Emilio Salgari

La favorita del Mahdi


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mahari dei più rapidi, disse l’arabo sforzandosi a far parer calma la sua voce che invece tremavagli.

       Sento qui, nel cuore, una fiamma che comincia ad ardere. È fiamma d’amore, e temo che prenderà fra non molto proporzioni gigantesche.

      L’arabo alzò Le spalle e cercò di sorridere, ma senza riuscirvi.

       Se non vi eri tu, ti giuro, Abd-el-Kerim, che avrei stampato sulle sue piccole labbra un gran bacio. Ma la ritroverò e sola.

      Una fiamma balenò negli occhi di Abd-el-Kerim, ma una fiamma d’ira e di sdegno. La sua fronte s’increspò e le sue mani si posarono sui calci del revolver.

       Sta in guardia, Notis! diss’egli con accento cupo.

       Credi che io abbia paura di una donna?

       Chi sa! Potrebbe darsi che su quella donna brillasse una scimitarra!

      Il greco rimase di stucco, guardandolo cogli occhi stravolti. Mai aveva udito parlare Abd-el-Kerim con quel tono cupo e minaccioso e in quel modo. Credette di aver compreso male.

       Una scimitarra, hai tu detto? chiese egli.

       Sì, e la scimitarra di un uomo che ha il braccio di ferro.

       Avrei forse un rivale? Abd-el-Kerim, tu sai qualche cosa e cerchi nascondermelo.

       Non so nulla.

       Tieni a mente che io amo di già Fathma come tu ami Elenka, e forse io l’amo più ancora di te.

       Zitto, Notis, non parliamone più. È tardi, e io ho sonno.

       Eh! per Allàh! Vorrai bene dirmi qualche cosa prima.

       Non mi caverai una parola di bocca nemmeno colle tenaglie. Buona notte, amico mio. Vado a dormire nella mia tenda e tu va nella tua che trovasi a pochi passi da quella del pascià.

      L’arabo non aggiunse una sillaba di più e lasciò lì Notis, dileguandosi fra le tenebre col suo mahari.

       Un rivale! esclamò il greco con mal repressa ira. E chi potrebbe mai essere?

      Rimase un istante lì, pensieroso, cupo, tormentando l’impugnatura della scimitarra, poi si cacciò in mezzo alle tende e ai fasci dei moschetti, traendosi dietro il suo animale. Dopo dieci minuti s’arrestava dinanzi alla sua tenda, sulla cui entrata russava un nubiano colossale del più bel nero.

      Lo svegliò, gli affidò il mahari e si gettò sulla coperta, dopo aver acceso un sigaretto. Il suo pensiero volò subito dietro all’almea.

       Ho un bel dire che quell’adorabile creatura diverrà mia, mormorò egli, ma ho certi timori dei quali, mi pare che io dovrei tener conto. Non so, ma Abd-el-Kerim mi ha parlato in una certa maniera, con un tono così grave, così strano che mi dà da pensare seriamente. Se non fossi sicuro che egli ama alla pazzia Elenka, quasi, quasi, direi che egli parlava con rabbia, che parlava come fosse mio rivale.

      «Come mai egli mi ha parlato di una scimitarra che brilla su Fathma? Ciò vuol dire che vi è qualcuno che veglia sull›almea, è chiaro, chiarissimo. E chi potrebbe mai essere quest’uomo? Che abbia egli spifferato questa minaccia per indurmi a starmene lontano da quella donna?

      «Se è vero questo, hai sbagliato Abd-el-Kerim. Gli occhi di Fathma si sono impressi nel mio cuore in modo tale, che nessun altro amore sarebbe capace di velarli. Vi è una fiamma che arde nel mio petto, fiamma appena accesa e che è di già immane!…

      Egli si levò a sedere e guardò attorno. Gli parve vedere ovunque degli occhi fiammeggianti che lo fissassero: gli occhi dell’almea. Scattò in piedi come spinto da una molla, staccando la sua carabina.

       Egli mi ha parlato di un rivale, diss’egli con ira. Andrò ad assicurarmene e guai a lui, se lo trovo ronzare nei dintorni della casupola!…

      Saltò via il nubiano che era tornato ad addormentarsi, e uscì con passo silenzioso. Si guardò attorno sospettosamente, ma non vide che i soldati di guardia che vigilavano accanto ai fuochi. Tese gli orecchi, ma non udì che il fragoroso russar dei negri che dormivano sotto le tende e il sibilo del vento che agitava gli stendardi infioccati.

       Tutti dormono, mormorò egli. A noi due, o mio incognito rivale!

      Attraversò il campo e s’arrestò alle prime capanne di Hossanieh. Si gettò a terra per non esser visto da alcuno, e si mise a strisciare lentamente, senza fare più rumore di un serpente, tenendosi nascosto dietro le macchie di mimose. Ben presto si trovò nei pressi della casupola di Fathma, un’abitazione col tetto di paglia e le pareti di legno fiancheggiata da una rekùba, sorta di tettoia sostenuta da pali, sotto la quale si riposano ordinariamente i cammelli ed i viaggiatori.

      Si alzò e guardò attentamente dinanzi, di dietro, a dritta e a manca, ma non vide anima viva ronzare all’intorno. Alzò gli occhi verso le finestre, ma le vide oscure e socchiuse. Respirò.

       Che mi abbia ingannato? E con quale scopo? mormorò.

      Fece il giro della casupola per due o tre volte, e stava per allontanarsi, quando vide un’ombra che moveva verso quella volta. Impallidì e afferrò rapidamente la carabina.

       Il rivale! esclamò egli con voce sorda.

      Esitò, poi si cacciò sotto la rekùba e guadagnò, senz’essere stato scoperto, una macchia di leguminose arborescenti nascondendovisi nel mezzo.

       Chi sei? chi sei tu, che vieni a disputarmela? si chiese egli.

      L’individuo che veniva innanzi in punta di piedi, e spesso girava la testa attorno come un uomo che teme di essere scoperto, era alto dal portamento svelto, vestito da ufficiale, ma con una bianca farda avvolta attorno il petto. Una carabina pendevagli da una spalla e portava in una mano un oggetto allungato, che Notis non giunse bene a distinguere.

      Egli si fermò dinanzi la rekùba e stette lì immobile, guardando le finestre della casupola, poi girò e rigirò parecchie volte attorno, tornò a fermarsi, prese l’oggetto allungato che era una rabâda, sorta di chitarra e trasse alcuni suoni melanconici, flessibili.

       Ah! esclamò Notis, sardonicamente. Si vede che il mio rivale non manca di buon gusto. Per Allàh! Egli vuol fare una serenata sotto le finestre della bella con la chitarra. Guardati! Potrebbe darsi che io irrigidissi le tue dita con una palla del mio remington.

      In quell’istante quell’uomo si pose a cantare. Alla prima sillaba Notis fe’ un balzo guardando trucemente il cantore.

       Sogno io forse? si chiese egli.

      La canzone continuò, cadenzata, dolce. Notis tremò tutto e sentì i capelli rizzarglisi sulla fronte.

       Abd-el-Kerim! Abd-el-Kerim!…

      La voce gli si soffocò. Una grossa nube gli passò dinanzi agli occhi.

       Ah! traditore!…

      Alzò il remington, l’armò e mirò Abd-el-Kerim che continuava a cantare frammischiando alla sua canzone il nome di Fathma. Dopo qualche secondo l’abbassò.

       E mia sorella? E la povera Elenka? E la sua fidanzata?… Ah! miserabile!… Eri tu quel rivale di cui mi parlavi! Ma da quando?… Come?… Come è possibile che egli abbia obbliata mia sorella?… Tuoni di Dio!…

      Per la seconda volta alzò il remington e per la seconda volta l’abbassò.

      Un freddo sudore scorrevagli abbondantemente per la fronte e un tremore fortissimo agitava le sue membra. Impeti di ira lo assalivano e sentivasi spinto da una pazza voglia di fare, con una palla di fucile, scoppiare la testa all’arabo. Tuttavia non si sentì capace di puntare per la terza volta il remington e d’assassinare il traditore.

      Alzò la testa come se avesse preso una pronta risoluzione, e si mise a strisciare, a carpone, fino a che ebbe raggiunta una piantagione di durah. Di là camminò sempre senza produrre il menomo rumore, fino sulla via che menava agli avamposti del