coll’elsa di ferro in forma di croce, alcuni pistoloni a pietra, un sacchetto di marocchino rosso pieno di preziosi amuleti e una corona di chicchi di vetro giallo de’ Mussulmani. Sul capo portava una calotta rossa, una specie di fez turco.
Appena vide Notis, s’alzò, senza troppo scomporsi, e secondo l’usanza gli baciò la mano dicendogli colla più squisita cortesia:
– Salem alek (la pace sia teco) frase sacramentale la cui abitudine risale a più secoli.
– Allàh ybarèk fik: (Dio ti benedica) rispose Notis non meno cortesemente.
Sceicco e greco si guardarono per alcuni istanti in silenzio, con reciproca curiosità, poi il primo fece cenno al secondo di accomodarsi su di un tappeto, il migliore che si trovasse nella tenda.
Quasi subito entrò uno schiavo portando un vecchio vassoio di lamiera di ferro, su cui stavano numerose tazze coll’orlo rotto, fesse, abbominevoli, vecchie chi sa da quanti anni e comperate chi sa mai in quale bazar di Cairo, di Costantinopoli o forse anche di Bagdad. Ve n’erano di tutte le grandezze e di tutte le forme; di porcellana europea, di finta porcellana chinese, di ferro o di argilla, un campionario infine di quanto di triviale e orrendo, si fabbricano in tutto il mondo. Un bricco indescrivibile, di piombo, tutto sformato e coperto d’ammaccature, conteneva il caffè mescolato con un’abbondante porzione d’ambra grigia.
La bevanda confortante e veramente eccellente fu sorseggiata nel più profondo silenzio, dopo di che lo sceicco, acceso automaticamente il suo annerito scibouk e aspirate alcune boccate di fumo odoroso, si volse verso Notis dicendogli sempre colla più squisita cortesia:
— E ora, mio caro amico, sono a tua disposizione.
— Sai di che si tratta? chiese Notis.
— Takir tutto mi disse.
— Sei tanto coraggioso da imprendere questa guerra contro Abd-el-Kerim.
— Odimi, amico, disse lo sceicco con orgoglio. Un giorno dodici Egiziani mi assalirono e io li ammazzai dal primo all’ultimo portando le loro teste al mio marabuto che le mostrò all’intera tribù; un altro giorno sorpresi una famiglia di Arabi miei nemici, addormentata nel deserto. Strappai a loro gli occhi, tagliai le orecchie, il naso, le gambe e le braccia e frastagliai minutamente, col mio jatagan, i corpi dei loro bambini. Sono coraggioso e feroce!
— Troppo feroce per ammazzare degli inoffensivi ragazzi.
— È il costume delle nostre tribù sì del Sahara che del Mar Rosso.
— Ti senti, adunque, capace di affrontare il mio rivale.
— Se tu vuoi che io cacci il mio jatagan fra le spalle di quell’arabo e tronchi d’un sol colpo la vita, io la troncherò. Vuoi che io lo passi da parte a parte colla mia hàrba? Io lo trapasserò e poi gli caverò gli occhi, gli taglierò il naso, le gambe e le braccia. Vuoi che io rapisca la tua bella che si mostra verso di te tanto ritrosa? Io la rapirò per quanti urli e per quanto mi maledica. Allàh, da qualche tempo non mi manda carovane da depredare ed io e la mia banda siamo a secco di talleri: paga come un sceicco che nuota nell’argento e io e i miei uomini siamo ai tuoi comandi.
Notis estrasse dalla saccoccia una grassa borsa di talleri di Maria Teresa, e la gettò allo sceicco che la prese al volo.
— Questo per cominciare, disse.
— Ne hai molte con te di queste borse? chiese il beduino, i cui occhi s’accesero di cupidigia.
— No, disse il greco.
— Dove troverai gli altri talleri?
— Al campo egiziano.
— Sta bene, me li darai quando me li meriterò. Parla ora.
— Bisogna che noi ci impadroniamo del mio rivale.
— Dove trovasi quel cane d’arabo?
— In mezzo all’accampamento d’Hossanieh.
— Hum! fe’ lo sceicco, crollando il capo. Sarà affar serio andarlo a prendere laggiù, ma Fit Debbeud ha nel suo sacco mille astuzie. Bisognerà con qualche pretesto farlo uscire dal campo e poi saltargli addosso.
— Lo so, ma non sarà tanto facile.
Il beduino s’accarezzò la barba con compiacenza.
— Bah! esclamò egli sorridendo. Dove trovasi, innanzi a tutto, la sua amante? Assieme a lui o separata?
— Lui trovasi al campo e lei in un tugul d’Hossanieh.
— All’ora l’arabo è nostro. Dal campo al villaggio vi corrono più di mille passi e sono bastanti per portar via il tuo rivale prima che gli Egiziani possano accorrere in suo aiuto e inseguirci.
— Ma come lo farai uscire dal campo? Senza un forte motivo non oltrepasserà di notte la linea degli avamposti. Tu sai che hanno paura dei ribelli che si crede che ronzino per la pianura.
— Sta a sentire, padron mio, disse lo sceicco riaccendendo il suo seibouk. Questa sera mando uno dei miei uomini alla tenda del tuo rivale, anzi ci andrò io in persona, e lo avviso che la sua amante lo desidera. L’innamorato, che m’immagino sarà cotto, mi crederà e uscirà senz’altro dal campo. Tu comprendi il resto; i miei beduini saranno imboscati dietro a qualche macchia, gli piomberanno addosso, lo atterreranno e lo porteranno via. Quando gli Egiziani accorreranno, noi saremo assai lontani.
Notis stese la mano al bandito che gliela strinse vigorosamente.
— Se tu riesci nell’impresa, disse, ti darò tanti talleri da comperare cento fucili e una mandria numerosissima di cammelle.
— Lascia fare a me.
— Takir, gridò il greco.
Il nubiano, che fumava sul limitare della tenda fu pronto ad accorrere alla chiamata del padrone.
— È ora che tu ti metti in viaggio per Chartum, disse Notis. Dirai a mia sorella Elenka come stanno qui le cose e la incaricherai d’ottenere dal governatore il mio congedo assoluto, poichè bisogna che io sia libero per lottare col mio rivale e vincerlo. Le dirai altresì che si faccia firmare, dallo stesso, una lettera che obblighi Dhafar pascià a condurre Abd-el-Kerim nel basso Sudan, dovesse trascinarvelo colla forza.
— Perchè? Non vi capisco.
— L’ignoro io pure, il perchè, ma potrebbe darsi che questa lettera mi tornasse utilissima. Va, Takir, e ritorna presto con Elenka. Mia sorella è abbastanza ricca e potente per ottenere dal governatore quello che vuole.
Il nubiano girò sui talloni e s›allontanò. Poco dopo si udì il sonaglio del suo mahari che indicava che erasi già messo in viaggio.
— E ora che facciamo? chiese Notis allo sceicco.
— Il sole è ancora alto per dirigerci al campo e io ho una fame da lupo. Pranzeremo allegramente.
Fece distendere dinanzi un tappeto nuovissimo e gettò un leggiero fischio. Un beduino entrò portando sulle spalle, appeso ad una pertica, un agnello intero arrostito e lo depose su di una specie di sporta piatta di foglie di palma.
— Bismillah! (in nome di Dio) disse Fit Debbeud, frase abituale che pronunziano sia per cominciare a mangiare, sia per scannare o torturare il loro nemico.
Lo sceicco divise l’agnello colle dita, essendo sconosciuta la forchetta presso i beduini, tagliò la pelle brunastra, lucida e croccante, in lunghe striscie e servì Notis, che le assalì vigorosamente inaffiandole con latte di cammella fermentato nella pelle di una capra, che sapeva orribilmente di muschio. Lo sceicco, ogni qualvolta che il greco accostava la tazza alle labbra non mancava mai di dire: saa (alla salute) alla quale frase rispondeva Notis: Allàh y selmek (Dio ti salvi).
Dopo la prima portata, un altro beduino recò un gran vaso di terra, una specie di garahs, vecchio di cent’anni, nel quale trovavasi un pasticcio di riso nuotante