l’indiano.
– E che Suyodhana sia là?
– Si dice che sia tornato fra di loro.
– Dunque la piccola Darma sarà stata portata a Rajmangal? – disse Sandokan.
– Non ne ho la certezza.
Essa però deve aver rimpiazzato il posto che occupava un giorno sua madre, mia moglie.
– Può correre qualche pericolo?
– Nessuno: la «Vergine della pagoda» incarna sulla terra la mostruosa Kalí e la si adora e la si teme come una divinità autentica.
– Dunque nessuno ardirebbe farle alcun male.
– Nemmeno Suyodhana, – rispose Tremal-Naik.
– Quanti anni ha la tua Darma?
– Quattro anni.
– Che strana idea di fare d’una bambina una divinità! – esclamò Yanez.
– Era la figlia della «Vergine della pagoda» che per sette anni rappresentò Kalí nei sotterranei di Rajmangal, – disse Tremal-Naik, con un singhiozzo soffocato.
– Fratellino mio, – disse Yanez, volgendosi verso Sandokan, – Tu mi hai parlato d’un progetto.
– E l’ho anche maturato, – rispose la Tigre della Malesia. – Solamente vorrei, prima di metterlo in esecuzione, avere la certezza che i Thugs si trovino realmente nei sotterranei di Rajmangal. Ciò è necessario.
– Come fare dunque?
– Bisogna impadronirci di qualche thug e costringerlo a confessare. Suppongo che a Calcutta ve ne saranno.
– E non pochi, – disse Tremal-Naik.
– Cercheremo di scovarne qualcuno.
– E poi? – chiese Yanez.
– Se si sono nuovamente radunati a Rajmangal, andremo a fare una partita di caccia fra quelle jungle. Kammamuri mi ha detto che fra quei pantani le tigri abbondano.
Andremo quindi a ucciderne alcune: prima quelle a quattro zampe, piú tardi quelle a due e senza coda.
Cosí potremmo sorvegliare Rajmangal e scoprire forse certe cose che potrebbero essere molto preziose per noi.
Tu sei sempre un buon cacciatore, è vero Tremal-Naik?
– Sono un figlio delle Sunderbunds e delle jungle, – rispose l’indiano.
– Ma perché cacciare le tigri prima degli uomini?
– Per ingannare l’amico Suyodhana. I cacciatori non sono né cipayes né policeman, e se è vero che quelle jungle sono ricche di selvaggina, i Thugs non si allarmeranno della nostra presenza. Che cosa ne dici, Yanez?
– Che la fantasia della Tigre della Malesia è ben lungi dallo spegnersi.
– Abbiamo da lottare con un furbo, cerchiamo di essere piú furbi e piú abili di lui. Tu conosci quei pantani, Tremal-Naik?
– Tutte le isole e tutti i canali sono noti a me e a Kammamuri.
– Vi è un buon fondo dinanzi alle Sunderbunds?
– Vi sono dei bracci di mare anche, dove il tuo praho può trovare degli ottimi rifugi contro le onde e i venti.
– Dimmene uno.
– Quello di Raimatla, per esempio.
– Lontano dal covo dei Thugs?
– Una ventina di miglia.
– Benissimo, – disse Sandokan. – Oltre Kammamuri hai qualche servo fidato?
– Sí, anche due se ne vuoi.
Sandokan mise una mano nella tasca interna della sua giubba ed estrasse un grosso pacco di venti biglietti di banca.
– Incaricherai quel tuo fedele servo di provvederci due elefanti coi rispettivi conduttori senza lesinare sul prezzo.
– Ma… io… – chiese l’indiano.
– Tu sai che la Tigre della Malesia ha diamanti da vendere a tutti i rajah e i maharajah dell’India, – rispose Sandokan, sorridendo.
Poi aggiunse con profonda tristezza e con un sospiro:
– Non ho figli io e nemmeno Yanez. Che cosa dovrei farne delle immense ricchezze accumulate in quindici anni di scorrerie? Il destino è stato crudele con me, togliendomi Marianna.
Il formidabile pirata si era vivamente alzato. Un dolore intenso, indescrivibile, aveva scomposto i fieri lineamenti dell’antico scorridore dell’arcipelago malese. Fece due o tre volte il giro della stanza, con la fronte aggrottata, le labbra increspate, le mani strette sul cuore, e gli occhi fiammeggianti, fissi nel vuoto.
– Sandokan, fratellino mio, – gli disse Yanez con voce dolce, posandogli una mano sulla spalla.
Il pirata si era arrestato mentre un rauco singhiozzo gli moriva sulle labbra.
– Che non la possa dimenticare mai? – gridò con voce strozzata e asciugandosi, quasi con rabbia, due lagrime che si raccoglievano sotto le folte ciglia. – Mai! Mai! L’ho troppo amata la Perla di Labuan! Maledetto destino.
Tremal-Naik si era avvicinato alla Tigre della Malesia. Anche l’indiano piangeva senza cercare di frenare le lagrime.
I due uomini si gettarono l’uno nelle braccia dell’altro e rimasero alcuni istanti stretti.
– Morta la tua donna e morta anche la mia, – disse l’indiano, il cui dolore non era meno intenso di quello della Tigre della Malesia.
Kammamuri, in un angolo, si asciugava gli occhi; anche Yanez sembrava profondamente commosso.
Ad un tratto la Tigre della Malesia si separò bruscamente da Tremal-Naik. Il suo viso poco prima cosí alterato, aveva la sua abituale espressione calma e ad un tempo energica.
– Quando avremo la certezza che Suyodhana si trova laggiú, – disse, – andremo nelle Sunderbunds. Puoi domani avere gli elefanti?
– Lo spero, – disse Tremal-Naik.
– Noi rimarremo qui fino a quando potremo avere nelle nostre mani qualche thug poi vedremo che cosa si dovrà fare. Quando verrai a bordo? Sei piú sicuro sul nostro praho che nel tuo palazzo.
– Domani sera, a ora tarda onde non mi spiino. Il mio palazzo è sorvegliato dai Thugs, lo so.
– T’aspettiamo. Yanez, torniamo a bordo. Sono già le due del mattino.
– Perché non vi riposate qui? – chiese Tremal-Naik.
– Per non destare alcun sospetto, – rispose Sandokan. – Vedendoci domani uscire, qualche spia potrebbe seguirci fino al praho e ciò non mi garberebbe.
Con questa oscurità anche se qualcuno tentasse di tenerci d’occhio, non vi riuscirebbe perché abbiamo la baleniera sul fiume e possiamo ingannarlo sulla nostra direzione. Addio, Tremal-Naik, domani avrai nostre nuove.
– Partiremo domani sera, dunque?
– E molto tardi, se potrai trovare gli elefanti. Prendi però delle precauzioni per non venire seguito.
– Saprò ingannare le spie. Vuoi che Kammamuri ti accompagni?
– È inutile, siamo armati e la gettata è vicina.
Si abbracciarono nuovamente, poi Sandokan e Yanez scesero lo scalone accompagnati da Kammamuri.
– State in guardia, – disse il maharatto mentre apriva la porta.
– Non temere, – rispose Sandokan. – Non siamo uomini da lasciarci sorprendere.
Appena fuori, i due comandanti del praho levarono le pistole che tenevano nascoste nella larga fascia e le armarono.
– Apriamo gli occhi, Yanez, – disse Sandokan.
– Li