Emilio Salgari

Straordinarie avventure di Testa di Pietra


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palla ci guasterà qualche prosciutto salato che si trova nei barili o fracasserà chissà quanti biscotti.»

      «E solleverà una nuvola di farina,» disse Piccolo Flocco ridendo.

      «Copriti!…»

      «Ho dei barili dinanzi a me.»

      «Non mostrare nemmeno un pezzetto d’orecchio, bravo figliolo. So anch’io che questi canadesi sono famosi tiratori.»

      Pur chiacchierando, si era ben nascosto dietro l’abitacolo ed i barili, insieme ai due assiani i quali fino allora si erano mantenuti perfettamente tranquilli. Già sapevano che Testa di Pietra non era un uomo da lasciarsi facilmente vincere, e l’avevano provato a Boston, all’Isola Lunga ed a New York. Ne aveva fatte quel diavolo d’uomo, insieme a Piccolo Flocco, di tutti i colori, giocando gl’inglesi più di venti volte, anche senza l’aiuto del suo comandante, il baronetto Sir William Mac-Lellan e dell’equipaggio della Tuonante.

      Il bretone si era appena allungato dietro l’abitacolo, quando Hulrik, il più giovane dei due assiani, gli tirò fortemente una manica.

      «Che cosa vuoi?» gli chiese.

      «Patre, io non afer più feduto un canadese.»

      «Un colpo d’acqua l’avrà portato via o sarà sceso nella cabina di prora a far colazione.»

      «In questo momento? Ah no, patre!…»

      «Lasciami stare. Ho da seguire il catenaccio di mastro Davis.»

      Il «pappagallo», come avevano battezzato il meticcio, pareva che esitasse a sparare.

      Era bensì vero che in quel momento la tempesta cominciava a scatenarsi e che avventava sulla fusta onde su onde, rendendo quasi impossibile il tiro anche ad un provetto bersagliere causa le continue scosse che si ripercotevano specialmente sulla cima del grande albero.

      «Può consumare tutte le sue munizioni senza mandarci all’altro mondo,» disse Testa di Pietra. «Sia benedetta questa tempesta che metterà quasi fuori combattimento quel pericoloso personaggio. Sparare di lassù ed imbroccare il bersaglio non sarà cosa facile. Ah!… Povero mastro Davis!… Volevi prendere noi mentre saremo noi che ti acchiapperemo.acchiapperemo, presto o tardi!…»

      «Ed i canadesi, pon padre,» disse Hulrik.

      «Non mi preoccupo affatto di loro. Mi sembrano diventati tre conigli.»

      «Due, patre. Uno non più tornato in coperta.»

      «Tanto meglio: un avversario di meno.»

      In quel momento una raffica violenta si abbatté sulla fusta squarciando di colpo la gran vela, la quale scomparve, come un gigantesco gabbiano, fra le nebbie.

      «Ecco un brutto affare,» disse il bretone, che non poteva star zitto un solo momento. «Non abbiamo più stabilità e la burrasca pare che voglia stringere bene i denti.»

      Un colpo di fucile rimbombò sulla cima del grande albero. Davis aveva fatto fuoco e aveva mandato la sua palla a seppellirsi dentro un grosso barile pieno di farina, spaccando una doga a poca distanza dalla testa di Hulrik.

      Il bretone scoppiò in una risata.

      «Mio caro Davis,» disse poi, «voglio darti un consiglio.»

      «Di arrendermi?» chiese il traditore.

      «No, di scendere in coperta per poter sparare meglio.»

      «Non sarò così stupido.»

      «Ed allora riprendi pure la tua musica.»

      «Basterebbe che questa fusta rimanesse qualche minuto immobile e vi spazzerei via tutti. Sono un tiratore.»

      «Lo abbiamo veduto,» rispose Testa di Pietra ironicamente. «Hai bucato un povero barile che ha dato del sangue bianco e polveroso invece di quello rosso.»

      «La fusta salta troppo.»

      «Allora scendi e unisciti ai tuoi canadesi. Ah!… Come va, caro Davis, che prima erano tre e che ora sulla prora non se ne vedono che due soli?»

      «Il terzo sarà andato a cacciare le foche. Chirry è un meraviglioso nuotatore che non teme né le onde, né il freddo.»

      «E tu intanto, birbante, torni a caricare il tuo catenaccio.»

      «Volete che rimanga quassù? C’è il vento che in certi momenti minaccia di portarmi via.»

      «Avanti!… Carica, carica bandito. Il generale Washington ha avuto un torto solo: quello di non farti fucilare prima di sceglierti come guida.»

      «Ma che!… Impiccare!…» gridò Piccolo Flocco, il quale aveva il suo bel da fare a tenere la barra della fusta, poiché i colpi d’acqua si succedevano sempre più impetuosi, sollevati da un vento freddissimo che soffiava da ponente.

      «Tu sarai il primo che ucciderò…» urlò Davis. «Pel momento rinuncio a mastro Testa di Pietra che ammazzerò più tardi.»

      «Trombone!…» gridarono i due bretoni.

      «Ah sì!… Aspettate il mio terzo colpo. Peccato che i miei canadesi, che hanno i fucili bagnati e che non hanno polvere, non possano aiutarmi. A quest’ora noi saremmo padroni della fusta e anche delle lettere.»

      «Comanda loro che ci assalgano colle asce.» disse Testa di Pietra. «Noi siamo pronti a riceverli.»

      «Non hanno il mio fegato e poi non hanno il piede saldo come i marinai.»

      «Brava gente che hai presa con te!… Si rifiutano di scaldarsi le mani con quattro colpi d’arma bianca. È vero che le asce fanno paura. Hai finito, pappagallo?»

      «Anche del pappagallo mi date?» urlò Davis sempre più furibondo. «È troppo!… Ucciderò prima voi!…»

      Mastro Testa di Pietra proruppe in una gran risata che si perdette nel vento.

      «Piccolo Flocco, rallegrati,» disse poi. «L’amico Davis ti ammazzerà dopo di me. Ha cambiato idea.»

      «Respiro,» rispose il giovanotto. «Mi dispiaceva morire prima di te.»

      Davis lanciò una bestemmia e si affrettò a ricaricare il suo archibugio.

      Intanto i due canadesi rimanevano immobili sulla prora della fusta, stringendo le loro asce in mano. Del terzo nessuna nuova. Era annegato o si era nascosto nella camera comune?

      Quella sparizione misteriosa cominciava a preoccupare Testa di Pietra, il quale era per natura diffidente assai e temeva qualche brutta sorpresa.

      Intanto la fusta continuava a saltare disperatamente, avvicinandosi alla costa, cacciatavi dalle onde. Come abbiamo detto, la vela era stata portata via, sicché il legno non aveva più nessuna stabilità.

      Piccolo Flocco faceva sforzi disperati per evitare un urto, ma con poca speranza di riuscirvi.

      Se vi fosse stata qualche cala sulla costa, avrebbe ancora saputo portare in salvo tutti, mentre invece le rive si succedevano alle rive, con pochissimi squarci appena capaci di servire da rifugio ad un canotto.

      «Pel borgo di Pontiguen!…» borbottava il giovane marinaio. «Non sarà su questa barca che noi attraverseremo il Champlain per toccare Ticonderoga. Finiremo per naufragare e fra non molte ore. È vero che noi siamo abituati ai naufragi e che abbiamo avuto sempre la fortuna di portare a casa la pelle.»

      Mastro Testa di Pietra continuava a sorvegliare il suo «pappagallo» il quale, stringendo disperatamente le gambe intorno alla crocetta onde non venire scagliato nel lago o precipitato sul ponte della fusta, si arrabattava per ricaricare il suo fucile, mentre i due assiani avevano portato sopra altri barili e dei grossi tavoloni, onde rendere la barricata inattaccabile.

      «Come va, Piccolo Flocco?» chiese il vecchio lupo di mare, dopo essersi ben assicurato che Davis non avesse ancora terminata la sua difficile impresa.

      «Male, mio caro mastro,» rispose il giovane timoniere. «Noi finiremo per romperci le corna contro la costa. Ci vorrebbe un po’ di tela.»

      «Chi andrebbe a spiegarla sotto il <pappagallo>? Io no di certo.»

      «È