Edward Gibbon

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 5


Скачать книгу

href="#n164" type="note">164 enumera vari Scrittori gravissimi del secolo di Marcello, dai quali esso fu tenuto per vero eretico Sabelliano. Egli però in tuono molto diverso da quello del Sig. Gibbon parla di lui; poichè trova di malagevole discussione la causa di quel Vescovo: Minus explicatu facilis est Causa Marcelli Ancyrani (§. 1. ivi), e così conchiude il §. V: «Quare digna est ea res, de qua amplius cogitent eruditi, ed antiquitatis Ecclesiasticae periti.» Questo appunto io vedo eseguito dal Ch. Natale Alessandro165 nella dissertazione de Fide Marcelli Ancyrani, in cui dimostra l'integrità della dottrina di quel Prelato, bersaglio delle calunnie Eusebiane, sì con la confessione di fede da lui presentata al Pontefice Giulio riferita da S. Epifanio (haeres. 72.), come dalla esposizione di fede, che da lui ricevuta, i suoi discepoli presentarono ai Vescovi Ortodossi, ed ai Confessori, in cui si anatematizza, tra le altre distintamente, l'eresia di Sabellio, per tacere le testimonianze di S. Atanasio ed il giudizio del Concilio Sardicese: e fa eziandio svanire le difficoltà dedotte dagli Scrittori enumerati dal Petavio166. A me però basta, che gli argomenti di quel dotto Domenicano e del Montfaucon vaglian soltanto a lasciare il fatto di Marcello nell'antica dubbiezza167 per verificare, che il Sig. Gibbon per iscreditare il partito Cattolico pone per indubitati dei fatti, che non lo sono. Ma quand'ancora si potesse provar chiaramente, che l'Ancirano sostenne il Sabellianismo, resterebbe pure da mostrare a Gibbon, che S. Atanasio difese il medesimo errore, ed il difese per più di vent'anni, ed io lo sfido a citarmi un sol testimone in suo favore. Ma gli spiriti filosofici dei nostri giorni si arrogano l'altissimo privilegio di asserir senza prove, ed in bocca loro un'espressione enfatica, od un motto pungente ha da passare per una perfetta dimostrazione. Uditelo infatti: Il celebre sogno di Costantino può spiegarsi o colla politica, o coll'entusiasmo dell'Imperatore, e la famosa apparizion della Croce è una favola Cristiana, che potè trarre la sua origine dal sogno, e si mantenne un onorevole posto nelle leggende di superstizione, finattanto che l'ardito e sagace spirito di critica osò di non apprezzare il trionfo, e di attaccar la veracità del primo Imperatore Cristiano.

      Chi non crederebbe a sentir parlare in un tuono sì decisivo, che questo avvenimento si dimostrasse falso al dì d'oggi come si è dimostrata falsa la storiella della Papessa Giovanna? Non sono già leggende di superstizione a giudizio del Sig. Gibbon medesimo le opere del Tillemont, del Fleury, del Noris168: eppure ed il celebre sogno, e la famosa apparizion della Croce vi trovan luogo tuttora. Non è una leggenda di superstizione la bella dissertazione del Benedettino Matteo Jaccuzzi169, nè troppo superstiziosi, cred'io, si diranno gli Autori della Storia Universale; eppur questi ed altri moltissimi ricevon tutto il racconto di Eusebio (L. I. C. XXVIII. in V. Constantini). Ed a ragione: poichè se la politica e l'entusiasmo avesser potuto indurre il primo Imperatore Cristiano ad uno spergiuro sacrilego, avrebbe almeno egli avuta tanta politica da non allegare per testimone della visione tutto l'esercito, che lo seguiva. Che se Costantino non solo narrò al suo confidente Eusebio il prodigio, ma soggiunse: eo viso et seipsum, et milites omnes qui ipsum sequebantur, et qui spectatores miraculi fuerant, vehementer obstupefactos: ecco migliaia di persone atte a scoprir l'impostura del primo già morto, mentre Eusebio scriveva, ed a rilevare e decidere la credulità del secondo. Il fatto si e però che id quod subsecutum est tempus sermonis hujus veritatem testimonio suo confirmavit. Lo confermarono le vittorie e la conversione di Costantino, lo confermarono il Labaro, e l'iscrizione conservataci da Eusebio, e lo confermarono con ogni apparenza di verità molti di quegli spettatori, che, quando scrisse Eusebio170 tai cose, sopravvivevano. Nè starò ad allegare gli atti del Martire Artemio, rigettati senza però sospirare, come afferma falsamente il Sig. Gibbon, dal Tillemont: il Cronico Alessandrino, Lattanzio, Filostorgio, Socrate, Niceforo, Gelasio Ciziceno, e molti altri Scrittori di ogni nazione ed età, e di religione diversa: le pitture dell'Effemeridi Greco-Moscovite, una antica lucerna, nella quale sotto il monogramma di Cristo si legge: ἐν τουτω νικα: son testimoni e monumenti, i quali dal più ardito e sagace spirito di Critica non si abbatteranno giammai con puri argomenti negativi, quali sono gli addotti dal Sig. Gibbon: ciò non ostante ha da essere un tale avvenimento una favola Cristiana, ed una leggenda di superstizione, solo perchè il Sig. Gibbon decide così: come pure per la ragione medesima noi dobbiam credere, che la fermezza di Liberio fosse superata dai travagli dell'esilio, e che quel Romano Pontefice comprasse il suo ritorno a prezzo di alcune ree condiscendenze. Qui però mi aspetto, che voi prendendo le parti del vostro compatriota vi maravigliate, come io ardisca rimproverarlo intorno ad un fatto, di cui tra i Protestanti del pari che tra i Cattolici comunemente si è convenuto, e parmi di vedervi stendere la mano alla penna per tessere il numeroso Catalogo degli Scrittori che sostengono la caduta di quel Pontefice. Vi prego però a voler sospendere questa inutil fatica, ed a riassumer piuttosto l'esame di questo fatto con quella maturità di riflessione, la quale è sì propria di voi. Quali adunque mai furono queste ree condiscendenze di Liberio? Soscrisse egli forse qualche formula di Fede eretica? Questa opinione, che fu già dei Centuriatori Magdeburgesi, di Giunio, di Chamber ec. è stata omai confutata pienamente dal Gretsero171 e da Natale Alessandro172 per tacere degli altri, nè ardirei mai di attribuirla al Sig. Gibbon. Forse Liberio, sorpreso dagli artifizi dei Semiarriani, gli ammise alla sua comunione, soscrivendo la personal condanna di S. Atanasio? Questo appunto sembra essere il sentimento del nostro Storico, e questa è stata sempre, io nol niego, la comune opinione. Non la pensano però così il Ch. Corgnio Canonico di Soissons173, non l'eloquentissimo Card. Orsi174, non l'eruditissimo Zaccaria nell'appendice alla Teologia del Petavio in una Dissertazione: De Commentitio Liberii lapsu. Ed eccone le principali ragioni. Teodoreto175 versatissimo nelle storie, che chiama Liberio nell'atto di andare in esilio gloriosum veritatis Athletam, lo chiama poi di ritorno, egregium omni laude dignissimum, admirandum: Son eglino titoli questi, che convenissero a Liberio, il quale avesse comprato il suo ritorno a prezzo di alcune ree condiscendenze? Cassiodoro176 detto da Incmaro Remense177 virum acerrimi ingenii, et insignis eruditionis pensa, e scrive nei termini di Teodoreto. Altrimenti vogliamo noi credere, che il popolo Romano avesse accolto Liberio siccome avvenne per testimonianza di S. Girolamo, e di Marcellino178 in aria di trionfante? Quel popolo, io dico, a cui esso era carissimo appunto per la sua fermezza in resistere all'Imperatore Costanzo179, che era amantissimo di S. Atanasio, e che non odiava l'intruso Felice, se non perchè comunicava con gli Arriani, quantunque formulam fidei a Nicenis Patribus expositae integram quidem, et inviolatam servabat180. Che se Liberio vinto dai travagli dell'esilio avesse condisceso a Costanzo a danno della causa del grande Atanasio, e della verità religiosa, ed a prezzo sì indegno avesse comprato il suo ritorno, avrebbe pur anche espiata con opportuna penitenza la propria colpa; e la prima e necessaria testimonianza di pentimento sarebbe stata una ritrattazione o dichiarazione del suo operato: ed il Sig. Gibbon istesso par che ne abbia veduta la necessità, come ancora la vide quell'impostore, che ci ha lasciato un frammento di una lettera comunicatoria sotto il nome di quel Pontefice diretta a S. Atanasio181. Ora il pentimento dei Vescovi ingannati a Rimini vien contestato da molti Autori contemporanei182; ma nè Sulpizio Severo, nè Socrate, nè Sozomeno, nè Teodoreto fanno menzione di quel di Liberio. Aggiungete, che questo Papa scrivendo ai Vescovi dell'Italia183 dopo il Concilio Riminese, dice che sebbene vi fossero alcuni di parere non esse parcendum his qui apud Ariminum ignorantes egerunt, ei però pensa diversamente, così esprimendosi: sed mihi, cui convenit omnia MODERATE perpendere, maxime cum et Egyptii omnes et Achivi hanc adunati sententiam receperint