Emilio Salgari

La favorita del Mahdi


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e si pose in capo il fez. Hassarn lo fermò nel momento che stava per seguire il bandito.

       Abd-el-Kerim, gli disse sottovoce. Sta in guardia.

       Che temi? Ho la mia scimitarra e questo sceicco mi pare che non sia un uomo capace di arrischiare la sua vita contro di me.

       Può darsi; ad ogni modo ti terrò d’occhio fino alla casupola.

      Debbeud e l’arabo uscirono. Faceva sempre oscuro assai e il vento soffiava con maggior violenza facendo ondeggiare le tende degli accampati e atterrandone più d’una; in cielo correvano densi nuvoloni che s’accavallavano confusamente e il tuono rullava in lontananza.

      Fit Debbeud precedette l’arabo fino agli avamposti, poi gli si collocò a fianco colla dritta sull’impugnatura dell’jatagan.

       Soffia il simum, dissegli poco dopo.

       Lo sento, rispose Abd-el-Kerim distrattamente.

       Credo che faremo bene a tenerci sotto le colline per non inghiottire una porzione di sabbia e per non diventare ciechi.

       Come vuoi.

      Un lampo rischiarò la pianura e sotto la macchia dove si tenevano imboscati i beduini, brillarono delle armi. Abd-el-Kerim si fermò.

       Chi si tiene sotto quel macchione? diss’egli.

       Alcuni basci-bozuk, rispose Fit Debbeud. Gli ho veduti poco fa quando passava accanto a quel gruppo di acacie.

       Sei sicuro di non esserti ingannato? Si dice che alla notte alcuni ribelli vengono a ronzare attorno al campo.

       Ho parlato con loro e m’inviarono la buona notte. Non hai nulla a temere, tenente. Allunghiamo il passo.

      Erano giunti a pochi passi dalla macchia. Fit Debbeud si mise a zuffolare un’aria dongolese; d’un tratto passò dietro all’arabo e l’afferrò per le braccia tentando con una brusca scossa di rovesciarlo.

      Abd-el-Kerim, che per l’avvertimento d’Hassarn tenevasi in guardia, fu pronto, con una vigorosa strappata, a liberarsi e a fare un salto indietro.

       Ah! traditore! esclamò egli, sguainando la scimitarra.

      Lo sceicco lo caricò furiosamente coll’jatagan, spiccando salti da leone, girandogli vertiginosamente attorno per colpirlo alle spalle. Vibrò tre o quattro colpi che furono ribattuti, ricevendo anzi una scalfittura in una spalla.

       A me, beduini! gridò egli, digrignando i denti come una iena.

      La banda saltò fuori, correndo addosso all’arabo e circondandolo.

       Aiuto, Hassarn, urlò Abd-el-Kerim, cercando respingere gli assalitori.

      Tre o quattro fucilate scoppiarono verso il campo e s’udirono le sentinelle gridare l’allarme. Una seconda scarica mandò a gambe levate due beduini.

      Non vi era da perdere un solo istante; un forte drappello di Egiziani si avanzava a passo di corsa colle baionette in canna e alcuni basci-bozuk bardavano in furia i cavalli. Fit Debbeud si scagliò fra le gambe dell’arabo che gli cadde sopra lasciandosi sfuggire di mano la scimitarra.

       Afferratelo! afferratelo! esclamò il bandito trattenendolo per la cintola.

      Abd-el-Kerim tentò con uno sforzo disperato di risollevarsi, ma uno dei beduini lo fece ricadere assestandogli sul capo un terribile colpo col calcio dell’archibuso. In un batter d’occhio fu legato solidamente e trascinato via, nel mentre che una terza scarica di fucili partiva dal campo gettando a terra un altro bandito.

      I beduini, preceduti da Fit Debbeud attraversarono come un uragano la pianura, si gettarono in mezzo alle colline e in men che lo si narri giunsero ai loro mahari. Fit Debbeud salì in sella coll’arabo, che stordito dalla percossa non opponeva la più debole resistenza e diede subito il segnale della partenza.

      I venti mahari eccitati dalla voce e dalle sferzate partirono celeramente dirigendosi verso le foreste del Bahr-el-Abiad, lontane una diecina di miglia. Alcuni basci-bozuk si diedero a inseguirli mandando alte grida e agitando freneticamente le loro lancie, ma alcune archibusate li misero in fuga.

       Bravi, ragazzi! esclamò Fit Debbeud. Sferzate! Sferzate!

      Le tenebre ed il vento che continuava a sollevare cortine di sabbia, favorirono la ritirata che si effettuava colla rapidità prodigiosa. Le sferzate e gli ich! ich! pronunciati in furia mettevano le ali ai mahari che divoravano la via.

      Fit Debbeud, nel mentre che galoppavano in gruppo serrato, si chinò su Abd-el-Kerim che teneva stretto fra le braccia e lo toccò in volto colla punta del suo jatagan, facendogli uscire una goccia di sangue. L’arabo aprì gli occhi e lo guardò fissamente.

       Bravo arabo, disse lo sceicco sorridendo. Si vede che tu sei di buona razza, formato tutto di ferro di buona tempra. Mi conosci tu?

       Aspetto che tu mi dica chi sei, rispose Abd-el-Kerim freddamente.

       Mi chiamo Fit Debbeud, ma nel Dongola mi si conosce meglio per la Jena del Sudan. È probabile che tu oda questi nomi per la prima volta.

       Mi vanto di non aver mai udito questi nomi che puzzano da bandito a una giornata di cammino.

       Come sai tu che io sono un bandito? Sono lo sceicco di questi beduini.

       Per venire al campo, assalirmi a tradimento e portarmi via non bisogna essere che briganti o figli di quel cane di Mahdi. Queste piastre vuoi pel mio riscatto?

       Si vede che hai dello spirito, cane di un arabo. Voglio vedere se ne avrai altrettanto quando porrò sulla tua bruna pelle certe bestioline.

       Quale scopo hai per rapirmi? chiese sprezzantemente Abd-el-Kerim.

       Fra poco lo saprai, rispose lo sceicco.

      Chiuse la bocca al prigioniero con un pugno che gli fe’ sanguinare i denti, poi rizzandosi sulla gobba del mahari gridò:

       Dritti alle ruine d’El-Garch, ragazzi miei.

      La banda era allora giunta sul limitare delle grandi foreste del Bahr-el-Abiad, i cui alberi si curvavano con mille scricchiolii e con mille gemiti sotto i soffi del simun.

      Fit Debbeud spinse il suo mahari sul sentieruzzo stretto e tortuoso e s’arrestò dinanzi a El Garch, le cui ruine si alzavano come fantasmi fra la profonda oscurità.

       Alto là! comandò egli, volgendosi verso la sua banda.

      Fece inginocchiare il mahari con un semplice: khh! khh! sospirato, si gettò sulle spalle Abd-el-Kerim e dopo averlo avvolto strettamente nel suo taub lo consegnò ai suoi satelliti.

       Lo condurrete nel sotterraneo, gli disse. Se oppone resistenza torcetegli i polsi fino a snodarli.

      Entrò nella sua tenda dove il greco sonnecchiava fra un monte di tappeti. Con un fischio lo fece saltare in piedi.

       Eccomi tornato, mio padrone.

       Ah! esclamò Notis, sei qui finalmente? Come andarono le cose?

       Il colpo è riuscito pienamente, rispose Fit Debbeud. Ho perduto tre uomini ma tu me li pagherai con sei cammelle.

       È in tua mano adunque? Mille tuoni!…

       Sì e senza essere stato avariato dagl’jatagan.

       Ah! cane d’un rivale! gridò il greco con gioia feroce. Se non vi fosse Elenka di mezzo, vorrei farti, sotto questa tenda e in mia presenza, uscire tutto il sangue che hai in corpo.

       Se vuoi che glielo faccia uscir io mi divertirò immensamente.

       No, non lo posso per mia disgrazia. Morrebbe, e a me interessa che non muoia.

       Si potrà fargliene uscire mezzo, incalzò lo sceicco.