarsi, don Pedro, se non vorrà morire di fame.

      Mezzo sword-fish era stato già tagliato in fette sottile dal cuoco di bordo; l’altro era stato messo da parte in un barile. Il capitano radunò l’equipaggio e procedette alla distribuzione avvertendo tutti di economizzare la razione, poiché fino al giorno seguente non avrebbe dato altro. Della provvista non erano rimasti che due unici biscotti, e per consenso comune furono offerti alla señorita, la sola che potesse far eccezione alla legge comune. La colazione fu triste. L’idea di nutrirsi con quel pesce che aveva causata la morte al disgraziato marinaio, aveva frenato perfino l’appetito formidabile di quei robustissimi uomini. La fame feroce però non tardò a vincere gli scrupoli, e le fette di pesce, crude, ancora sanguinanti, scomparvero totalmente nei loro stomaci. Terminata la colazione, il capitano fece cucire dentro un pezzo di vela il morto, e dopo aver recitato una breve preghiera lo fece scivolare dolcemente in mare. La salma era appena sprofondata che un largo cerchio di sangue salì alla superficie. Qualche pescecane, che stava in agguato sotto la zattera, non meno affamato forse dell’equipaggio, aveva a sua volta fatta la sua colazione.

      – Ecco le tombe riservate ai marinai, – disse il capitano, con un sospiro.

      – Ed ecco un cadavere che forse un giorno rimpiangeremo, – soggiunse sottovoce il bosmano, scotendo tristemente il capo. – Speriamo che Dio non lo voglia!

      Fortunatamente nessuno aveva udite quelle terribili parole. I marinai, già molto impressionati e non poco scoraggiati, si erano rimessi in osservazione, dispersi qua e là a gruppetti, interrogando ansiosamente l’orizzonte e spiando i pesci, che di quando in quando si mostravano intorno alla zattera, guardandosi bene però dal lasciarsi prendere. A mezzogiorno don Josè, che non voleva a nessun costo allarmare i suoi uomini, finse di fare il punto, quantunque il sestante e il cronometro fossero inservibili.

      – Bah, non siamo che a centosettanta miglia dalla baia, – disse ai marinai che lo circondavano, ansiosi di conoscere la posizione della zattera. – Un po’ di vento che soffi e andremo a riposarci sotto l’ombra dei cocchi e dei niaulis.

      Mentiva, poiché pochi minuti dopo abbordava don Pedro che usciva dalla tenda sotto la quale si riposava Mina, dicendogli sottovoce.

      – Brutte nuove.

      – Perché? – chiese il giovane, non senza dimostrare una profonda apprensione.

      – La linea che avevo scorto stamane e che poteva essere una montagna non è più visibile.

      – Scomparsa?

      – Purtroppo!

      – Che cosa ne arguite, don Josè?

      – Che la zattera si sia molto spostata.

      – Verso quale direzione?

      – Settentrione, se le nostre bussole sono sempre esatte.

      – Allora abbiamo oltrepassata già la baia.

      – Non posso assicurarvelo, don Pedro. Nondimeno ho qualche dubbio.

      – Che cosa accadrà di noi, se il vento e le correnti ci spingono lontani dalla nostra meta?

      – Chi può dirlo?

      – Io provo, comandante, una profonda angoscia. Pensate che domani anche lo sword-fish sarà finito e voi sapete a quale prezzo l’abbiamo acquistato.

      – Con una vita umana, – rispose il capitano con voce triste. – Chissà! Qualche volta il mare offre delle risorse. Ah, se si potesse scorgere qualche vela!

      – C’è qualche probabilità di un simile incontro? – chiese don Pedro.

      Il capitano dell’Andalusia fece con le mani un gesto vago, poi disse con voce lenta, quasi esitante:

      – Siamo fuori dalla rotta che tengono i velieri che vanno alle isole della Sonda e nei mari della Cina. Incontrarne una sarebbe una fortuna insperata. Già io, francamente, non calcolo su quelli. Voi siete figlio di uomo di mare e ve lo dico. A nessuno dei miei uomini farei una simile confidenza.

      – Prevedete dei tristi giorni, don Josè?

      – Io non sono Dio, – rispose il capitano. – Il nostro destino è nelle sue mani.

      Dopo mezzogiorno una brezza fresca, cosa veramente insolita sotto quei climi ardenti, si era levata soffiando però sempre da sud-est, ciò che doveva spingere la zattera oltre i capi settentrionali della Nuova Caledonia. Invano il bosmano cercava di regolare la corsa del galleggiante: la deriva era sempre accentuata, perfino troppo. Quel venticello fresco, quantunque soffiasse irregolarmente, aveva però rinfrancato un po’ l’equipaggio, facendogli balenare la speranza di un non lontano approdo. Anche la comparsa di alcuni uccelli marini, che non si erano più visti dopo la furiosa burrasca che aveva mandato l’Andalusia sui frangenti, aveva contribuito non poco a calmare le apprensioni dei naufraghi. Non erano né albatros, né fregate, volatili che si possono incontrare anche a mille miglia al largo dalle isole o dai continenti, ma sule, che ordinariamente non si allontanano troppo dalle coste, e rondoni marini che hanno i loro nidi fra le scogliere degli isolotti. Per di più un gran numero di alghe apparivano in mezzo a una certa polvere giallastra, che i marinai inglesi chiamano sano-dustol, ossia segatura di legno, e che è prodotta da un’alga microscopica che si polverizza facilmente sotto l’impeto delle onde e che cresce in prossimità delle spiagge. Il capitano a cui nulla sfuggiva, dopo aver notato quelle novità si era affrettato a entrare nella tenda dove don Pedro teneva compagnia a sua sorella, prospettandole sempre la speranza di un prossimo approdo, affinché la fanciulla non si perdesse d’animo. Dobbiamo però dire che Mina, quantunque non abituata ai disagi delle lunghe navigazioni, si era mantenuta sempre calma e non aveva perso nulla del suo coraggio.

      – Qualche buona notizia? – aveva subito chiesto don Pedro, vedendo entrare il comandante.

      – Da certi segni ritengo che la terra non sia molto lontana, – aveva risposto don Josè.

      – Siamo sempre sulla linea della Nuova Caledonia?

      – A settentrione non vi sono isole oltre quella di Bualabea che chiude la baia omonima. Credo quindi fermamente di avere davanti a noi la grande terra dei Kanaki.

      – E quando arriveremo, capitano? – chiese Mina.

      – Io non posso per ora rispondere alla vostra domanda, señorita, – rispose don Josè. – Tutto dipende dal vento, e questo, disgraziatamente, non soffia sempre forte. E poi c’è qualche corrente che ci fa sempre andare verso settentrione.

      – Pensate che domani i viveri saranno nuovamente terminati? – disse don Pedro.

      – Quando si ha dell’acqua si può resistere alcuni giorni. E poi la terra non è molto lontana e un giorno o l’altro