Emilio Salgari

Straordinarie avventure di Testa di Pietra


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lago infatti, sollevato da furiose raffiche che si succedevano senza tregua, diventava sempre più cattivo.

      Grosse ondate si formavano dovunque, si accavallavano rabbiosamente e poi correvano a sfasciarsi contro le coste con dei rombi spaventevoli.

      Era una vera burrasca quella che stava per scatenarsi e quelle che infuriano sui laghi canadesi godono pessima fama in causa della violenza del vento che si scatena ben più che sul mare.

      Testa di Pietra, che già aveva ben vedute altre burrasche su tutti gli oceani del globo, si affrettò a scendere nel quadro di poppa dove già l’assiano aveva accesa una lanterna. Pel momento non credeva ad un naufragio completo e non si preoccupava affatto delle grosse ondate.

      «Per tutti i campanili della Bretagna!…» esclamò aprendosi il passo fra i barili che ingombravano la piccola stanza. «Piccolo Flocco ha ragione. Questa barca non andrà mai al forte.»

      Si era messo in ascolto mentre l’assiano teneva alta la lanterna e fece un gesto di scoraggiamento.

      «Frittata completa,» disse. «La barca beve allegramente come una vecchia ubriacona e non vi è nessuna pompa a bordo di questa carcassa. Bah!… Andiamo a vedere, Hulrik.»

      Una scaletta stretta, ingombra anche quella di pacchi e di cordami, immetteva nella stiva.

      Testa di Pietra scese gli otto gradini e si trovò subito colle scarpe bagnate. La fusta continuava a bere ad ogni colpo d’acqua che si sfasciava sui suoi fianchi e gorgogliava impunemente fra i puntali ormai sgangherati.

      «Corpo d’una fregata sventrata!… È stato un bel colpo,» disse il bretone. «Un pezzo di scoglio si è cacciato proprio attraverso la carena e nessun carpentiere riuscirebbe a turare ormai un tale buco.»

      «Noi non navigare più, patre?» chiese l’assiano.

      «Pel momento è impossibile.»

      «E dofe trofare altra barca?»

      «Che cosa vuoi che ti dica io! Su questo lago non devono trovarsi a portata di mano.»

      «Tu sei preoccupato, patre.»

      «Ed ho le mie buone ragioni, figliolo. Io considero ormai la nostra impresa come completamente fallita e tutto in causa di quel cane di Davis. Se non l’hai ucciso e se dovessi un giorno incontrarlo ti assicuro che non lo risparmierò. Vira di bordo e risaliamo in coperta. Qui non c’è niente da fare.»

      Risalì la scaletta sagrando e giunse sul ponte sempre seguito dal fedele assiano.

      Piccolo Flocco e Wolf avevano allora finito di tagliare a colpi d’ascia tutte le griselle, i paterazzi ed altri cordami che trattenevano l’albero e la fusta, sbarazzata da quel peso, si era un po’ raddrizzata rovesciandosi invece sul tribordo, ciò che migliorava alquanto la sua posizione mettendola un po’pò al riparo dai continui assalti delle onde.

      «Finito?» chiese il vecchio bretone.

      «L’albero già naviga per conto suo,» rispose Piccolo Flocco. «Cominciava a picchiare terribilmente contro i fianchi della barca e minacciava di aprirci una grossa falla.»

      «Con tutto ciò noi siamo immobilizzati.»

      «E ci resteremo, vecchio mio, se non ci costruiamo una zattera per poter raggiungere la costa.»

      «L’ho pensato anch’io, ma finché questo lago non si calma non riusciremo a calarla in acqua. Aspettiamo dunque.»

      «Che resista la fusta?»

      «Lo spero. Ha un pezzo di scoglio piantato attraverso la carena.»

      «Me l’ero immaginato,» disse Piccolo Flocco. «Che cosa pensi di fare, Testa di Pietra?»

      Il vecchio bretone sprofondò le callose mani nelle immense tasche dei suoi pantaloni e si mise a guardare la costa la quale era coperta, fin dove giungevano gli sguardi, di pini bianchi altissimi, i quali torcevano le loro punte sotto le sferzate delle raffiche che aumentavano sempre.

      «Ci sono due miglia da attraversare,» disse finalmente, «ed ho veduto laggiù, se gli occhi non mi hanno tradito, uno squarcio che segna forse la foce di qualche fiume. Già, ci vuole una zattera, ma per ora sarà meglio pensare a mandare giù un boccone, giacché il signor lago tarda un po’ a risvegliarsi. Tu, Hulrik, va a cercare qualche barile che contenga dei prosciutti, e tu, Wolf, incaricati delle gallette. Quei cani di canadesi non ci hanno permesso di cenare e <sacco vuoto non sta in piedi>, dice un vecchio proverbio. Tu poi, Piccolo Flocco, va a vedere se ci sono delle bottiglie da vuotare. Davis ne aveva imbarcate tre o quattro casse a Montreal.»

      «Sei un uomo ammirabile,» disse il giovane marinaio. «La fusta è pericolante e tu pensi alla colazione.»

      «Dobbiamo approfittare, mio caro. Su, lesti, giacché le onde ci lasciano un po’ di tregua. Oh!… Oh!… Un lume!…»

      «Dove?» chiese Piccolo Flocco, balzando avanti.

      «L’ho scoperto solamente ora.»

      «Non ardeva prima?»

      «No.»

      «Un fuoco od un fanale?»

      «Un fanale no di certo. È un falò che brucia sulle rive di quella spaccatura che io ho scoperta.»

      «Che qualche accampamento indiano si sia stabilito in questi dintorni e proprio in questo momento?»

      «I miei occhi sono ancora buoni, ma non possono forare le foreste. So che della legna brucia e che deve essere stata accesa solamente da qualche minuto, poiché prima non ho veduto nessun punto luminoso sulla costa.»

      «E nemmeno io, Testa di Pietra. L’avrei scorto subito. Oh!…»

      «Ti sei rotto un dente?»

      «No, sono troppo saldi per andarsene, e poi così presto.»

      «Allora, cosa volevi dire?»

      «Che quel fuoco può essere stato acceso dai canadesi per asciugarsi. Non saranno giunti in buono stato alla costa con quest’acqua così fredda che pare che da un momento all’altro voglia congelarsi.»

      «Uhm!…» fece il vecchio bretone, il quale continuava a fissare il fuoco. «Sarà un po’ difficile. Suppongo invece che vi si trovi qualche capanna abitata forse da qualche colono. Ve ne sono di quelli che vanno d’accordo cogl’indiani perché comprano da loro le pellicce vendendo polveri, armi e soprattutto liquori.»

      «E non ne scotennano qualcuno di quando in quando?»

      «Io non farei quel mestiere. Quei coloni devono guadagnare immensamente e tornare in Francia assai ricchi, quando però ci tornano.»

      «E non saranno molti probabilmente.»

      «Lo credo anch’io. Gl’indiani canadesi sono i più feroci di tutti quelli che abitano l’America settentrionale e non possono vedere gli uomini male cucinati.»

      «Come male cucinati?»

      «Perché dicono che il Grande Spirito ci ha male biscottati, mentre invece ha lasciato abbruciare troppo i negri.»

      «Sicché loro sono i soli che hanno la giusta cottura.»

      «E se ne vantano e disprezzano noi che abbiamo invece delle pelli ben sovente rosee. Ehi, Hulrik!… E la colazione è pronta?»

      «Sì, pon patre,» rispose l’assiano. «Afere trovato anche salsicciotti affumicati e pottiglie di pirra.»

      «Allora, Piccolo Flocco, possiamo mettere in moto i nostri denti,» disse il vecchio bretone.

      «Con questa burrasca?…»

      «Chi ci bada? Siamo abituati ai colpi di vento e d’acqua.»

      I due assiani avevano preparato il desco dietro le barricate onde metterlo al coperto dalle onde, ed avevano fatto le cose per bene, infischiandosene del vento, il quale d’altronde non giungeva più con grande violenza, e dei soprassalti che subiva la povera fusta.

      Il cielo però era gravido di nubi di un colore nerastro con qualche orlo quasi fiammeggiante ed accennava a continuare la sua