di unir le due Chiese; il fratello di lui Costantino lo ripigliò quando, le angustie in cui trovavasi, gl'imposero come una necessità di ricorrere ad un'ultima prova di dissimulazione e di adulazione90. Inviò ambasciatori a Roma coll'incarico di chiedere temporali soccorsi ed assicurare il Santo Padre che i Greci al suo spirituale dominio si sommetteano. Questi scusavano ad un tempo il lor Sovrano, se avea da prima trascurato un tale dovere, a motivo dei tristi casi dello Stato che aveano assorte tutte le sollecitudini del Principe, in sostanza bramosissimo di vedere un Legato pontifizio nella sua Capitale. Benchè il Vaticano sapesse per prova quanto vi fosse poco da fidarsi nelle parole dei Greci, non potea con decenza mostrarsi sordo a tali voci di pentimento; ma più presto un Legato che un esercito gli concedè; laonde sei mesi prima della presa di Costantinopoli il Cardinale Isidoro nativo di Russia, vi comparve, qual nunzio del Pontefice, seguìto da un corteggio di preti e di soldati. L'Imperatore lo accolse qual padre ed amico; ne ascoltò rispettosamente i sermoni così in pubblico come in privato, e sottoscrisse l'atto di unione, nella stessa guisa che venne accettato nel Concilio di Firenze, al qual esempio si conformarono i più docili fra i sacerdoti e laici della Chiesa greca. Nel giorno 12 dicembre, i Greci si unirono alla celebrazione del divin sagrifizio e della preghiera, nel tempio di S. Sofia, ove fu fatta commemorazione solenne de' due Pontefici, vale a dire di Nicolò V, Vicario di Gesù Cristo, e del Patriarca Gregorio, che un popolo ribelle aveva esiliato.
Ma le vesti e la lingua del Prete latino ufiziante furono argomento di scandalo ai Greci, inorriditi in veggendolo consagrar pane senza lievito, e versar acqua fredda nel calice eucaristico. Uno Storico greco confessa arrossendo che nessuno de' suoi concittadini, compresovi lo stesso Imperatore, si prestò di buona fede a tale riconciliazione9192. A discolparli dalla taccia di una sommessione così inconsiderata e plenaria, dicevano essersi riservati il diritto di rivederne l'atto in appresso; ma la migliore e più trista scusa ad un tempo che avessero, stava nel confessarsi spergiuri. Oppressi dai rimproveri di quei lor fratelli che non avevano tradita la propria coscienza, rispondeano lor sotto voce: «armatevi di rassegnazione anche per poco, aspettate di veder libera la città dall'immenso drago che spalanca la bocca per divorarci; ne saprete dire in allora se siam riconciliati davvero cogli azzimiti». Ma la pazienza non è la prerogativa caratteristica dello zelo religioso, nè cortigianesca disinvoltura è bastante a frenar la violenza del popolare entusiasmo. Persone d'ogni classe e d'entrambi i sessi si trasportarono in folla dalla chiesa di S. Sofia alla celletta del frate Gennadio93, affine di consultare nel gran frangente questo religioso che reputavasi l'oracolo della Chiesa. Ma il santo personaggio non si mostrò: assorto, a quanto parea, nelle sue profonde meditazioni, o nelle sue estasi mistiche, lasciò solamente esposta in fronte alla sua porta una tavoletta, ove le turbe lessero le seguenti parole: «Sciagurati Romani! perchè abbandonaste voi la strada della verità? Perchè invece di mettere la vostra fiducia in Dio, negli Italiani l'avete posta? Col perdere la vostra fede, perderete anche la vostra città. Signore, abbi compassione di me. Io protesto al cospetto tuo che sono innocente di questo delitto. Sciagurati Romani, pensate bene, trattenetevi e pentitevi! nell'atto stesso che abbiurerete la religione dei padri vostri; nell'atto stesso che vi collegherete coll'empietà, cadrete schiavi sotto uno straniero servaggio». Udito questo avviso di Gennadio, le vergini spose di Dio, pure come gli Angeli, e superbe come i demonj94, sorsero contra l'atto di unione, e maledirono qualunque lega coi partigiani presenti e futuri della Chiesa latina; le imitò, le approvò la maggior parte del Clero e del popolo. Uscendo del monasterio di Gennadio, i devoti Greci si sparsero per la taverna bevendo alla confusione degli schiavi del Papa, votando tazze ad onore della immagine della Santissima Vergine, e supplicandola a difendere questa città da Maometto, come altre volte l'avea protetta contro l'armi di Cosroe e contro il Cagano. Così inebbriati dal fanatismo e dai fumi del vino, esclamarono sconsigliatamente: «Che abbiam noi bisogno di soccorso e di unione? che abbiam noi bisogno dei Latini? vada lungi da noi il culto degli azzimiti». Frenesia epidemica che tenne in trambusto la popolazione per tutto il verno antecedente alla vittoria de' Turchi; la Quaresima e la prossimità delle feste, anzichè ispirare sentimenti di pace e di carità, non fece che rincalzare l'ostinazione e la prevalenza del fanatismo. I confessori che spiavano e atterrivano le coscienze, prescrivevano penitenze rigorosissime a chiunque avesse ricevuta la comunione dalle mani d'un prete accusato di consenso, o formalmente, o tacitamente, prestato alla Lega. La Messa celebrata da un tal sacerdote, contaminava, secondo costoro, quegli stessi che le aveano assistito; se preti, perdeano la virtù del carattere sacerdotale, e nemmen nel pericolo di morte istantanea, era permesso invocare il soccorso delle loro preghiere e delle loro assoluzioni. Appena celebratosi dai Latini il servigio divino nella chiesa di S. Sofia, fu riguardata come polluta, e il Clero e il popolo ne rifuggirono come da una sinagoga, o da un tempio di Pagani; onde questa venerabile Basilica, che, fumante non ha guari d'incensi, e splendente per immensa moltitudine di fiaccole, avea sì spesso risonato di preci e di rendimenti di grazie, rimase fra lo squallore di un assoluto e tetro silenzio. Più inviperito odio portavasi ai Latini che agli stessi Eretici ed Infedeli; talchè il primo Ministro dell'Impero, il Gran Duca, si spiegò apertamente che avrebbe preferita la necessità di vedere a Costantinopoli il turbante di Maometto all'odievol presenza della tiara del Papa o di un cappello di Cardinale95. Tal sentimento cotanto indegno di un cristiano e di un amico della sua patria, era divenuto a tutti i Greci comune, e tornò ad essi fatale. Costantino si trovò privo dell'affetto e del soccorso de' proprj sudditi, la viltà naturale de' quali prendea un religioso pretesto dal dovere di rassegnarsi ai decreti della Providenza, o dalla chimerica speranza di una liberazione miracolosa96.
Due lati del triangolo in cui stassi Costantinopoli, vale a dire quelli che si estendono lungo il mare, erano inaccessibili ai nemici; la Propontide da una banda formava una difesa naturale, il porto ne formava un'artificiale dall'altra. Un doppio muro, e una fossa che avea cento piedi di profondità, copriva la base del triangolo situata fra le due rive dalla banda di terra; alle quali fortificazioni il Franza che le avea vedute, attribuiva una estensione di sei miglia97; quivi fu il principale assalto degli Ottomani. Costantino dopo avere ripartite le fazioni e il comando de' posti più pericolosi, si accinse a difendere l'esterno muro. Ne' primi giorni d'assedio, i soldati scesero nella fossa d'onde fecero una sortita in piena campagna, ma non tardarono ad avvedersi che, avuta proporzione del numero de' combattenti d'entrambi i campi, era più funesta ai Greci la perdita d'un Cristiano, che al nemico quella di venti Turchi; laonde dopo queste prime prove di coraggio, si limitarono prudentemente a lanciare armi di gittata dall'alto de' baloardi, prudenza che in tale istante non potea essere accusata, come viltà, comunque la popolazione greca fosse in generale pusillanime e vile; l'ultimo de' Costantini si meritò il nome di Eroe; la sua nobile truppa di volontarj parea infiammata dello spirito de' primi Romani, e gli ausiliarj stranieri sosteneano l'onore della cavalleria d'Occidente. In mezzo al fumo, fra lo strepito e il fuoco de' loro archibusi e de' loro cannoni, percoteano incessantemente con grandini di dardi il nemico. Tutte le bocche delle greche spingarde mandavano cadauna nello stesso tempo sui Turchi cinque e persin dieci palle di piombo della grossezza d'una noce; e giusta la spessezza delle file, o la forza della polvere, ciascun colpo potea trapassare l'armadura e il corpo di molti guerrieri; ma i Turchi bentosto, riparando la loro via con trincee, o tenendosi dietro alle rovine, si avvicinarono maggiormente. Ogni dì più periti nella scienza militare divenivano i Cristiani, ma i lor magazzini da polvere, mal provveduti sin da principio, non doveano tardare a votarsi. La loro artiglieria scarsa e di picciol calibro, non potea produrre grandi effetti, e se aveano ancora alcuni pezzi più rilevanti non si avventuravano a collocarli sopra vecchie muraglie, che l'impeto dello scoppio avrebbe crollate e rinversate98. Oltrechè, il micidiale segreto essendo già noto parimente agli Ottomani, questi lo adoperavano con tutta l'efficacia che possono infondere negl'ingegni di offesa il fanatismo, le ricchezze, il dispotismo. Ragionammo dianzi del gran cannone di Maometto, arme rilevante e segnalata nella Storia dell'epoca ora descritta; enorme bocca da fuoco che fiancheggiavano altre due quasi della stessa grandezza99. Dopo che i Turchi