Emilio Salgari

Straordinarie avventure di Testa di Pietra


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questi soprassalti Davis non riuscirà mai a mandare una palla a destinazione. Sia pure un gran tiratore, ma non sarà dalla cima dell’albero che ci manderà all’altro mondo.»

      Testa di Pietra si levò il grosso berretto di panno e si grattò furiosamente la testa.

      «Eppure io devo consegnare le lettere,» mormorò. «Ed il forte è ancora così lontano!.:. Ah!… La terribile missione!… Sarei rimasto più volentieri a New York a trincare coi miei camerati.»

      Alzò le spalle, si piantò in testa il berretto con un pugno formidabile e guardò ferocemente Davis, il quale non aveva ancora finito di ricaricare la sua arma.

      «Bisogna finirla,» disse. «Così è impossibile andare avanti. Quel <pappagallo> finirà per tenerci occupati in modo da non poter più occuparci della fusta. Se ci sbaglia ancora andremo ad assalire i canadesi. I fucili non tarderanno ad asciugarsi. Poi Davis avrà da fare i conti con Hulrik, un tiratore più abile di me, che so meglio maneggiare i grossi cannoni che le armi leggere, che non sento affatto fra le mie zampe d’orso. Eppure mi pare impossibile che nel quadro non ci sia qualche fucile o pistola. Wolf!…»

      «Pon patre,» rispose subito il fratello di Hulrik, il quale stava accomodando la barricata. «Che cosa folere?»

      «Scendi nel quadro, cerca, fruga dappertutto e trovami un’arma da fuoco. Bisogna snidare quel <pappagallo> che ci tiene immobilizzati col suo catenaccio. Già qui non c’è niente da fare per il momento.»

      «Sì, patre.»

      «Torna prima che Davis possa sparare il suo secondo colpo.»

      «Io folare, pon patre,» rispose il giovanotto slanciandosi a precipizio dentro il quadro.

      Davis, che doveva essersi accorto di quella sparizione, si mise a sagrare peggio d’un mulattiere spagnolo.

      «Che cosa tentate, mastro Testa di Pietra?» gridò a piena voce, per vincere i soffi delle raffiche che urlavano sempre più intorno all’albero. «Volete dare fuoco alla nave?»

      «Io cerco solamente il mezzo di farti scendere,» rispose il bretone. «Io non ho mai amato le fiamme.»

      «È carico il tuo catenaccio?»

      «Non ancora ma spero di riuscirvi. Questa nave non rimane un momento immobile e la polvere mi sfugge fra le dita.»

      «Ho molto piacere di saperlo.»

      «Ma vi ucciderò.»

      «Per prendermi le famose lettere che tu hai sognate?»

      «Che voi avete, perché lo so!…» urlò Davis. «Le voglio!…»

      «Già, valgono sacchi di sterline,» rispose Testa di Pietra, ironicamente. «Letterite acuta.»

      «Me lo ha detto il marchese che voi le avete.»

      «Come!… Il marchese si trovava a New York quando noi siamo partiti? Cercava un altro colpo di spada da suo fratello?»

      «Io non so nulla. Morte e dannazione!… Ecco la terza carica di polvere che mi sfugge fra le dita.»

      «Allora noi, bel pappagallo, butteremo giù l’albero e ti faremo cadere nel lago.»

      «Pon patre,» disse in quel minuto Wolf, saltando sulla barricata. «Io afer trovato due pistole di lunga misura.»

      «Nessun fucile?»

      «Nessuno, pon patre.»

      «Dalle a tuo fratello. Sono cariche?»

      «Ho portato anche della polvere e delle palle.»

      «Allora tutto va bene.»

      «Non va bene un corno!…» gridò in quel momento Piccolo Flocco, il quale si affaticava sempre al timone, con nessun risultato. «Siamo sugli scogli!… La costa non è che a trecento metri e non vedo nessuna apertura. Io non posso più fare fronte a queste ondacce!»

      «Per tutti i campanili della Bretagna…» gridò Testa di Pietra. «Che si debba morire proprio questa notte, noi che siamo sfuggiti sempre alle cannonate ed alla mitraglia!… Ah doik!… Cattiva fortuna!…»

      «Testa di Pietra!…»

      «Che cosa c’è ancora?»

      «Anche gli altri due canadesi sono misteriosamente scomparsi.»

      «Che affoghino tutti!…»

      «E la chiglia rade gli scogli.»

      «Non so che cosa farci.»

      «E non vi è nemmeno una scialuppa!…»

      «Salteremo in acqua anche noi.»

      «Con questo freddo?»

      «Ohé, Piccolo Flocco, diventi poltrone? Ha paura del freddo!… Ah che gioventù!… Già non hanno fatto le campagne dei pescatori di merluzzi.»

      Un terribile colpo di tallone che subì la fusta, lo fece quasi stramazzare sulla barricata.

      Proprio allora David, il quale era finalmente riuscito a ricaricare il suo catenaccio, fece fuoco mandando la palla assai lontana.

      Hulrik fu pronto a rispondere con due pistolettate.

      Sulla cima del grande albero si udì un grido, poi si vide il bandito lasciar cadere l’arma ancora fumante, issarsi sulla crocetta, prendere un grande slancio e scomparire fra le acque turbinanti del lago, sollevando un gran fiotto di spuma.

      «Finalmente siamo padroni noi della barca!…» gridò Testa di Pietra, il quale si era slanciato verso la murata di babordo per vedere se scorgeva il traditore. «Anche senza guida sapremo attraversare il lago.»

      «Con questa fusta?» chiese Piccolo Flocco dando un colpo di barra.

      «Con questa.»

      «È perduta, la sua carena si è aperta e gli scogli si succedono agli scogli.»

      «Che Davis ci abbia gettato qualche malefizio?»

      «Io so che al forte con questa barca non andremo mai. Odi?»

      «Per le trenta corna della taverna di Boston!… La chiglia se ne va pezzo a pezzo. Non sono sordo.»

      Una terribile ondata sollevò in quel momento la fusta e la scagliò attraverso una doppia linea di scogli.

      Si udì un rombo spaventevole ed il grande albero cadde attraverso la coperta allungandosi subito sulle acque sconvolte.

      «Frittata completa!…» esclamò Testa di Pietra, grattandosi nuovamente la nuca. «Non me l’aspettavo così presto. Cane d’un Davis, ci ha immobilizzati così lontani dal forte! Bah!… Sono cose che succedono agli uomini di guerra.»

      Alzò, come aveva l’abitudine, le spalle e si mise a guardare il lago il quale si gonfiava rapidamente, ruggendo.

      2 – Il naufragio

      Il lago Champlain è uno dei più piccoli del Canada, quantunque abbia una estensione notevole, che non può competere però coi giganteschi bacini dell’Ontario, dell’Eric e degli Uroni.

      Gl’inglesi, che già da tempo presentivano l’insurrezione americana, vi avevano costrutti numerosi forti fra i quali si vantava il Ticonderoga per vastità di cinte, di artiglierie e di guarnigione. Essendo il Champlain in comunicazione col mare, potevano salire la riviera del San Lorenzo, sorvegliare Quebec e Montreal e portare le loro navi, anche grosse, dovunque su quel vasto specchio d’acqua.

      Gli americani però, dopo aver espugnato Boston, aver liberato le province del Sud e conquistato New York, quantunque avessero subito sovente sanguinose disfatte, si erano precipitati sul Champlain per togliere ai loro avversari i forti; ed infatti, guidati dal generale Arnold, uomo animoso ma altrettanto ambizioso, nel 1775 erano riusciti ad impadronirsi di tutte le coste del lago, costringendo le guarnigioni ad abbandonare più che in fretta le loro posizioni, senza dar loro la possibilità di sparare un solo colpo di fucile.

      La guerra, che da tre anni si trascinava al di là del Canada, si era ora concentrata sul Champlain, premendo a Washington di assicurarsi le spalle, e tremila