rasa la barba e vestito da festa, secondo gli ordini della figlia.
All'ora fissata i Bonifazio furono esatti, e in poche parole si trovarono d'accordo. Alla cortese domanda del capitano, il Morato rispose:
– Sono anni cattivi, siamo povera gente, mia figlia non ha nè dote, nè corredo…
– A questo ci pensiamo noi, soggiunse il capitano. Facciamo presto; io non vi domando altro, prima di tutto perchè non mi piacciono le cose lunghe, e poi perchè sono vecchio, e vorrei vedere un nipotino, prima di chiudere gli occhi per sempre.
– Non parliamo di malinconie, gli rispose il falegname, con naturale buon senso. Siamo a vostra disposizione, riconoscenti dell'onore.
Fissarono l'epoca delle nozze, il capitano baciò in fronte la Beppina, e i due giovani si mostrarono molto lieti degli accordi.
Stefano scrisse al fratello, raccontandogli minutamente tutti i particolari del suo amore, vantandogli le buone qualità della sposa, senza nascondere la sua povertà.
Poco tempo dopo arrivava dalla Francia una cassa pieni di arredi da donna con una lettera di Gervasio, nella quale egli si congratulava col fratello per il prossimo matrimonio, e gli faceva mille scuse se osava spedirgli il corredo della sua povera defunta, ancora nuovo, per l'immatura sua morte. «Non saprei farne un uso migliore, egli scriveva, la tua sposa non se ne offenda se la tratto fino da questo momento come sorella; fra fratelli che si amano quello che è dell'uno è anche dell'altro. Vivi felice in famiglia, intanto io pregherò il cielo che ci conceda di rivederci presto, per poter vivere tutti uniti in casa nostra, nella nostra patria, colla nostra famiglia, tutte cose preziose che ci vennero tolte dalla usurpazione straniera.»
Al tempo fissato si fecero le nozze. Il capitano accompagnò Stefano a Treviso di buon mattino, e dopo la celebrazione del matrimonio, montarono in carrozza colla sposa e suo padre e tornarono alla villa. La buona Maddalena li aspettava sulla porta, Beppina si gettò nelle sue braccia.
– Hai trovato la madre che ti mancava, disse alla nuora, baciandola in fronte.
Dopo una breve refezione fra soli parenti, Stefano condusse la sposa a fare un giro pel parco. Avvezza al chiuso ambiente della sua cameretta in una casa vecchia di città, in una contrada di povera gente, le parve di passeggiare in paradiso. Attraverso le fronde passavano pochi raggi di sole, che segnavano degli sprazzi d'oro sulla sabbia dei viali. Il silenzio dei boschetti era rallegrato da qualche gorgheggio d'un capinero, accompagnato dal mormorio delle acque cadenti d'una cascatella sul lago. Dalle macchie di rose, dai caprifogli e dai gelsomini che si arrampicavano sui muri emanava un soave profumo che imbalsamava l'aria. La ricca vegetazione nel suo pieno vigore esalava degli aliti vitali, raccolti da tutte le forze unite della natura, dalla terra e dall'acqua, dalla luce, dalle foglie e dai fiori. Un'arcana voluttà serpeggiava nelle vene e inebbriava i sensi.
Vagarono, ora bisbiglianti ed ora silenziosi, nella soave armonia delle commozioni e dei pensieri, sotto ai boschetti e sui prati di quell'incantevole giardino fino che udirono le campane dei villaggi vicini che suonavano il mezzogiorno. Era l'ora destinata al pranzo di famiglia coi parenti, e pochi amici. La stanza era adorna di fiori, la tavola apparecchiata con garbo, ma a quella mensa c'era un vuoto doloroso che ricordava la tristezza dell'esule lontano, gettava un velo di malinconia sulla gaiezza delle nozze, e faceva spuntare una lagrima sugli occhi della madre, mentre si atteggiava al sorriso.
Tuttavia gli amici festeggiando gli sposi con ripetute libazioni fecero echeggiare un po' d'allegria alla fine del pranzo. Il maestro Zecchini diventava loquace, papà Morato, volendo sostenersi con gravità, si teneva diritto con uno sforzo, e pareva diffidente delle sue gambe, il vecchio Pigna aveva due occhietti rossi e brillanti come rubini, suo figlio, con un sorriso immobile e costante, cogli occhi fissi, e due macchie rosse sulle guancie, mostrava il volto d'un ebete colla testa di legno. Dopo il caffè gli sposi presero congedo dai parenti e dagli ospiti e partirono per Venezia ove avevano fissato di passare i primi giorni del matrimonio.
Ritornati in famiglia presero le abitudini regolari, e la giovane si mostrò degna della sua buona ventura. Affettuosa coi suoceri, gentile cogli amici, d'indole facile e allegra, si faceva amare da tutti. Stefano ne era più innamorato di prima, e le buone qualità che le aveva trovate gli facevano giudicare con indulgenza quei piccoli nonnulla che saltano fuori col tempo e colla intimità. L'amore è un vetro appannato attraverso il quale appariscono le figure piane come nelle ombre; il matrimonio è un cristallo trasparente che lascia vedere gli oggetti in rilievo, con tutti i loro pregi e difetti.
Le belle qualità dell'animo, scoperte nella Beppina, compensarono Stefano della educazione incompleta, e la vista di quei capelli meravigliosi, che credeva prima un ornamento aggiunto alla natura, lo rese indulgente sull'ortografia e la grammatica, che mancavano alla sposa come il corredo.
VI
Dopo un anno circa di matrimonio la Beppina diede alla luce una bella bimba, che somigliava alla mamma. Furono tutti contenti. La nonna ringiovaniva per fare la bambinaia, il nonno era beato che non fosse nato un maschio in quei tempi funesti, quando si richiedeva il sangue di nuove vittime per riscattare la patria.
– Abbiamo già un nipote, nato in esilio, diceva il capitano, che un giorno dovrà fare il soldato, non sarà dunque mai al nostro fianco; questa bambina che è una vera delizia, sarà il sostegno della nostra vecchiaia.
– E poi l'uomo è un asino! soggiungeva il maestro.
Il capitano alzava le spalle indispettito, corrugava la fronte, faceva gli occhi severi, atteggiava la bocca all'ironia, e interrogava:
– Se l'uomo è un asino, che cosa sono le donne?.. che cosa sono le mogli, le figlie, le sorelle degli asini?..
E il maestro rispondeva tranquillamente:
– L'uomo è un asino, e le donne sono donne!.. La storia ce lo insegna; essa ci parla di sovrani che furono belve, di guerrieri che furono eroi, e non dice che le loro mogli fossero nè bestie, nè eroine, erano donne. La donna non è simile all'uomo, sono gli uomini stessi che la giudicarono un essere inferiore, e fecero le leggi in conseguenza di tale giudizio… ed anche in questo si mostrarono asini per eccellenza!..
Il capitano gli voltava le spalle brontolando, e gli teneva il broncio fino all'ora della solita partita a tresette.
Stefano era felice di vedere sua moglie ristabilita in salute, ed era soddisfatto della contentezza degli altri. E quando vedeva la sua Beppina allattare la neonata, la gli pareva una delle più belle madonne di Rafaello. La bimba fu battezzata col nome di Maria. Ma anche in seno d'una esistenza felice, Stefano non dimenticava mai i principii succhiati col latte, e sviluppati in tutta la loro forza dalla educazione paterna, dalle lotte del quarant'otto, e dai successivi avvenimenti della patria. Nessun galantuomo viveva indifferente alle faccende del giorno, nè si chiudeva in casa con sentimenti da egoista, abbandonando l'avvenire della patria alla fatalità del destino. Tutti i buoni Italiani apportavano la loro pietra, e apparecchiavano le fondamenta della futura nazione.
Stefano andava a Treviso a vedere gli amici, e s'informava esattamente di tutto quello che veniva tentato per l'emancipazione del paese.
Era il tempo dei Comitati secreti e del prestito di Mazzini.
Come in tutte le parti soggette all'Austria, così anche a Treviso i patriotti corrispondevano segretamente cogli emigrati in Piemonte e in Francia, e apparecchiavano l'avvenire.
La piccola Maria cominciava a camminar sola, correva incontro ai nonni, balbettava le prime parole, era la tenerezza di tutti.
Venuto l'inverno la famiglia raccolta passava le sere nel salotto, ciarlando, giuocando alle carte e leggendo, la bambina dormiva tranquillamente nella sua cunetta di vimini, perchè la madre voleva tenersela sotto gli occhi fino all'ora di andare a letto, e allora se la portava in braccio, nella stanza, e la metteva nel suo letticino senza svegliarla.
Se venivano gli amici facevano la partita alle carte e il capitano litigava col maestro. Maddalena cercava di mitigare le irritazioni, di giustificare gli errori, non si lamentava mai degli sbagli di Pigna che giuocava con lei, molto peggio del maestro col capitano; Stefano stava a guardarli, la Beppina lavorava nei vestitini della sua bimba. Quando erano soli il capitano giuocava agli