Emilio Salgari

La crociera della Tuonante


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anch’io di quel puntatore.»

      «Ma, anche Testa di Pietra imbrocca bene i suoi tiri. Bà! monteremo all’abbordaggio e, perdio! il Marchese mi cederà la mia Mary… Al timone, signor Howard. Sorvegliate attentamente gli uomini del cassero.»

      «Ne rispondo io.»

      La corvetta si era messa vigorosamente in caccia, piombando addosso alla retroguardia inglese, formata tutta di navi leggiere ed antiquate. Di là da quella barriera, fiancheggiata da una mezza dozzina di navi d’alto bordo assai sgangherate, navigava la fregata del Marchese.

      L’allarme era stato subito dato, ed i cannoni già facevano udire la loro possente voce, con poco successo bensì, poiché il mare era ancora troppo mosso e impediva ai puntatori di prendere la mira.

      Le navi americane, avvertite con segnalazioni di bandiere dell’audace progetto del Corsaro, si erano messe animosamente dietro alla Tuonante, per essere pronte ad aiutarla nel gran momento, ed avevano impegnato un vivace combattimento contro cinque o sei piccoli avvisi veleggianti sui fianchi della flottiglia. Ma, come abbiamo detto, era polvere sprecata.

      Il pezzo da caccia di Testa di Pietra tonava con intervalli di appena mezzo minuto, celerità massima per quei tempi; eppure il Bretone arrabbiato, se la prendeva con tutti i campanili della terra. Sempre le medesime parole uscivano dalle sue labbra contratte:

      «Una vela forata! Una sartia troncata! Uno striscio di murata! Bell’affare! Ci vuol altro, mio caro testone!… Sei troppo vecchio ormai.»

      «Ah, te ne accorgi?» disse Piccolo Flocco, che lo aiutava nel caricamento del pezzo insieme con sei artiglieri.

      «Che il diavolo ti porti diritto all’inferno, monellaccio!»

      «A suo tempo.»

      In quel momento sir William salì sul castello di prora per animare colla sua presenza gli artiglieri. «E dunque, vecchio mio?» disse rivolgendosi al Bretone. «Non si disalbera?»

      «Mare cattivo, mio comandante.»

      «Non sparare che sulla fregata.»

      «È quello che sto facendo.»

      «Le navi americane s’incaricheranno delle altre. Su, Testa di Pietra, un colpo da fare stupire il puntatore della fregata.»

      «Se sapessi dove si trova, lo truciderei.»

      «Sul cassero.»

      «Lo suppongo anch’io. Piccolo Flocco, siamo pronti?»

      «Sì, mastro,» rispose il giovane gabbiere.

      Il Bretone si chinò sul pezzo tenendo in mano la miccia, rettificò due o tre volte la mira, poi scatenò l’uragano, approfittando del momento in cui la Tuonante si librava sulla cresta d’una mostruosa ondata, in modo da dominare tutta la squadra inglese. La fregata veleggiava a mille e cinquecento passi e s’industriava di non mettersi troppo allo scoperto, sapendo già il Marchese che ben poco aveva da sperare dal bastardo.

      Quasi avessero indovinato il progetto del Corsaro, i marinai si mantenevano ostinatamente in mezzo alla squadra, temendo un abbordaggio. Delle palle di quando in quando cadevano sulla nave maledetta, ma non erano colpi decisivi. Invano Testa di Pietra aveva fatto tonare a volta a volta i due grossi pezzi da caccia del castello di prora. Sempre vele forate, qualche manovra recisa, qualche palla di rimbalzo che strepitava sulla tolda avversaria, impressionando l’equipaggio, il quale si vedeva fatto segno a quella grandine di colpi.

      Il signor Howard, abilissimo marinaio, con una lunga bordata sfondò la retroguardia della squadra inglese, facendo tonare tutti i pezzi delle batterie.

      Nessuna nave ebbe il coraggio di opporsi a quell’audace attacco, anche perché gli Americani giungevano bene stretti in aiuto della Tuonante, cannoneggiando senza economia di polveri e di proiettili.

      Intanto il Corsaro si era avvicinato a Testa di Pietra:

      «Su, vecchio mio, fracassa un’ala a quel maledetto gabbiano, e poi monteremo all’abbordaggio.»

      Il Bretone si terse col dorso della mano destra, villosa come quella d’una scimmia, il sudore che gli inondava la fronte, poi fece un gesto di disperazione.

      «Io sono invecchiato troppo presto, mio comandante!» rispose. «Passatemi alla riserva.»

      «Le tue palle cadono sulla fregata. Che cosa vuoi di più, con questo mare così mosso?»

      «Vorrei rasare quella nave come un pontone.»

      «Quando la distanza sarà diminuita, e tu avrai l’aiuto anche delle batterie, vedremo come se la caverà mio fratello. Non tirare nel quadro. Potresti uccidere la fanciulla per la quale ora io giuoco la vita.»

      Un lampo balenò in quel momento sul cassero della fregata, e una palla di buon calibro passò, fischiando sinistramente, fra la maestra e la mezzana, forando le due vele basse.

      Testa di Pietra era diventato pallido come un morto.

      «Ah!» esclamò. «Ecco il terribile puntatore che entra in scena. Per tutti i campanili dell’universo! credo che la finirà male, anche questa volta, per noi.»

      «Che borbotti, vecchio?» gli chiese il Corsaro. «Lascia in pace i campanili e cerca di fracassare qualche cosa.»

      Testa di Pietra diede fuoco al suo pezzo e mandò un grido di soddisfazione. Il pennone di gabbia di maestra della fregata era stato spaccato di netto e i rottami, precipitando sulla tolda, avevano ucciso o storpiato non pochi fucilieri che si tenevano dietro alle murate.

      «Corpo d’un campanile!» esclamò il Bretone. «Mi avvicino all’alberatura… Ah, potessi imbroccare quel puntatore!… È diventato il mio incubo.»

      La fregata, che era in piena corsa, mancandole improvvisamente l’aiuto di quella vela, fece un grande scarto, di cui il signor Howard approfittò per lanciare la corvetta all’attacco. Le navi americane l’appoggiarono vigorosamente, disorganizzando la retroguardia inglese che presero d’infilata.

      La voce squillante di sir William echeggiò come sempre:

      «Pronti per l’abbordaggio!»

      Cinquanta uomini, armati d’asce e di sciaboloni d’arrembaggio e di pistoloni a doppia canna, montarono sulla coperta, preparando rapidamente i grappini. Ormai la fregata del Marchese non poteva più sfuggire ad un furioso attacco. Ma confidando forse nella sua velocità e nel suo famoso puntatore, si era allargata, abbandonando la squadra di lord Dunmore al suo destino.

      Il Bretone sparava senza posa, passando da un cannone all’altro, alternando palle incatenate e mitraglia.

      Alle 11 la Tuonante non si trovava che a trecento passi dalla nave avversaria. Il momento terribile si avvicinava. Difatti il signor Howard con una bordata netta tagliò fuori l’avversaria, e si precipitò all’attacco.

      Le navi inglesi, cannoneggiate dalle americane, avevano continuata la loro corsa, non osando impegnarsi a fondo con quei corsari che godevano fama di essere più che valorosi.

      «Sotto, signor Howard!» gridò il Baronetto.

      La corvetta attraversò due onde, rullando spaventosamente. Il suo bompresso andò a cacciarsi fra le griselle di babordo del trinchetto, sfondandole e strappando sartie e paterazzi, mentre un alto grido echeggiava a bordo:

      «Sotto! All’abbordaggio!»

      Tutti gli uomini delle batterie salirono in coperta.

      «A morte gl’Inglesi!» strepitavano.

      I grappini d’arrembaggio furono lanciati; ma le ondate erano così forti, da far dubitare che i cavi potessero resistere.

      «Su, Piccolo Flocco!» gridò il Bretone, dopo aver lanciato sul ponte della fregata un uragano di mitraglia. «All’arma bianca, corpo d’un campanile!»

      E lesto ancora come uno scoiattolo, malgrado le molte primavere che gli pesavano sul groppone, saltò le due murate, seguito dal giovane gabbiere e dall’Assiano, il quale, come abbiamo detto, aveva un fratello a bordo della fregata.

      Proprio in quel