Emilio Salgari

La favorita del Mahdi


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cantava sempre, con maggior dolcezza, con tono più malinconico, e ogni volta che pronunciava il nome dell›almea, il greco sentivasi il sangue accendere e il cuore battere più precipitosamente. Tutti i colori dell’arcobaleno passavano uno per uno sulla sua faccia tetra.

      Cominciava all’oriente a biancheggiare, quando Abd-el-Kerim si tacque. Notis lo vide aggirarsi per qualche tratto attorno alla casupola, colla testa sempre alzata verso le finestre che si tenevano ostinatamente chiuse, poi raccogliere la carabina e prendere la via del campo. Un beffardo sogghigno sfiorò le sue labbra collericamente strette.

      L’arabo s’avvicinava a rapidi passi e pareva pensieroso e scoraggiato. Quando fu a pochi metri di distanza, Notis balzò fuori e gli si presentò dinanzi come una spaventevole apparizione.

       Alto là, Abd-el-Kerim!… gl’intimò brutalmente.

      L’arabo nel vederselo lì, colla testa alta, in una posa minacciosa, fece un salto indietro portando involontariamente la mano sull’impugnatura dell’jatagan. Impallidì orribilmente e fece un gesto di sorpresa e di spavento.

       Notis! esclamò egli, con un fil di voce.

       Sì, proprio Notis, il fratello di Elenka, della tua fidanzata, rispose il greco con ira mal repressa.

      Essi stettero a guardarsi in silenzio, ma cogli sguardi provocanti.

       Che facevi, Abd-el-Kerim, sotto le finestre di quella casupola? chiese Notis, ironicamente.

       Avevo la febbre indosso e sono andato a passeggiare per le vie d’Hossanieh.

       Tu menti, Abd-el-Kerim!

      L’arabo si turbò e tornò ad impallidire, ma più per la collera che per la paura.

       Te lo dirò io, giacchè tu nol sai, che facevi, disse Notis, alzando la voce. Tu suonavi la rabâda e cantavi una canzone d’amore.

       E che ci trovi di strano?

       Ma disgraziato, non sapevi adunque che tu cantavi sotto le finestre di Fathma?

       Ebbene?… chiese Abd-el-Kerim con calma.

       Ciò vuol dire che quel rivale di cui mi parlavi sei tu, tu, Abd-el-Kerim!

       Follie.

       Tuoni di Dio, non mentire! Tu cantando pronunciavi il nome dell’almea!

       Ah! tu sai questo?…

       Abd-el-Kerim, rammentati di mia sorella Elenka. Ella è greca.

       Ma il Corano…

       Non parlare di Corano, nè di poligamia. Elenka non avrà che un marito o tu non avrai che una moglie. Il Profeta udì i tuoi giuramenti.

       Elenka!… Elenka!… balbettò l’arabo.

       Saresti capace tu di dimenticarla per Fathma?

       Non parlare d’Elenka, Notis, disse l’arabo sordamente.

      Il greco fece tre passi indietro e alzò la mano verso di lui.

       Abd-el-Kerim! disse egli gravemente. Sta in guardia!…

       Notis!…

       Sta in guardia! È l’ultima mia parola!

      Il fratello d’Elenka lo mirò per un minuto cogli occhi scintillanti, poi gli volse le spalle e s’internò in mezzo al campo di durah.

      CAPITOLO IV. Nel mezzo di un bosco

      Quando Abd-el-Kerim giunse agli avamposti il sole cominciava a far capolino fra le gigantesche foreste del Nilo e il campo a svegliarsi. Qua e là, dalle tende, uscivano soldati sbadigliando e stiracchiandosi le membra intorpidite; alcuni si affacendavano a pulire o a insellare i loro briosi cavalli che caracollavano nitrendo; altri alzavano i mahari o i cammelli conducendoli ai pozzi per abbeverarli, e altri ancora accendevano i fuochi pel rancio del mattino, o portavano legne, o portavano paglia, o facevano un po’ di pulizia, o lucidavano i fucili, gli jatagan o le daghe, o i cannoni. Dappertutto vedevansi ufficiali andare e venire, scintillanti per gli ori, affannarsi a portare o a dare ordini, a cambiare le sentinelle, a radunare le compagnie per farle manovrare; dappertutto udivasi un cicaleggio allegro, canzoni monotone e cadenzate, voci che salmodiavano i versetti del Corano accompagnate dalla voce nasale dei muezzin d’Hossanieh che percorrevano il campo, e ragli d’asini, e nitriti di cavalli e muggiti di buoi.

      Abd-el-Kerim, colla faccia aggrondata, pensieroso, taciturno, attraversò la triplice fila di tende e andò a sedersi vicino alla sua, su di un tronco di palmizio atterrato, prendendosi la testa fra le mani.

      Il povero arabo sentivasi tutto scombussolato dagli avvenimenti della notte e come ammalato. Una terribile lotta fervevagli nel cuore, lotta gigantesca nella quale si cozzavano furiosamente due passioni egualmente grandi: l’amore per la bella Elenka alla quale gli aveva giurato fedeltà e l’amore per Fathma, l’incomparabile creatura dagli occhi di fuoco che l’aveva suo malgrado affascinato.

      Egli trovavasi per così dire equilibrato fra due abissi in uno dei quali tendeva le braccia la greca e nell’altro l’araba, due abissi che sì l’uno che l’altro l’attiravano, due abissi che gli mettevano le vertigini entrambi.

      Aveva un bel dire che a Elenka aveva promesso la sua mano, aveva un bel dire che Elenka aveva gli occhi neri e pieni di fuoco, che Elenka era bella, che Elenka era incomparabile, divina, ma non riusciva a scacciare nè a eclissare dalla sua mente le fiera figura dell’almea, nè sapeva cancellare, nè estirpare quegli occhi che in certo qual modo erano impressi vivamente nel suo cuore o che lo tormentavano come fossero due carboni accesi collocati sulle sue carni.

      Invano cercava di frapporre fra sè e l’almea delle tenebre, invano ritorceva i suoi sguardi portandoli su Elenka, invano mormorava il caro nome della greca, invano sforzavasi di frenare i tumultuosi battiti del suo cuore, invano richiamava alla mente le sinistre e minacciose parole di Notis. Egli vedevasi sempre dinanzi la superba immagine dell’almea col fucile in mano, come l’aveva veduta in mezzo alla pianura puntare calma e terribile il leone che volteggiavale d’intorno; parevagli di sentirsela ancora fra le braccia col capo appoggiato dolcemente al suo petto, trasportato sul dorso del veloce mahari coi capelli neri e profumati attorcigliati al collo; parevagli di ascoltare il debole suo respiro, il battere del suo cuoricino, il fremito delle sue membra, e provava emozioni violente, sconosciute, ignote, voluttuose, e sentivasi il sangue turbinare più rapido nelle vene, un fuoco strano accendersegli nel petto, fuoco che mettevagli la febbre indosso, fuoco che prendeva proporzioni gigantesche, che divorava e la memoria di Elenka e quella di Notis.

       Fathma! Fathma! mormorò egli sospirando. Tu hai fatto nascere nel mio cuore una passione che cancellerà quella della povera Elenka! Una passione che mi mette paura, una passione che mi fa tremare!…

      Si levò dal tronco d’albero girando uno sguardo indagatore sul campo come se cercasse di scoprire colei che avevagli acceso in petto una scintilla d’un amore sconfinato. I suoi occhi si fissarono su d’un uomo, un capitano dei basci-bozuk, che lo guardava sorridendo quasi beffardamente.

       Olà, che diamine te fai qui, solo soletto e pensieroso, gli chiese il capitano, incrociando le braccia sul petto con aria comica. È un bel pezzo che sono qui a guardarti, curioso di sapere come l’avresti finita.

       Ah! Sei tu, Hassarn? disse Abd-el-Kerim, ricomponendo la faccia tetra.

       In carne e in ossa, amico mio, rispose il capitano.

       Che vuoi da me?

       Che m’accompagni alle foreste del Bahr-el-Abiad per far ritornare quella compagnia di basci-bozuk, che abbiamo lasciato in un zeribak. Sono stati segnalati dei ribelli, e non vorrei che quei poveri diavoli venissero qualche notte massacrati.

       Ah!… Sono con te, Hassarn.