Emilio Salgari

La favorita del Mahdi


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seguì cogli occhi, poi quando sparve in mezzo agli alberi si volse contro Notis, che digrignava i denti sotto la pistola d’Hassarn.

       E ora, diss’egli con calma forzata, sono con te Notis. L’uno o l’altro vi lascierà la vita. Tu più che mio nemico sei mio rivale e ciò basta.

      Hai dimenticata Elenka adunque?

       L’ho dimenticata.

       E per Fathma, per una spregevole almea!

       Sì, per un’almea.

       A noi due, adunque. Bada, Abd-el-Kerim, che non ti risparmierò!

      Hassarn a un cenno dell’arabo abbassò la pistola ed andò ad appostarsi a sei passi di distanza: i due rivali impugnarono la scimitarra.

      CAPITOLO VI. Il duello

      La notte era oscura, essendo la luna e le stelle nascoste da una nera fascia di densi nuvoloni, tuttavia vi si vedeva abbastanza per cacciarsi dieci pollici di lama attraverso il corpo. Notis, cui un’ira feroce animava in unione alla gelosia e ad una smania terribile di vendicarsi dell’affronto subito dinanzi agli occhi di Fathma, fu il primo a mettersi in guardia, dopo di aver provato l’elasticità della sua scimitarra. Abd-el-Kerim, quantunque gli ripugnasse il battersi col fratello di colei che aveva tanto amato prima di aver veduto l’almea, non tardò a mettersi di fronte a lui, colla calma propria degli orientali.

       Abd-el-Kerim, disse Notis, sforzandosi di parer tranquillo. Raccomanda la tua anima ad Allàh, poichè non uscirai vivo da questa foresta e manda un ultimo addio alla tua nuova amante, che non rivedrai mai più.

       Non annoiarmi inutilmente, disse l’arabo freddo freddo. Se ti ricordi qualche preghiera, spicciati a dirla, poichè io non ti risparmierò.

       Ho raccomandato l’anima al diavolo mio patrono e ciò basta. Orsù, guardati, che il fratello della tua Elenka incomincia.

      L’arabo lo guardò cupamente.

       In guardia, Notis, diss’egli. Una donna non sta più fra noi!

      Quasi nel medesimo istante le due scimitarre s’incrociarono con uno stridore rapido e duro. I due avversari, tasteggiatisi un po’, dopo di avere tentato di far passare reciprocamente i loro ferri per arrivare alle carni, si ritrassero di qualche passo, riponendosi in guardia.

      Hassarn incrociò le braccia sul petto e il duello cominciò furiosamente.

      Notis, più impetuoso e meno padrone di sè, fu il primo ad attaccare, moltiplicando gli assalti, portandosi ora a dritta e ora a sinistra, turbinando come un lupo attorno alla preda, e avventando tremendi colpi sul capo dell’arabo che li parava senza muoversi di una linea. Per cinque minuti continuò ad assalire, tentando, ma invano, di far saltare di mano la scimitarra ad Abd-el-Kerim, poi, visto che non c’era mezzo di riuscirvi nè di far abbassare quell’arma che copriva l’avversario come uno scudo, tornò a sostare.

       Ah! esclamò egli sogghignando. Tu sei una rupe adunque, incrollabile anche fra i più impetuosi attacchi.

       Può darsi, rispose l’arabo che si teneva in guardia.

       Aspetta un po’ che provi una botta che mi fu insegnata ad Atene. Se il fratello d’Elenka non ti spacca il cuore, proverò un colpo maestro che mi fu insegnato dal tuo compatriota Dhafar.

       Non nominarmi Elenka, disse Abd-el-Kerim con ira.

       Ah! fè’ Notis, ridendo diabolicamente. T’inquieta tanto questo nome?

       A che nominarmela? Credi tu di turbarmi l’anima e d’approfittarne per cacciarmi il tuo ferro in mezzo al petto? Se è così, sei più vile e più miserabile di quello che ti credeva. Ti disprezzo.

      Il greco impallidì e il suo volto si sconvolse ferocemente.

       Ira di Dio! esclamò egli, facendo un passo indietro e alzando la scimitarra. Vuoi proprio che ti strappi il cuore colle mani? Sta attento, Abd-el-Kerim!

      S’abbassò bruscamente rimpicciolendosi, quasi aggomitolandosi su sè stesso e allungò il braccio presentando la scimitarra che lo minacciava una superficie stretta e corta riparata ancora dalla distanza. L’arabo, dinanzi a quella manovra per lui nuova, s’arrestò esitando.

      Di repente il greco si raddrizzò assaltando furiosamente e spingendo violentemente la scimitarra di punta. Abd-el-Kerim cercò di parare la botta, ma non fu in tempo e riportò una scalfittura al braccio sinistro; la bianca manica che lo copriva si tinse di rosso. Notis emise un grande scroscio di risa.

       E una diss’egli. Fra dieci minuti l’amante di Fathma sarà senza braccia. Sta attento mio caro arabo, che ricomincio.

      Abd-el-Kerim non diede segno alcuno di dolore nè di spavento. Egli s’avventò addosso al greco colla rapidità d’un lampo, incalzandolo vigorosamente, stringendolo tanto che l’avversario fu forzato a rompere e a fare un passo indietro.

      Tre volte Notis cercò di abbassarsi per ricominciare il giuoco, ma l’arabo gli era sempre addosso, impedendoglielo. Al quarto tentativo fu ferito alla faccia.

       Ah! esclamò il greco tergendosi colla mano sinistra il sangue che colavagli abbondantemente. La è così? Aspetta un po’ canaglia.

      Spiccò un salto di dieci piedi o si riaggomitolò cercando di strisciare fra le gambe di Abd-el-Kerim che gli correva addosso, ma il colpo di punta fu deviato dalla scimitarra che l’avversario stringeva con polso di ferro. Tornò a indietreggiare dinanzi a quei crescenti attacchi, dirigendosi verso lo stagno.

       Indietro! indietro! gridava l’arabo, che s’infiammava. Giù nello stagno.

      In capo a cinque minuti Notis erasi ridotto proprio sulla riva dell’acqua; non gli restavano che due risorse. O lasciarsi ammazzare o gettarsi a testa bassa contro l’arabo.

       Arrenditi, gli disse Abd-el-Kerim.

      La faccia del greco s’alterò e il sorriso beffardo che incoronava le sue labbra disparve. Tentò con un colpo disperato di disarmare l’avversario avventandogli una gran botta a mezza scimitarra. Ebbe per risposta una nuova puntata che gli lacerò la manica sfiorandogli la pelle.

      Non vi era più nulla da tentare. La sua mano era stanca, si difendeva più lentamente e per quanto studio vi mettesse per non lasciarsi sopraffare e disarmare, sentiva la scimitarra che talvolta minacciava sfuggirgli di mano. Emise un ruggito furioso.

       Ira di Dio! tuonò egli. Che non riesca ad attraversare il cuore di questo vigliacco?

      Cercò di portarsi a dritta e poi a manca, ma si trovava dinanzi sempre alla scimitarra dell’arabo che miravalo al petto. Fece un ultimo passo indietro e sentì i capelli rizzarglisi sul capo nel trovarsi proprio sul margine dello stagno. Una nube di fuoco gli passò dinanzi agli occhi. Si vide perduto, ma non chiese grazia.

      Si difese per altri cinque minuti, poi gettò un urlo terribile e portò le mani sul petto, abbandonando la scimitarra. Abd-el-Kerim avevalo colpito sul fianco sinistro, nella direzione del cuore.

      Stralunò gli occhi, spiccò un salto gigantesco e piombò in mezzo alle larghe foglie di loto che galleggiavano sulle acque dello stagno. Fu visto dibattersi per alcuni istanti, poi scomparire.

      Abd-el-Kerim si chinò sulla riva, ma l’oscurità era così profonda, accresciuta anche dagli alberi che stendevano i loro rami al disopra delle acque, che non vide più nulla. Hassarn fu lesto ad avvicinarglisi.

       Si vede? chiese questi.

       No, rispose con voce sorda l’arabo.

       L’hai ucciso sul colpo?

       L’ignoro. Mi parve che la scimitarra incontrasse qualche costola.

       Che il diavolo lo accolga nel suo inferno.

       Taci, Hassarn, disse Abd-el-Kerim con emozione. Mi pare di aver commesso un assassinio.