Edward Gibbon

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 5


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rel="nofollow" href="#n142" type="note">142, antico popolo, di cui tuttavia conservasi il nome nella Provincia d'Estonia. Quei remoti abitanti della costa Baltica si sostenevano mediante i lavori dell'agricoltura, s'arricchivano col commercio dell'ambra, ed erano addetti al culto speciale della madre degli Dei. Ma la scarsità del ferro costringeva i guerrieri Estj a contentarsi di clave di legno; e si attribuisce la riduzione di quel ricco paese alla prudenza piuttosto che all'armi d'Ermanrico. I suoi stati che s'estendevano dal Danubio al Baltico, includevano le native regioni, ed i moderni acquisti dei Goti; ed esso regnava sopra la maggior parte della Germania e della Scizia coll'autorità di un conquistatore e qualche volta con la crudeltà di un tiranno; ma regnava sopra una parte del globo incapace di perpetuare e di adornare la gloria de' suoi Eroi. Il nome d'Ermanrico è quasi sepolto nell'obblivione; appena si ha notizia delle sue imprese; e pare che i Romani stessi ignorassero i progressi d'un'intraprendente potenza, che minacciava la libertà del Settentrione e la pace dell'Impero143.

      I Goti avevano contratto un ereditario attaccamento all'Imperial casa di Costantino, che tante segnalate prove avea lor date di liberalità e di potenza. Essi rispettavano la pubblica pace; e se alle volte qualche truppa ostile ardiva di passare il confine Romano, tale irregolare condotta candidamente si attribuiva all'indomito spirito della Barbara gioventù. Il disprezzo, che avevano per due Principi nuovi ed oscuri, innalzati al trono per una popolare elezione, inspirò ai Goti più ardite speranze; e mentre formavano disegni di riunire le confederate loro forze sotto il medesimo stendardo della nazione144, furono facilmente tentati ad abbracciare il partito di Procopio, ed a fomentare col pericoloso loro soccorso la discordia civile dei Romani. Il pubblico trattato non avrebbe richiesto più di diecimila ausiliari; ma con tanto zelo adottossi questo disegno dai Capi de' Visigoti, che l'armata, la quale passò il Danubio, ascese al numero di trentamila uomini145. Essi marciarono con la superba persuasione, che l'invincibile loro valore avrebbe decisa la sorte del Romano Impero; e le Province della Tracia gemerono sotto il peso dei Barbari, che spiegavano l'insolenza di padroni e la licenziosa condotta di nemici. Ma l'intemperanza che sollecitava i loro appetiti, ne ritardò il progresso; e prima che i Goti potessero avere alcuna certa notizia della disfatta e della morte di Procopio, conobbero dallo stato di difesa, in cui si trovava il paese, che il fortunato rivale di lui aveva ripresa la civile e la militar potestà. Una catena di torri e di fortificazioni, abilmente disposte da Valente o dai suoi Generali, arrestò la loro marcia, ne impedì la ritirata, e ne intercettò la sussistenza. La fierezza dei Barbari fu domata e sospesa dalla fame; posero essi dispettosamente le loro armi ai piedi del vincitore, che offrì loro cibo e catene; i numerosi schiavi furon distribuiti in tutte le città dell'Oriente; ed i provinciali, che ben presto si famigliarizzarono col loro aspetto selvaggio, appoco appoco arrischiaronsi a misurare le forze con quei formidabili avversari, il nome de' quali era stato sì lungamente l'oggetto del loro terrore. Il Re della Scizia (ed il solo Ermanrico potea meritare tal sublime titolo) sentì dispiacere ed ira per tal disgrazia della nazione. I suoi Ambasciatori fecero alte doglianze alla Corte di Valente della violazione dell'antica e solenne alleanza, che per tanto tempo era sussistita fra i Romani ed i Goti. Dicevano essi d'avere adempito il dovere di alleati assistendo il parente e successore dell'Imperator Giuliano; richiedevano l'immediata restituzione dei nobili schiavi; ed insistevano sopra una ben singolar pretensione, che i Generali Goti, che marciavano in armi ed in ostile ordinanza, avesser diritto al sacro carattere ed ai privilegi di ambasciatori. Un decente ma perentorio rifiuto di tali stravaganti domande venne significato ai Barbari da Vittore, Generale della cavalleria, che rappresentò con forza e dignità le giuste querele dell'Imperatore d'Oriente146. Fu interrotto il trattato: e le virili esortazioni di Valentiniano incoraggiarono il timido suo fratello a vendicare l'insultata maestà dell'Impero147.

      Un istorico di quel tempo celebra lo splendore e la grandezza di questa guerra Gotica148; ma l'evento di essa appena merita l'attenzione della posterità, qualora non voglia risguardarsi come un passo preliminare dell'imminente decadenza e rovina dell'Impero. In cambio di condurre le nazioni della Germania e della Scizia alle rive del Danubio, o anche alle porte di Costantinopoli, il vecchio Monarca dei Goti rassegnò al bravo Atanarico il pericolo e la gloria d'una guerra difensiva contro un nemico che maneggiava con debole destra le forze d'un grande stato. Fu eretto un ponte di barche sopra il Danubio; la presenza di Valente animava le sue truppe; e la sua ignoranza nell'arte della guerra veniva compensata in esso dalla personal bravura, e da una savia deferenza ai consigli di Vittore e d'Arinteo, suoi Generali di cavalleria e d'infanteria. Le operazioni della campagna regolate furono dalla loro abilità ed esperienza; ma fu loro impossibile di trarre i Visigoti dai forti posti delle montagne; e la devastazione delle pianure obbligò i Romani medesimi a ripassare il Danubio all'approssimarsi dell'inverno. Le continue piogge che fecer gonfiare le acque del fiume, produssero una tacita sospension di armi, e confinarono l'Imperator Valente in tutta la seguente state nel suo campo di Marcianopoli. Il terzo anno della guerra fu più favorevole pe' Romani, e dannoso pe' Goti. L'interrompimento del commercio privò i Barbari degli oggetti di lusso, che essi già confondevano con le necessità della vita, e la desolazione d'un molto esteso tratto di paese gli minacciava degli orrori della carestia. Atanarico fu provocato o costretto ad arrischiare una battaglia, che ei perdè, nella pianura; e la crudel precauzione dei vittoriosi Generali, che avevano promesso un grosso premio per la testa di ogni Goto, che portata fosse nel campo Imperiale, rendè più sanguinosa la caccia dei vinti. La sommissione dei Barbari quietò lo sdegno di Valente e del suo consiglio; l'Imperatore diede orecchio con piacere all'adulatrice ed eloquente rimostranza del Senato di Costantinopoli, che per la prima volta ebbe parte nelle pubbliche deliberazioni; ed i medesimi Generali Vittore ed Arinteo, che avean felicemente diretta la condotta della guerra, ebbero la facoltà di regolare le condizioni della pace. La libertà del commercio, che i Goti avevano fin allora goduta, fu ristretta a due sole città sul Danubio; fu severamente punita la temerità dei lor Capi con la soppressione delle pensioni e dei sussidi che ricevevano; e l'eccezione che fu stipulata in favore del solo Atanarico, fu più vantaggiosa che onorevole al Giudice dei Visigoti. Atanarico, il quale sembra che in quest'occasione consultasse il suo privato interesse senza aspettar gli ordini del Sovrano, sostenne la propria dignità e quella della sua tribù nel personal congresso, che fu proposto dai Ministri di Valente. Ei persistè nella dichiarazione, che era impossibile per lui senza incorrere nella colpa di spergiuro, il porre mai piede sul territorio dell'Impero; ed è più che probabile che il riguardo, che aveva per la santità del giuramento, fosse confermato dai recenti e fatali esempi della Romana perfidia. Fu scelto il Danubio che separava i dominj delle due indipendenti nazioni, per luogo della conferenza. L'Imperator d'Oriente ed il Giudice dei Visigoti, accompagnati da un ugual numero di loro seguaci armati, s'avanzarono nei respettivi loro battelli fino alla metà del fiume. Dopo la ratifica del trattato e la consegna degli ostaggi, Valente tornò in trionfo a Costantinopoli, ed i Goti rimaser tranquilli circa sei anni, finchè a forza non furono spinti contro l'Impero Romano da un'innumerabile armata di Sciti, che sboccarono dalle gelate regioni del Norte149.

      L'Imperator d'Occidente, che aveva lasciato al fratello il comando del basso Danubio, riservò immediatamente a se stesso la difesa delle Province Retiche e Illiriche, che per tante centinaia di miglia estendevansi lungo il maggior fiume dell'Europa. L'attiva politica di Valentiniano era continuamente occupata in aggiunger nuove fortificazioni alla sicurezza della frontiera; ma l'abuso di tal politica provocò il giusto risentimento dei Barbari. I Quadi si dolsero che era stato preso dal lor territorio il suolo per una fortezza che si meditava di fare; e sostennero con tanta ragione e moderatezza le loro querele, che Equizio, Generale dell'Illirico, acconsentì a sospendere il proseguimento dell'opera, finattanto che fosse più chiaramente informato del volere del suo Sovrano. Questa bella occasione di far ingiuria a un rivale, e di avanzare la fortuna del proprio figlio, fu ardentemente abbracciata dal crudele Massimino, Prefetto o piuttosto tiranno della Gallia. Le passioni di Valentiniano non soffrivan opposizioni; ed egli prestò con credulità orecchio alle assicurazioni del suo favorito, che se fosse affidato allo zelo di Marcellino, suo figlio, il governo di Valeria e la direzione dell'opera, l'Imperatore non sarebbe stato più importunato